In breve, la formula ormai impellente sembra proprio essere la fuoriuscita dall'egemonismo neoliberista, che però sembra lontana dal volere essere realizzata dalle alte sfere del mondo politico, italiano ed europeo. Ciò che manca soprattutto è infatti la volontà legislativa per pensare veramente a sistemi e modelli alternativi. Dobbiamo renderci conto che la motivazione che ci impone di accettare sacrifici e politiche di Austerity, ovvero la crescita dello spread o la fiducia dei mercati, non sono che meschini ricatti che nascondono i veri motivi che ci hanno portato alla condizione in cui siamo, che mascherano quelle dinamiche di mercato che sembrano costituire la cura mentre sono il veleno. Le vere cause della crisi italiana, dichiara Baranes, non sono da rintracciare nell'eccesso di welfare, nel fatto che spendiamo troppo, nel debito troppo alto ecc ecc.., come ci ripetono incessantemente, ma è soprattutto nel potere di quattro banche private che controllano i derivati (contratti o titoli il cui prezzo sia basato sul valore di mercato di azioni, tassi di interesse, valute ecc..), per un valore complessivo che supera i duecento miliardi di euro. La finanza, privata e pubblica, lontana dall'essere uno strumento al servizio dell'economia del paese è diventata strumento di asservimento e di ricatto e noi dobbiamo cominciare ad aprire gli occhi di fronte a questa logica folle e distorta, cominciando, dal basso, anche a chiedersi, innanzitutto che fine facciano davvero i nostri soldi, che uso ne viene fatto. Siamo marionette strozzate dentro un sistema finanziario marcio che dovrebbe esser la risoluzione della crisi e invece ne è stata la principale causa.
Su questo punto, sono uscite varie e diverse proposte: secondo Rinaldini dobbiamo lavorare sulla ripubblicizzazione del credito, ricomprare le banche (ai valori della borsa attuali), con quei 40 miliardi di euro versati dal governo al fondo salva stai (MES) e alle altre varie forme di “salvataggio”(e di cui i cittadini subiscono le disastrose conseguenze pagandone il prezzo) e recuperare così quegli oltre 500 miliardi che gonfiano la pancia delle banche centrali (bankitalia, BCE, altre banche italiane) hanno “trovato” (sarebbe più appropriato dire “creato”) per comprare BTP e titoli di stato, mentre il paese viene dissanguato con circa 30-35 miliardi di tasse da pagare ogni anno. Non dimentichiamo inoltre, come ricorda Flavia Fortunati che anche dentro la finanza cosiddetta “pulita” e dentro tutti i suoi ingenti capitali, si insidia il germe della criminalità organizzata, cancro che uccide il corpo sociale. Andrea Di Stefano parla di capitalismo cannibale di cui la finanza è stata solo lo strumento, “aiutata”, almeno in Italia da una classe dirigente che ha contribuito allo sfacelo del paese. Ci vuole una riforma fiscale (parlare seriamene di riforme fiscali che vadano in direzione di una riconversione ambientale, energetica, tipo la carbon tax); un piano industriale nuovo; una mobilità sostenibile e un'efficienza energetica; occorre riprendersi la diffusione della rete che si va privatizzando sempre di più; e soprattutto puntare sulle eccellenze del paese, le risorse intellettuali investendo in ricerca e innovazione. Deve essere ridefinita la questione dell'allocazione del debito (quindi no a tutte le operazioni dannose o totalmente inutili che vedono scialacquare miliardi in opere come TAV, lo stretto o nell'acquisto degli F35).
