La comprensione degli eventi richiede, a me pare, di menzionare qualcosa del retaggio storico-culturale e storico-politico della Turchia. L'Impero Ottomano, centro civile prima potenza a lungo del Mediterraneo, decade via via che il centro dei traffici mondiali si sposta sull'Atlantico, a seguito della scoperta delle Americhe, e con esso si sposta verso Occidente il centro dell'economia, delle scienze, della tecnologia, della forza militare, ecc. La decadenza significa anche la conservazione della forma di governo (il califfato: una fusione integrale di potere politico e potere religioso in mano a un monarca), la corruzione della monarchia, una crescente debolezza militare rispetto ai più sviluppati, moderni e aggressivi paesi europei. Nel quadro dell'espansione territoriale-coloniale (nel caso della Russia) o semplicemente coloniale (Inghilterra, Francia, anche Italia, più tardi), l'Impero Ottomano diventa oggetto di aggressioni, perde territori. Ciò inoltre sinergizza, nel quadro della tendenza europea alla formazione di stati nazionali, con la rivolta delle popolazioni balcaniche e di una parte di quelle stesse medio-orientali, dagli armeni ai curdi agli arabi. Par farla breve, si arriva alla prima guerra mondiale, nella quale l'Impero Ottomano, succursalizzato economicamente dalla Federazione Germanica, ne è alleato, e conseguentemente soccombe. La sconfitta si trascina la perdita di gran parte dei territori. Anzi parte di quelli stessi che costituiscono l'attuale Repubblica di Turchia sono oggetto di tentativi di separazione (sui versanti armeno e curdo) o coloniali (da parte di Francia e Italia) o di accorpamento alla Grecia (l'area attorno a Smirne, gran parte della Tracia Istanbul esclusa). Che cosa impedisce che la Turchia, sostanzialmente, scompaia: il movimento dei Giovani Turchi, e cioè un movimento politico nazionalista, laico e modernizzante, molto radicato nella gioventù urbana istruita e negli ufficiali, soprattutto quelli giovani e con ruoli intermedi, formati nelle scuole militari, che, assunto il controllo delle forze armate e messa sotto controllo la monarchia, attraverso combattimenti feroci e tragedie etniche che non è qui il caso di esaminare (massacri di turchi da parte greca, massacri di greci, armeni e assiro-caldei da parte turca), contrattacca a guerra terminata le potenze occupanti, le sconfigge (la Grecia) o le obbliga a sgomberare (la Francia e l'Italia), abolisce il califfato, proclama la repubblica, nomina Presidente a vita il capo militare ed eroe di guerra Mustafa Kemal, che assumerà il cognome di Atatürk (“Padre dei turchi”). Segue un periodo, con pesante mano autoritaria, di un complesso vastissimo di riforme grandi e minori: la radicale separazione dello stato dalle istituzioni religiose e la loro riduzione a realtà privata, l'adozione dei cognomi, l'abolizione di obblighi religiosi tradizionali come il fez e il turbante degli uomini e il velo e il turban (il velo sui capelli) delle donne, l'adozione degli abiti europei, la legalizzazione delle bevande alcoliche, il partito unico (CHP, “Repubblicano del popolo”), due sindacati e solo due (da una parte quello dei lavoratori del settore privato dell'economia, dall'altra quelli del settore pubblico), l'adozione dei codici europei (recuperando, fondamentalmente, dal lato svizzero il codice civile e da quello italiano il codice penale), l'esclusione dalla lingua dei prestiti dal persiano e dall'arabo e l'adozione di neologismi in genere su base francese, il passaggio dall'alfabeto arabo a quello latino, ecc. L'esercito, inoltre, diventa tutore della laicità del paese, e, a questo fine, viene dotato del potere del più totale autogoverno. In poche parole, una straordinaria rivoluzione dall'alto; quando, nel 1938, Atatürk morrà, lascerà una Turchia completamente nuova. Non è un caso che essa oggi funga da modello istituzionale di una parte della popolazione urbana dei paesi arabi in rivolta contro monarchie arcaiche e ladre o cleptocrazie autoritarie finto-socialiste.
