Martedì, 06 Giugno 2017 00:00

A proposito di legge elettorale

A proposito di legge elettorale

La vertiginosa accelerazione sulla riforma elettorale a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni è il frutto della convergenza fra PD, FI, Lega e M5S su una serie di emendamenti che hanno modificato sostanzialmente il testo base del Rosatellum nella direzione di un sistema proporzionale che ha diverse somiglianze, ma anche significative differenze, con il modello tedesco. L’ampia maggioranza parlamentare di cui godono i simpatizzanti della proposta di legge potrebbe portare ad una approvazione piuttosto rapida e c’è allora da chiedersi se questo sia il preludio a un’imminente crisi di governo e al conseguente voto anticipato in autunno che molte forze politiche sembrano volere.

Sicuramente intanto però molti aspetti della riforma stanno accendendo una polemica infuocata: se da una parte lo sbarramento al 5% è indigesto a molti partiti piccoli, ed è proprio su questo punto che si è consumata la rottura fra Renzi e Alfano, dall’altra è forte la preoccupazione per un sistema che renderà difficile trovare un’ampia maggioranza parlamentare. Non meno significativo, fra le altre cose, è anche il nodo sui meccanismi di elezione dei parlamentari, soprattutto dopo che gli emendamenti proposti per introdurre il voto disgiunto e le preferenze nel listino proporzionale sono stati bocciati. Su questa delicata situazione politica, il “10 mani” di questa settimana.


 Niccolò Bassanello

Esistono due nodi del “caso italiano” che il dibattito parlamentare sulla legge elettorale non è riuscito a sciogliere: l'incertezza della legge e il problema del trasformismo. Per quanto riguarda il primo nodo, dopo il “mattarellum” (1993) il “porcellum” (2005) e l'“italicum” (2015) e successive mutilazioni per incostituzionalità, il meccanismo elettorale italiano non ha avuto pace, con leggi successive che hanno di volta in volta ricalcato più gli interessi di parte degli estensori che l'attenzione a criteri di razionalità tecnica. In questo contesto da un lato la Corte Costituzionale si è trovata a supplire al ruolo del legislatore, rischiando di diventare quella “terza camera” non elettiva paventata a suo tempo da Togliatti. Quella che, salvo ennesime giravolte, dovrebbe essere la nuova legge elettorale persevera nell'errore, costruendo un sistema pasticciato e poco chiaro unendo elementi disparati di ispirazione proporzionale o maggioritaria. Più che “modello tedesco”, modello Frankenstein. Meglio, a mio parere, sarebbe stato fare una scelta netta licenziando una legge più semplice possibile, magari maggioritario uninominale o proporzionale con sbarramento, per poi apportare eventuali aggiustamenti nel lungo periodo.

Per quanto riguarda il secondo nodo, basti dire che attualmente un parlamentare su tre ha cambiato gruppo, e che tutte le aree politiche dell'arco parlamentare, dal 2013 ad oggi, hanno subito scissioni, cambi di casacca o espulsioni di massa. I partiti in parlamento si sono sbriciolati e moltiplicati, spesso totalmente all'insaputa degli elettori, che davanti a sigle come “alternativa libera”, “civici e innovativi” o “conservatori riformisti” non possono che rimanere spaesati.

Considerato questo contesto desolante, lo sbarramento al 5% previsto dalla nuova legge elettorale è probabilmente l'unico elemento positivo, rendendo sostanzialmente impossibile la rielezione di conventicole di potere e scissionisti minoritari di ogni persuasione. In ogni caso non bisogna farsi illusioni, nonostante sia necessario fare il possibile per metterci una pezza, le cause della frammentazione sono sistemiche, e non risolvibili con artifici elettorali.


Alex Marsaglia

Le principali forze politiche parlamentari stanno trovando una convergenza su una nuova legge elettorale, lo stesso PD sembra disposto a concedere persino una maggiore proporzionalità, ispirandosi al modello tedesco. Quest'ultimo però prevede una maggior selettività nella rappresentanza con una soglia di sbarramento innalzata al 5%, ma pur di andare al voto sembra andare bene.

