Febbraio mese denso di fatti (o di casino) a sinistra. Con l'avvicinarsi probabile delle elezioni politiche, e fermo restando le amministrative che comunque si celebreranno, sempre più movimento interessa le forze ed i singoli collocati a sinistra del renzismo.
Lo sdoganamento della parola scissione da parte dei dalemiani radunati al Frentani (e da Emiliano che da buon magistrato invoca addirittura le carte bollate) ha messo in agitazione una Sinistra Italiana che a metà mese celebrerà il proprio congesso fondativo.
Dopo il ritiro della candidatura di Scotto ("la linea non è contendibile" ha affermato il capogruppo di SI alla Camera dopo il rinvio di alcuni congressi per sospetti di tesseramenti gonfiati) e la scontata, a questo punto, vittoria della linea autonomista di Fratoianni, c'ha pensato Vendola a sparigliare nuovamente le carte aprendo a quanto si muoverà nel PD qualora Renzi ipotechi il prossimo congresso facendolo celebrare dopo le politiche.
Quindi dileggio per chi sosteneva l'opzione dialogo a sinistra e pratica della stessa a nemmeno 24 ore dal ritiro della candidatura di Scotto: che dire?
Tra le altre forze e singoli si registra il sostanziale stallo dell'opzione Pisapia in attesa di ciò che dirà il congresso di SI e di ciò che farà il PD mentre chiara è la linea di Possibile (riunitosi a Parma qualche tempo fa) che, vittima della sindrome degli ex fumatori, sembra riproporre per l'ennesima volta un cartello del "col Pd nemmeno un caffè".
Soggetto a sé stante il PCI (ex PdCI) che sembrerebbe puntare su un proprio consolidamento (anche presentando il simbolo alle amministrative) prima di dialogare con altri soggeti (sui quali rimane la distanza fortissima sull'Europa che il nuovo corso Alboresi ha avviato).
Risultato scontato invece per il prossimo congresso del PRC diviso, in questo decimo congresso, in due macroaree (o microaree dati i numeri assoluti): l'ennesima proposta di "unità della sinistra" (e dunque di cartello) sostenuta da Ferrero e respinta al mittente da SI e l'accozzaglia anarco-femmist-stalinista (c'è di tutto realmente) messa in piedi da una delle cordate ferreriare che si era ricompattata al IX congresso (con in testa l'eurodeputata Forenza) e da quei settori di eterna opposizione interna di matrice marxista-leninista non uscite verso il PCI.
Grande è la confusione ma la situazione, a sinistra, è tutt'altro che eccellente...
Mentre Napolitano, in barba alla costituzione, continua a soprassedere sulla politica italiana c'è grande fermento politico a sinistra, soprattutto in seguito alla gran confusione fatta dal M5S. Infatti, vista la legge elettorale che mantiene il premio di maggioranza alle coalizioni (vedi qui) perché non pensare a completare il quadro con un bel partito subalterno? Dunque, laddove si aprono le praterie di un 10% di elettorato (se va bene), come da tradizione della sinistra subalterna, subito ci si fionda in cento.
Ed ecco la fioritura di cosiddette alternative politiche volte a tappare ogni buco di rappresentanza istituzionale. Ce n'è davvero per tutti i gusti: dagli ortodossi ai movimentisti fino agli immancabili liberali alla Pisapia. Ma la cosa davvero più spassosa è far passare tale Massimo D'Alema come alternativa. Il centrosinistra che si vanta delle privatizzazioni come progetto politico serio e credibile: venghino siori, venghino! Siccome poi, secondo questi nani che si atteggiano a giganti, l'Italia sembra aver perso il senno si può sempre chiedere che ne pensano a Belgrado di tal Massimino, là se lo ricordano sicuramente bene.
