L’autunno delle piazze quest’anno sarà inaugurato dai professionisti dei beni culturali. Una ventata di aria fresca per un movimento spesso diviso da assurde sfumature interne e che, mai come questa volta, prova a presentarsi compatto e pronto ad alzare la voce.
Con l'accordo tra governo e Arcelor Mittal la pluriennale questione ILVA, resa famosa dal caso Taranto ma in realtà riguardante anche altri siti produttivi più piccoli nel Nord Italia, sembra finalmente avviarsi ad una chiusura.
Ma davvero le problematiche di natura sociale ed ambientale che avevano causato l'emergenza e l'intervento dello Stato sono state risolte una volta per tutte? Con questo ed altri interrogativi ci confrontiamo questa settimana, nella nostra rubrica a più mani.
I dati congiunturali sull'occupazione vengono ormai accolti dalla stampa tra vere e proprie grida di giubilo, come se vi fosse una riduzione strutturale della disoccupazione in corso.
La metà del personale delle università nipponiche è costituito da lavoratori a tempo parziale e precari. Il dato emerge da una ricerca realizzata dal quotidiano Asahi Shimbun su 751 atenei nel 2017 (659 le università che hanno risposto al questionario). Stando ai numeri i lavoratori a tempo pieno ammontano a 169.458 mentre i part time sono 169.164 (cioè quasi lo stesso numero). Anche tra quanti lavorano a tempo pieno appena il 26,2% (44.401 lavoratori) hanno un contratto a tempo indeterminato.
Un pasticcio chiamato Scuola del Patrimonio
La formazione da un po' di tempo a questa parte, nel nostro Paese, sta assumendo sempre più i connotati di un'eterna esperienza ciclica che pare non voler terminare mai.
I problemi dell'università italiana nell'ultimo atto della trilogia di Smetto quando voglio
Questa settimana abbiamo scelto la realtà e la finzione. Samuele Staderini vi parlerà di quello che sta succedendo nell'università italiana, secondo la sua esperienza. Tommaso Alvisi, invece, ne ha parlato attraverso un film che ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Segnale evidente che questo tema è piuttosto dibattuto nel contesto italiano contemporaneo.
L’uscita del capitolo finale della trilogia di Smetto quando voglio ci porta, inevitabilmente, a fare una riflessione sul mondo della ricerca italiana e sul sistema che la governa. Nei film, chiaramente esagerato (ma non troppo), si vede l’esasperazione di una generazione di ricercatori frustrati che, non potendo contare su alcun sostegno meritocratico, finiscono per scivolare nel delinquere per poter portare avanti la loro ricerca (e sopravvivere economicamente). Ma come si vive realmente nel sistema della ricerca italiana? È davvero così che il Bel Paese tratta le sue risorse intellettuali migliori?
Non è lavoro, è sfruttamento (Marta Fana): il saggio del momento
Potremmo definirlo il saggio del momento. Almeno a sinistra, ma l’ambito pare troppo delimitante, se si dà un occhio ai dati delle vendite (seconda edizione dopo una settimana, ci informa Laterza).
"In questi ultimi giorni l’immagine dell’Università che viene delineata dai giornali non è delle migliori. Però la riuscita di questo evento ci mostra come questa produca tante cose positive: la riuscita di questa terza edizione del Career Day, con l’altissimo numero di utenti, mostrano il bello della nostra comunità”.
Con queste parole il Rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei ha dato il benvenuto alle migliaia di partecipanti al Career Day organizzato per il 27 e 28 settembre da Almalaurea all’Obihall. Parole agghiaccianti da qualsiasi prospettiva le si approccino ma che ci permettono di mettere in luce (come se ce ne fosse effettivamente bisogno…) il male del sistema accademico del nostro paese.
Io non sono la Coop, sono uno scrittore
di Daniele Coltrinari
In un mondo (occidentale ed europeo e soprattutto italiano) che a volte mi sembra sempre più omologato e banale, può capitare di incontrare delle persone che ti fanno pensare: no, non è esattamente così, forse c'è ancora qualche possibilità di cambiamento.
Giovanni Orlandini
Un fantasma si aggira per il mercato del lavoro italiano. Si tratta del lavoro a progetto (c.d. co.co.pro.), del quale il Governo ha annunciato la scomparsa presentando i decreti attuativi del Jobs Act. A partire dal primo gennaio 2016 non sarà infatti più possibile assumere con questa forma contrattuale, il che – si sostiene- comporterà la fine della precarietà per circa mezzo milione di lavoratori “autonomi”. Certo, al posto del contratto a progetto, ai lavoratori spetterà l’assunzione con il nuovo contratto a tutele crescenti, privo delle tutele in caso di licenziamento illegittimo. Ma si tratta comunque di un sostanziale miglioramento delle loro condizioni di occupazione.
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