Il sistema, pur andando verso una maggior proporzionalità, certamente non è privo di tranelli poiché mantiene i capilista bloccati, per cui l'eletto risulterà quindi non il più votato ma il candidato indicato preventivamente dalle forze politiche. Inoltre, la principale conseguenza di una tale soglia di sbarramento è che i partiti presenti in Parlamento inevitabilmente si ridurranno. PD, M5S, Forza Italia e Lega Nord oltre ad essere coloro che approveranno tale sistema elettorale dovrebbero essere anche le uniche forze politiche in grado di ottenere un minimo di rappresentanza. Il vero dato di questa legge elettorale tuttavia non deriva dal solo lato tecnico, ma da quello politico. Infatti, la stessa decisione di varare una legge elettorale è sintomo della volontà politica di sfruttare il vento di Macron per riportare il nuovismo socialdemocratico al governo, tagliando fuori dai giochi ogni pericolo populista. La volontà di isolare determinate forze politiche, nella fattispecie quelle populiste, è l'unica ragione ad aver mosso Renzi e i suoi accoliti nella direzione di una nuova legge elettorale che inevitabilmente sbloccherà la situazione portandoci a nuove elezioni.

Così si prefigura già un'ammucchiata di governo pronta per approvare una legge di stabilità austeritaria in grado di recepire le indicazioni di Bruxelles e Francoforte. La gestione dei Piigs nel fine stagione del quantitative easing sembra così condurci alla melassa democristiana più torbida.


Dmitrij Palagi

Sono i rapporti di forza che determinano l'impianto normativo di un sistema. C'è poco da fare. L'interpretazione delle leggi nei tribunali, l'orientamento esecutivo del Governo, quello legislativo del Parlamento... non si può agire all'interno delle regole date pensando di poterle mutare a proprio favore se non si hanno dei rapporti di forza adeguati. In questo la sinistra italiana pare molto arretrata, impegnata come è a scandalizzarsi per questo o quel dettaglio (sia la soglia di sbarramento o il meccanismo dei collegi).

Il grande scandalo dei nominati è sorprendente. Quante persone oggi sarebbero in grado di proporsi con una capacità di mobilitazione in grado di garantire la propria elezione in Parlamento, escludendo le prime file (comunque molto limitate numericamente)?

Se la destra ha da regolare i conti al proprio interno, a partire dal ruolo dei moderati e del centro, nell'opporsi all'asse FdI-Lega Nord, Renzi ha gioco facile nel rafforzare quella linea di autosufficienza che è alla base della nascita del Partito Democratico (Bersani è un mezzo - falso - passo indietro rispetto a Veltroni). Il Movimento 5 Stelle ha dei rapporti di forza che gli permettono di giocare un ruolo a prescindere dalla legge elettorale (e nemmeno hanno validi motivi per sperare di governare da soli o ritrovarsi "obbligati" a cercare alleati, come Tsipras in Grecia insieme ai nazionalisti).

In tutto questo il "quarto polo" della sinistra non decolla non certo per colpa della legge elettorale. Manca un progetto. Se i due governi Prodi vengono giustificati con l'assenza del proporzionale nel Paese, sarebbe il caso di chiedere ai dirigenti DS-PRC di allora quale è stato il progetto complessivo che hanno proposto all'Italia tra gli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio.

Il Sole 24 Ore ha provocatoriamente iniziato a intervistare i "candidati premier" (che il nostro impianto costituzionale non prevederebbe) chiedendo per cosa si dovrebbe andare a votare. I vari Renzi e Di Maio devono giocarsi la partita nel sistema mediatico dato. A chi si propone come "alternativo al sistema" si consiglia di prendere spunto dal 5 Stelle, capace di apparire senza sussistere, a prescindere dalla legge elettorale. Apparire e sussistere: sarebbe una rivoluzione (parziale).


Jacopo Vannucchi

L’accordo tra i quattro principali partiti, che rappresentano assieme circa il 90% dei votanti, su una variante del sistema tedesco inaugura di fatto una situazione di armistizio tra le forze politiche che segnala come l’Italia non sia riuscita, in questi anni, a venire a capo della propria situazione interna.

Nel messaggio alla nazione del 31 dicembre 2013 l’allora Capo dello Stato ricordò che nel corso dell’anno l’Italia aveva visto messa a rischio la stessa natura democratica del sistema istituzionale – un evidente riferimento alle manovre eversive del Movimento 5 Stelle a cui, d’altro canto, non aveva corrisposto una reazione determinata degli avversari. Venuta meno con il Governo Letta la formula del “fronte repubblicano” (o “larghe intese”) l’alternativa a Grillo si era manifestata nel Governo Renzi e nel 41% raccolto dal Pd a maggio 2014. Fondandosi su quel consenso eccezionale il Presidente del Consiglio aveva promosso numerose riforme con l’obiettivo di far venir meno le radici del consenso popolare al M5s.

