1) definisce “lugubri” i risultati delle elezioni francesi;
2) che Macron ha raccolto i voti dei ceti medi (fra i quali la Rossanda comprende anche gli operai) decisi ad abbandonare la sinistra;
3) si duole del pessimo risultato delle candidature operaie di tendenza trotzkista (Philippe Poutu e Nathalie Arthaud);
4) critica Mélenchon per non aver voluto unire (ovvero cedere a gratis) i suoi voti a quelli di Hamon;
5) lo critica ulteriormente per non aver voluto seguire gli altri candidati (Hamon, Poutu e la Arthaud) che hanno dato immediatamente indicazione di voto per Macron.
Cerchiamo di analizzare le questioni una per una.
Per quanto riguarda il primo punto è chiaro che ci si può dolere di un risultato elettorale, ma questo rimane quello che è, e non cambia perché la Rossanda se ne duole, la sua affermazione ricorda quella di Saragat che nel 1953 di fronte al fallimento della legge truffa parlò di “destino cinico e baro”, permettendo così a Pajetta di coniare la famosa battuta sul Cynic Bar.
In quanto poi al voto dei ceti medi che comprenderebbero anche gli operai, come si spiega il voto di una città come Tolosa, sede di una grande industria tecnologicamente avanzata come il consorzio aeronautico Airbus, ossia di una classe operaia di condizione assai prossima al ceto medio, che ha visto Melenchon arrivare in testa col 29,7% dei voti davanti a Macron. Per la cronaca Melenchon è arrivato in testa in 11 delle 39 città della Francia metropolitana superiori ai 100.000 abitanti: Marsiglia, Tolosa, Montpellier, Lilla, Le Havre, Saint Etienne, Gronoble, Nimes, Saint Denis, Argenteuil, Montreuil.
Anche il voto della periferia parigina e dei quartieri popolari della capitale dimostrano la superficialità di certe analisi, crisi sociale, tensioni razziali e pulsioni razziste avevano indotto i commentatori a predire un’avanzata clamorosa per la Le Pen, che è invece rimasta al palo mentre ottimi sono stati i risultati per Mélenchon.
In realtà la quadripartizione del voto per le presidenziali francesi, con quattro candidati divisi da una manciata di punti, dimostra la complessità di interpretare il risultato sul piano delle appartenenze sociali. Inoltre la grande mobilitazione dei mesi scorsi contro la loi du travail promossa dal governo “socialista” ha avuto o no influenza sul voto?
In quanto alle candidature operaie, mi limito ad osservare come esse siano simpatiche alla sinistra borghese italiana per la Francia, molto meno per l’Italia dove si preferiscono quelle della società civile o di intellettuali.
Infine il “settarismo” di Mélenchon. In questo caso, se il ragionamento della Rossanda è esatto, c’è da chiedersi perché non abbia rivolto lo stesso rimprovero a Poutou e Arthaud, i cui voti uniti a quelli di Mélenchon avrebbero consentito a quest’ultimo di superare la Le Pen, sia pure di soli 8.739, ed accedere così al ballottaggio con Macron. Oltre a questo argomento c’è anche il fatto che nei sondaggi fin da gennaio Mélenchon e Hamon erano dati alla pari, mentre dalla metà di febbraio il primo ha cominciato a prevalere sul secondo in maniera via via crescente. Allora perché Hamon non ha desistito a favore di Melenchon?
Infine la colpa più grave, quella di non essersi schierato sic et simpliciter immediatamente con Macron, un’accusa condivisa che gli viene rivolta anche, guarda un po’ anche da vari esponenti del nostrano Pd. In realtà non c’è alcuna convergenza rosso/bruna, i sostenitori di Melenchon sono stati gli unici a scendere in piazza contro la Le Pen e a contrastare le sue posizioni razziste e non solo a fare esorcismi a distanza.
Mélenchen è stato chiaro: a) ha ribadito i valori antifascisti e antirazzisti della sua candidatura, b) ha dichiarato che gli elettori sono adulti razionali e non hanno bisogno di suggerimenti;c) che il candidato non è il padrone dei voti ricevuti.
Marine Le Pen è sicuramente un personaggio detestabile, le sue posizioni politiche ripugnanti, ma si può combatterla anche senza per questo essere costretti a dare una cambiale in bianco al centrista e liberista Macron.