Davvero non c'è più nulla da aggiungere al circo della politica italiana: i leoni ammaestrati come D'Alema, Bersani e Cofferati hanno mangiato i domatori e sanno benissimo come domarsi da soli e andare nella gabbia alla ricerca del facile applauso per uno zerovirgola. La compagnia di pagliacci guidata dall'ex premier col suo seguito garantisce l'intrattenimento vero durante gli intermezzi. Per il resto l'impettito presentatore, tecnico impassibile, come finanza comanda, uno come Padoan per intenderci, declama il programma. Il circo Napolitano garantisce che grazie ai lauti profitti non chiuderà i battenti almeno fino al 2018. Signori e signore godetevi lo spettacolo di questo circo, dell'orrore.
A sinistra bisognerebbe imparare a prendersi dannatamente e seriamente poco sul serio. L'autoironia dovrebbe essere la prima qualità di ogni buon dirigente (riformista, socialdemocratico, comunista, rivoluzionario che sia). All'interno del Partito Democratico le minoranze sono molteplici ed adombrate da Massimo D'Alema, mentre riemerge la figura di Romano Prodi (manca solo Walter Veltroni). Se uno volesse divertirsi a seguire le dichiarazioni di Speranza, Cuperlo e Bersani (oltre alla vicenda Staino-Unità) potrebbe rassegnarsi a simpatizzare per Renzi...
Un nuovo partito "per l'unità", Sinistra Italiana, nasce con una scissione annunciata, con confronti interni avvelenati da uscite sui giornali. Si fa fatica a stare dietro alle differenziazioni interne, ma sarebbe una leggerezza pensare di poter facilmente accomunare Pisapia a Scotto, o Fassina a Cofferati. Per ora Fratoianni pare non riuscire, inoltre, a imporsi sulla presenza mediatica di Vendola. In Rifondazione il grottesco si esprime non sulle testate nazionali, quanto sui social, con due mozioni poco distanti "sui fondamentali" e l'unica deputata (europea) impegnata a sostenere "l'opposizione all'attuale gruppo dirigente".
Ovviamente in tutto questo rimane Possibile (di Pippo Civati), che però non è la stessa cosa di Alternativa Libera (ex 5 Stelle). L'Altra Europa, da "cartello" si è fatta soggetto politico (non da oggi, chiaro, però esistono anche loro). De Magistris ha lanciato il suo movimento politico (DemA), mentre prosegue quello europeo di Varoufakis (Diem25). Nel frattempo si è svolto il congresso del Partito Comunista di Rizzo, sopravvive tenacemente il Partito dei Comunisti Lavoratori, ma poche notizie si hanno del Partito di Alternativa Comunista e delle due scissioni con cui è finita l'esperienza di Sinistra Critica. Esistono numerose altre realtà, che per necessità di sintesi non vengono elencate (ma senza alcuna mancanza di rispetto o considerazione, sia messo agli atti).
Il problema è che il nome più divertente da leggere sulle testate nazionali, in termini di infiniti e discutibili tentativi di "unità della sinistra", è Salvatore Merlo, su "il Foglio". Si pensa troppo spesso che il problema a sinistra siano le scissioni, quando il punto è che i pochi rimasti a militare (e dirigere) si preoccupano più di salvaguardare quello che gli sta intorno, piuttosto che cercare chi non c'è più. Il meccanismo è assolutamente umano-animale e comprensibile. Con un grande sforzo di razionalità, i militanti della sinistra e del "movimento comunista", dovrebbero cercare di vedersi da fuori, prendersi un po' in giro, farsi i complimenti per la capacità di resistenza dimostrata, provando poi a parlarsi senza prendersi troppo sul serio, che tanto ad ascoltarci non è che siamo rimasti in molti...