Sconfitto questo disegno nel referendum costituzionale, bocciato l’Italicum dalla Corte Costituzionale, e con una stampa di opinione sempre più ostile alla «classe politica» (sic), l’Italia torna al punto di partenza del 2013, ma con una vistosa differenza: il nuovo sistema proporzionale renderà di fatto certa, prima del voto, l’ingovernabilità del Paese e il necessario ricorso a coalizioni spurie. Se a questo dovesse affiancarsi la riedizione di esecutivi a guida “tecnica” – scenario paventato da Renzi stesso in caso di vittoria del No – è evidente che il consenso al M5s potrebbe imboccare una nuova fase di crescita.

E anche l’accorato allarme lanciato da Romano Prodi – «Non ho dedicato la mia vita politica a costruire alleanze con obiettivi talmente disomogenei da diventare improduttivi», in riferimento a un futuro governo Pd-Fi – ha almeno due pecche: 1) non considera che invece di Pd-Fi al governo potrebbero andare gli altri, ovvero M5s-Lega; 2) evita di puntualizzare che una maggioranza omogenea sarebbe per certo scaturita con l’Italicum e il suo contenuto premio maggioritario (54% dei seggi alla Camera).


Alessandro Zabban

Sebbene probabilmente andrà incontro ad altre modifiche, l’assetto generale della nuova legge elettorale è piuttosto chiaro. Il modello sostanzialmente proporzionale, ma con la presenza di collegi uninominali, vorrebbe ricalcare quello tedesco ma in realtà poco si adatta all’assetto istituzionale italiano così come sancito dalla nostra Costituzione che prevede il bicameralismo perfetto e un numero fisso di parlamentari.

Si vuole dunque importare un modello che rischia di non funzionare nel contesto italiano dove tradizionalmente le coalizioni di governo, quasi sempre necessarie con questo sistema elettorale, durano molto poco. Sembra inoltre profilarsi un meccanismo che di fatto rende molto limitata la possibilità di esprimere una preferenza sulla scheda elettorale (soprattutto visto che molti parlamentari verranno eletti all’interno delle liste proporzionali bloccate), cosa che allontana ancor più la nuova riforma dal modello tedesco e soprattutto fa emergere una inconsueta e cinica realpolitik del M5S, pronto a rinunciare alle preferenze, suo tradizionale cavallo di battaglia, pur di andare subito al voto e massimizzare un risultato elettorale di rilievo che, sondaggi alla mano, sembra potersi concretizzare.

A ben vedere però, con questo sistema, i pentastellati potrebbero andare incontro a una vittoria di Pirro in quanto nessun partito, allo stato attuale, sembra essere in grado di governare da solo. Il M5S che per sua natura tende all’autonomia politica, difficilmente potrà allearsi con un’altra forza politica (gli elettori non lo perdonerebbero) e ciò potrebbe significare rimanere all’opposizione dato che il sistema premia chi riesce a mettersi in coalizione dopo l’esito elettorale, a giochi fatti. A meno di una clamorosa alleanza Lega – M5S, stando così le cose, il più probabile scenario è quello di una coalizione di governo PD – Forza Italia (fa una certa impressione sentire molti esponenti del PD definire Berlusconi come un baluardo contro l’avanzata del populismo!). Sono dunque queste le forze che di fatto stanno uscendo vittoriose dal confronto parlamentare sulla riforma. Ma nel lungo termine la mancanza di un premio di maggioranza potrebbe rendere l’azione di un governo nato sotto il segno del Nazareno poco efficace. Questa riforma mette in luce che le principali forze politiche hanno più paura di perdere che voglia di vincere. La loro mossa però farà strage di partiti piccoli, non in grado di superare la soglia si sbarramento. La sinistra radicale è avvertita.

Immagine liberamente ripresa da images2.corriereobjects.it.

Pubblicato in A Dieci Mani
Lunedì, 15 Maggio 2017 00:00

San Luca, dove abdica la democrazia

San Luca, dove abdica la democrazia

I giorni scorsi hanno visto un trionfo sui social, e non solo, di celebrazioni (a volte stucchevoli), di una figura politicamente e storicamente fondamentale per questo Paese, Peppino Impastato.