Ovviamente in questa spirale soffocante del sistema finanziario e di mercato è il lavoro che risulta più colpito. Per tutti i relatori infatti la principale urgenza è quella di garantire il reddito minimo incondizionato per tutti, chiave che permette al lavoratore di scegliere e non di subire il ricatto di esser pagato meno di quanto avrebbe diritto (o non esser pagato affatto, il più delle volte, soprattutto nel caso dei giovani, perché tanto “l'importante è ampliare il curriculum”), pur di avere almeno un lavoro. Lavoro e contratti che si sono totalmente modificati, mortificati, diritti che sembravano ineliminabili e ottenuti con “sudore e sangue”, sono stati cancellati. Il lavoro è diventato precario, come ribadisce Monica Pasquino, siamo disposti ad accettare compromessi ignobili (a un professionista su due viene chiesto di fare consulenza o altri lavori gratuitamente), le donne ottengono posti fissi solo se non hanno figli a carico,(solo il 19% di donne tra i 20 e i 35 anni ce l'hanno). Il reddito minimo garantito è l'unica risposta per non cadere in questi ricatti e anche per insegnare alle persone a crescere. I sindacati devono recuperare i loro obiettivi fondamentali, i loro ruoli fondamentali perchè oggi si sono spogliati di questi e quindi sono ben lontani dal costituire lo scudo di protezione nelle mani del lavoratore, la figura sindacale ha perso la capacità di fare della debolezza del soggetto una forza di trasformazione e anzi, è diventata uno strumento di controllo del lavoratore nelle mani delle imprese Il mercato oltretutto ci ha reso merci, mercifica individui e beni pubblici: “uomini e donne sono corpi attraversati dal lavoro per tutta la loro vita; un lavoratore rimane nel mercato fino a settanta anni, grazie alla riforma sulle pensioni”, dice Rinaldini. Ogni lavoratore non rappresenta una soggettività ma semplicemente un numero, una cifra (“siamo gli 1+1+1+...”), il suo valore è determinato solo da quanto “procura”, rende nel circolo economico di cui fa parte; è schiacciato nella sua attività e la difende: assistiamo a uno “spezzamento schizofrenico delle persone”. Si deve recuperare un punto di vista che sia quello del soggetto e non solo quello del capitale. Tale proposizione emerge anche nella testimonianza dell'operaio Brambillaschi che, tra le altre cose, parla di creazione di comitati per sostenere la mobilitazione e lo sciopero dei lavoratori, di costruzione di comitati di lotta dei lavoratori, di istituzione di un nuovo meccanismo di scala mobile dei salari, di lotta per la convocazione di uno sciopero unitario, di cancellazione della riforma sull'art. 18, di abolizione delle ore lavorative extra non pagate, di gestione dei servizi pubblici da parte degli utenti e dei lavoratori e naturalmente di reddito minimo garantito.
Per Viale uno dei modi per uscire dalla crisi è ridare peso alle amministrazioni locali che esautorati dei loro “poteri” (si pensi solo al paraggio di bilancio), qualora volessero (non sempre i sindaci li vediamo schierarsi dalla parte di chi perde il lavoro o comunque dei soggetti oggi più svantaggiati) non possono neanche fornire quel sostegno necessario di cui avrebbero bisogno tutte quelle attività commerciali o culturali che stanno fallendo, o chiudendo, o smantellandosi. Così come è necessario riappropriarsi (in vista anche di una loro possibile riconversione ambientale) di tutti quei beni pubblici che stanno precipitando nella sempre più endemica privatizzazione (trasporti, energia, acqua..), in modo che essi possano costituire uno degli strumenti di gestione dal basso, di partecipazione veramente democratica. Bruno Iossa, economista, non ha paura a parlare di socialismo, recuperandolo nella sua vera identità (che oggi è stata appiattita e banalizzata) che non è la pianificazione centralizzata, ma, come si legge in uno degli ultimi articoli scritti da Lenin, intitolato “della cooperazione” - del 1923 – “il socialismo è la gestione democratica del lavoro”, un sistema di gestione democratica delle imprese che provenga dal lavoro e non dal capitale, come hanno studiato grossi economisti.
Durante gli interventi è risuonata spesso anche la parola Europa: “Dobbiamo cambiare pagina, la centralità deve essere quella dei movimenti, e della trasformazione civile. Serve la costruzione di una cittadinanza europea che passi attraverso le questioni di società, riconfigurazione del lavoro, gestione dei beni comuni; serve una cittadinanza allargata e un governo capace di creare un' armonizzazione dell'Europa, che oggi non c'è, cambiando le caratteristiche del sistema “export”(il diktat) tedesco che ha dettato le linee fino ad ora” , sentiamo dalle parole di Musacchio. Il quale aggiunge di vedere Syriza, (formazione che raccoglie le forze della sinistra greca e che si ispira all'anticapitalismo, al socialismo democratico e all'ambientalismo) come come modello da imitare, in quanto nella crisi non si è fatto partito quanto piuttosto società e il cui leader Alexis Tsipras, non si identifica nel capo-padrone ma simboleggia la società stessa. Un'altra domanda da porsi è anche quella che si chiede se convenga o meno rimanere in Europa e cosa questo comporti. La seconda sessione si conclude con la lettura del documento di Alba, che tra le altre cose, propone la creazione di gruppi di lavoro aperti a tutti, che aprano e sviluppino tutte le suggestioni e le riflessioni che sono emerse durante l'assemblea, con l'obiettivo di trovare possibili risposte e soluzioni concrete al flagello che sta annichelendo la nostra società, politicamente, economicamente e culturalmente.
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