Gli attuali tatticismi delle varie formazioni a sinistra (elenco sommario: Campo progressista, Si, Possibile – e Al? –, Prc, Pci – sic! –, Pc, più i potenziali scissionisti dalemiani) continuano il solco di una decennale e inconcludente storia. Si era da poco formato l’ultimo esecutivo Prodi quando Ferrando, costituendo il Pcl, definiva socialdemocratici i due partiti comunisti di governo e liberali i Ds. Dopo la nascita del Pd nel 2007 iniziò un complesso valzer di relazioni, per cui: Mussi era contro il Pd, Angius no, ma andò con Mussi lo stesso; Angius e Spini uscirono da Sd perché erano socialisti ma riformisti; per il Pd l’alleanza col Prc andava bene, ma solo con Vendola, al quale però accadde di perdere il congresso e quindi uscì dal partito; al Psi Sinistra e Libertà andava bene, ma solo come cartello elettorale, e così per i Verdi (lo fece anche l’Udeur con la Margherita nel 2001, per la cronaca); Salvi, siccome era socialista, uscì da Sd e resuscitò Socialismo 2000, che aderì alla Fds; Rizzo e Diliberto si accusavano sulle pagine del Corriere di essere massoni e non comunisti; Sel era per l’alleanza organica col Pd (ma solo quello di Bersani), il Prc era contro, mentre il Pdci voleva un “diritto di tribuna” (Diliberto) per fare poi l’opposizione dopo essere stato eletto nelle liste Pd; Pegolo si staccò da Giannini che si era staccato da Grassi…
L’impressione è che a questo lungo dibattito, avvincente tanto quanto la trasformazione del Pdci in Pcd’I e poi in Pci, manchi un richiamo di realtà su alcune questioni importanti.
Primo: esiste uno spazio per un partito più a sinistra del maggior partito di sinistra? Le esperienze del Partito comunista internazionalista, del Pcd’I(m-l), del manifesto, della Sinistra arcobaleno, di Rivoluzione civile, di Possibile e della stessa Sel dicono di no. Solo Rifondazione è riuscita a mantenere per quindici anni un certo spazio di manovra.
Secondo: se le possibilità sono così scarse, ha davvero un senso e/o un’utilità interrogarsi sul futuro del ceto politico? Salvi e Villone rappresentano qualcuno, oltre a se stessi? E Civati? (Cofferati, almeno, al momento si contenta di farsi stipendiare al Parlamento europeo senza fingere di avere velleità politiche.)
Terzo: in ogni caso, ha senso ipotizzare alchimie spurie tra forze politiche che non possono incontrarsi su un programma comune? Giordano nel 2008 propose a Veltroni un’alleanza «per rendere meno netta la vittoria di Berlusconi»; Bersani nel 2010 difendeva la politica di alleanze larghe «per non lasciare Regioni alla destra» e ancora nel 2013 chiedeva a Ingroia una desistenza sulla base di non si sa quale principio politico (la carità cristiana?).
Quarto: per vincere, la sinistra deve andare più a sinistra? Sanders, Corbyn e per il momento Hamon sembrano rispondere di no (e così anche lo stesso Bersani, che guidava il centrosinistra più sinistra di sempre). Anche il Front de gauche non ha un buon curriculum nei ballottaggi contro il Front national.
Ogni volta che si arriva a ridosso delle elezioni, la sinistra giunge puntualmente impreparata. Il 2017 non sembra rappresentare, da questo punto di vista, un’eccezione: anche se si aspettasse la fine naturale della legislatura per tornare alle urne, è quasi certo che la situazione risulterebbe confusionaria e frammentata come quella attuale. È il naturale esito dell’incapacità cronica di elaborare un programma condiviso e una linea politica che riesca a produrre una sintesi feconda di contenuti e idee orientata alla costituzione di un progetto collettivo credibile ed efficace. Come al solito, in mancanza di una strategia, ci si affida alla tattica elettorale. Che ha già ampiamente dimostrato di non portare a risultati utili.
Anche perché sul tavolo ci sono sempre le stesse, fallimentari, alternative. I malesseri all’interno del PD portano ad evocare, in questi giorni, l’immagine poco rassicurante e soprattutto poco credibile di un “listone della sinistra”, accozzaglia di (poche) forze e (tante) personalità politiche a vario titolo collocabili nell’universo della sinistra radicale. Una versione del tutto simile e forse un po’ più pretenziosa della Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione Civile. Sempre meglio dell’idea di Bersani di un “Ulivo 4.0”? Sì, ma solo perché al peggio non c’è mai fine. Anzi forse c’è: Cuperlo che cita Ramazzotti.