Il giovane attivista siciliano ucciso quella tragica notte tra l’8 e il 9 Maggio 1978, sotto i colpi di Badalamenti e i suoi “picciotti”, una pagina nera di questo Paese, su cui, per troppo tempo, s’è discusso senza conoscere né i fatti né le cause scatenanti una crudeltà tanto efferata quanto blasfema. Sappiamo tutti che al principio di quella morte ne furono dette di mille colori: sovversivo, anarchico, pazzoide, un continuo infangare una figura così importante per la lotta (iper conflittuale) a chi quel territorio lo comanda da generazioni, con la troppo spesso e neanche troppo velata, accondiscendenza di determinati amministratori.

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Mercoledì, 03 Maggio 2017 00:00

Tout va mal, Madame la Marquise!

Tout va mal, Madame la Marquise!

Controlacrisi.org ha pubblicato in rapida successione tre articoli sulle elezioni francesi, dei quali l’ultimo a firma di Rossana Rossanda, che nonostante il mio personale apprezzamento per Controlacrisi.org non condivido affatto. In particolare quello della Rossanda esprime alcuni giudizi che mi lasciano del tutto perplesso.

In estrema sintesi quattro almeno non mi convincono e non resistono alla prova dei veri dati elettorali:

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Scomposizioni e ricomposizioni. Acque mosse per il centro sinistra?

Doppia scissione nelle sinistre parlamentari: lascia il Pd una parte della minoranza, mentre il congresso di SI si chiude con l’uscita dell’ala destra e della maggioranza del gruppo alla Camera. Ancora da definire le identità delle nuove formazioni o, forse, di una formazione unica (dopotutto sia Scotto sia i fuorusciti dal Pd sono ex Ds). Al di là dei punti di convergenza (l’opposizione netta a Matteo Renzi e il vagheggiamento di un “nuovo centrosinistra”) resta da sciogliere il nodo del rapporto con il Governo Gentiloni.

Se la divisione di SI rischia di essere un fenomeno tutto sommato poco influente – le intenzioni di voto per Si unita sono al 3-4% – è invece da vedere se gli scissionisti Pd riusciranno a ritagliarsi un qualche peso politico o finiranno, come tutte le promettenti scissioni passate (Api, Fli, Ncd…), per ridimensionarsi drasticamente. Di certo Renzi sembra soddisfatto di essersi liberato di un peso dentro il partito, riuscendo anche a provocare una scissione nella scissione con la permanenza nel Pd di Michele Emiliano.

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Venticinque anni da Tangentopoli: un veloce bilancio

Il 17 febbraio 1992, venticinque anni fa, veniva arrestato Mario Chiesa. Da allora potremmo dire, senza retorica ma con serenità, che la storia d'Italia è cambiata. La fine dei partiti di massa (coinvolti nelle inchieste e suicidatisi per ragioni politiche), il bipolarismo, il mattarellum: tutto è cambiato.

Manifesti, articoli, commenti, discorsi... quanto colore che dovrà cancellare l'acqua” potremmo dire citando Rafael Alberti, ciò che è certo è che a così tanti anni di distanza sta forse per affermarsi una riflessione più serena su quegli anni (celebrati persino da uno sceneggiato andato in onda sul settimo). Noi proviamo a dire la nostra.

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Front National: una tempesta in arrivo sulla Francia?

La rilevanza attribuita alla campagna elettorale per le imminenti elezioni presidenziali in Francia è dovuta alla portata potenzialmente distruttiva che queste potrebbero avere. La scesa in campo della leader del Front National Marine Le Pen, gli alti e bassi nelle primarie francesi e gli scandali che hanno travolto il cavallo da battaglia della destra tradizionale Fillon: se a questo aggiungiamo il fatto che lo scontro sociale nel paese va acuendosi (quello legato alla presenza di migranti ma anche le manifestazioni contro la Loi Travail) e che l'unica risposta data è quella del prolungamento della legislazione di emergenza, è facile presagire il peggio.