La ragione del grande prestigio in Turchia delle forze armate, per quanto ormai esse pure un apparato molto corrotto, fascisteggiante e razzista, al pari degli altri apparati dello stato, sta in questa storia. A nome della laicità dello stato, quindi contro la formazione di governi di partiti islamici, oppure a nome della lotta contro la corruzione di governo, o della lotta contro movimenti armati orientati a cambiamenti radicali dell'assetto dello stato (di estrema destra, di estrema sinistra, o curdi rivendicanti l'autonomia della parte di Turchia dove sono maggioranza), le forze armate sono state protagoniste di colpi di stato o di minacce di colpi di stato, di governi militari, anche di guerre decise di fatto autonomamente (contro la popolazione curda), disponendo dell'appoggio della larga maggioranza della popolazione turcofona, almeno fino a tempi recentissimi. Ma, attenzione! In realtà, come si intuisce, la rivoluzione kemalista e ciò che le è susseguito non sono riusciti a unificare culturalmente la Turchia. Questo è un lato decisivo della sua situazione ancor oggi: la Turchia è un paese scisso culturalmente in due, il suo versante laico e il suo versante islamico; e si tratta di una scissione profonda, che la rompe in due e molto pesantemente. Ed è anche una rottura sociale: da una parte c'è la popolazione colta delle città, c'è l'intera gioventù delle città e anche, ormai, parte di quella dei villaggi, ci sono gli apparati dello stato nella loro totalità e i media; dall'altra c'è la maggioranza della campagna e c'è buona parte della stessa classe operaia, quella più recente, non professionalizzata, essenzialmente fatta di ex contadini. Non è un caso che a fianco dei giovani di piazza Taksim si sia schierato, addirittura con la proclamazione dello sciopero generale, il sindacato dei lavoratori del settore pubblico, in genere impiegati, e non quello, effettivamente prepolitico, dei lavoratori del settore privato.
Erdoğan ha probabilmente fatto un grosso errore, non prendendo le distanze dalla municipalità di Istanbul e, anzi, sostanzialmente difendendo l'operato criminale della sua polizia, riserve minimaliste e di pura convenienza a parte. Vediamo. Piazza Taksim porta alla luce altri lati della complessa realtà politica, culturale e istituzionale turca. La brutalità della polizia non è una novità in Turchia: tra le difficoltà del processo di adesione della Turchia all'Unione Europea c'è stato a lungo, e indubbiamente tornerà ora a esserci, proprio questa realtà, fatta di torture, pestaggi, assalti a pacifiche manifestazioni (negli anni scorsi proprio in piazza Taksim la polizia si scatenava, con tanto di lacrimogeni altamente tossici sparati ad altezza d'uomo e cani lupo, contro manifestanti che celebravano il primo maggio o donne che celebravano l'otto marzo, “rei” e “ree” di non aver notificato l'intenzione di manifestare; per non parlare delle manifestazioni curde). Ed è la polizia turca nella sua virtuale interezza, inoltre, la responsabile primaria delle migliaia di desaparecidos curdi: sono essi vittime soprattutto sue, ben più che dei servizi o delle forze armate o dei collaborazionisti (i “Guardiani del villaggio”), fruendo automaticamente della copertura di una delle più infami magistrature del pianeta, quasi tutta al servizio del potere militare. In secondo luogo, l'atteggiamento di Erdoğan su piazza Taksim esprime lo zelo fondamentalista-reazionario e la propensione autoritaria dell'AKP, e di Erdoğan in modo particolare, cioè la sua abitudine ai modi spicci e a forzare le situazioni delicate. Ma Erdoğan non ha visto che anche la Turchia è diventata una polveriera culturale, soprattutto sul suo versante giovanile, in analogia, per un verso, al resto del Medio Oriente, per l'altro, all'Occidente europeo. Il grande e prolungato boom economico della Turchia sta avvenendo al prezzo di una disoccupazione o sottoccupazione o lavoro nero giovanili diffusissimi, e se questo può lì per lì bastare a ex contadini, certo non basta a ragazzi e ragazze delle città e istruiti. Il web e i suoi strumenti di comunicazione orizzontale e di organizzazione di iniziative funziona in Turchia come altrove nel mondo.
Di conseguenza, Erdoğan non ha intuito il rischio di riconsegnare l'iniziativa ai militari: ridimensionati dalla forza elettorale dell'AKP e dai processi ai generali organizzati in una sorta di Gladio golpista locale, Ergenekon, non meravigli se useranno gli eventi in corso, in un modo o nell'altro, in ogni caso intendendo ridimensionare la forza e l'indipendenza del governo dell'AKP. Non è un caso che le formazioni curde siano preoccupate: i militari sono ostili alla trattativa in corso, voluta dall'AKP, orientata a un compromesso che conceda ai curdi i diritti linguistici in cambio del loro via libera a una repubblica presidenziale e, in concreto, a Erdoğan futuro presidente plenipotenziario della Turchia. In ultimo, senz'altro Erdoğan non ha intuito che il suo comportamento avrebbe prodotto una frattura tra lui e il suo storico sodale, l'attuale Presidente della repubblica Gül, che ha solidarizzato con i manifestanti di piazza Taksim e affermato che il diritto di manifestare e di protestare pubblicamente è un inalienabile diritto democratico.
Qualcosa di grosso ha cominciato a rompersi in Turchia, in analogia, principalmente, al resto del Medio Oriente. Alle manifestazioni di piazza Taksim, riportano sempre i media, e riconosce Gül, prendono parte anche i giovani votanti per l'AKP. Il solco tra laicismo e fedeltà religiosa si sta rompendo in Turchia; sta iniziando, sulla base di un'intenzione democratica, la ricomposizione culturale di un paese scisso da un secolo. Sono processi che potranno incorrere in contrattacchi e subire battute d'arresto, ma che in genere risultano alla fine vincenti.
Immagine tratta da: www.darkroom.baltimorasun.com