Il populismo francese non costituisce di certo, nell'Unione Europea che celebra i sessant'anni dalla sua nascita, un caso a se stante: movimenti di destra che gridano ad un ritorno all'interno dei confini nazionali, lasciando fuori chi è diverso, sono presenti oramai in molti paesi. Ma la minaccia rappresentata da Le Pen, che due giorni fa è tornata alle origini antisemite tanto care al padre affermando che in caso di vittoria negherà agli ebrei francesi la doppia cittadinanza israeliana, è percepita come particolarmente pressante. E a ragione.

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Lunedì, 06 Febbraio 2017 00:00

Le sinistre in Italia: un panorama tragico?

Le sinistre in Italia: un panorama tragico?

Grande confusione sotto il cielo della sinistra. In un clima teso, su cui incombe, come una spada di Damocle, l'incertezza sulla data delle prossime elezioni politiche, si aprono scenari molto aperti e dalle linee poco definite. Si registrano così intensi malumori all'interno di molte formazioni politiche. Nel PD, le dichiarazioni di D'Alema, che evoca la possibilità di  una scissione e di Bersani che rincara la dose parlando di un "Ulivo 4.0", riaccendono la diatriba interna fra la vecchia guardia e i renziani. Se nel Partito Democratico tira insomma aria di congresso, a celebrarlo sicuramente saranno, fra gli altri, Rifondazione Comunista, impegnata a rilanciare progetto e riformulare la linea politica, e Sinistra Italiana, nuovo soggetto che sta ottenendo una certa attenzione mediatica ma già diviso fra chi vuole instaurare un dialogo col PD e chi predilige una posizione più autonoma. Altre variabili come il movimento Possibile di Civati o le velleità ancora oscure di Pisapia e di Emiliano, contribuiscono a delineare un mosaico decisamente frammentato.

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Mercoledì, 25 Gennaio 2017 00:00

Una democrazia d’ancien régime 2

Una democrazia d’ancien régime

Maître à penser d’annata e giornalisti di fama più o meno larga hanno espresso la loro autorevole opinione sull’esito delle elezioni presidenziali americane. La vittoria di Donald Trump – secondo costoro - è dovuta in gran parte, se non esclusivamente, al voto degli operai bianchi della cosiddetta rust belt (cintura della ruggine), ovvero le città e le contee un tempo sedi di grandi industrie – per lo più siderurgiche e meccaniche - che dagli anni ottanta hanno subito un drastico processo di deindustrializzazione.

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Lunedì, 23 Gennaio 2017 00:00

Stati Uniti: catastrofe post Obama?

Stati Uniti: catastrofe post Obama? (a dieci mani)

Il 10 gennaio, a quasi dieci anni dall’annuncio della candidatura alle primarie (10 febbraio 2007), Obama ha tenuto a Chicago il discorso di commiato alla nazione. Alla porta della Casa Bianca lo accompagnano 75 mesi di espansione occupazionale, un tasso di approvazione che sfiora il 60% e lo colloca al medesimo gradimento di fine mandato di altri popolari Presidenti (Eisenhower, Reagan e Clinton) e la convinzione – espressa poche settimane fa – che se la Costituzione gli avesse consentito un terzo mandato avrebbe potuto ottenerlo battendo Trump.
Questa convinzione è riecheggiata nel grido «Four more years» scandito a Chicago una folla ben più vasta di quella radunata in campagna elettorale da Hillary Clinton.
Ancora una volta il Presidente uscente ha tentato di salvaguardare il rispetto istituzionale ed evitato qualsiasi polemica verso il suo successore, cui ha assicurato «una transizione il più agevole possibile, proprio come il Presidente Bush fece per me», nonostante decine di parlamentari democratici stiano contestando la legittimità di Trump come Presidente.
Ma in effetti, oltre a difendere la propria eredità, Obama ha messo in guardia contro i quattro pericoli che a suo avviso minacciano la democrazia: l’iniquità sociale, il razzismo, il fanatismo politico e, soprattutto, la separazione tra cittadini e partecipazione politica.

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Martedì, 10 Gennaio 2017 00:00

Una democrazia da ancien régime (1)

Una democrazia da ancien régime (1)

Il provincialismo consiste nella duplice predisposizione degli abitanti di Frittole, Piovarolo o Canapale a pensare che l’abito mentale che muove le loro azioni, muova anche quelle dei cittadini di Pechino, Londra, Parigi, Mosca… E che tutto quanto usa farsi a New York, Buffalo o Chicago possa tale e quale farsi a Frittole, Piovarolo o Canapale!

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