Martedì, 16 Aprile 2013 00:00

Strategie: come non vincere a sinistra

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Interessanti strategie si ripetono con lo scorrere delle settimane, quasi dalle urne non fosse risultata evidente la marginalità della sinistra italiana rispetto all'elettorato del paese.

La "strategia dell'acqua Lete", riprendendo una nota pubblicità del recente passato, è quella caratteristica di chi interroga uno spazio non definito, chiedendo ripetutamente, quasi ossessivamente: "c'è nessuno"? L'insistenza della domanda è proporzionale all'assenza di risposte, quasi il silenzio fosse una giustificazione per l'inevitabilità della strategia stessa.

La "stategia del professore in cattedra" è un'evoluzione del semplicistico atteggiamento che si basa sull'assioma: il popolo non capisce. L'analisi è chiara e limpida: chi ha diretto fino ad oggi la sinistra non è stato capace di parlare alla pancia, per ingenuità o malafede. Tutto ciò che accade è previsto, basta solo comprendere come educare i lavoratori e stracciare il velo di Maya del populismo. 

La "strategia dell'universo in espansione" è stata valorizzata in un periodo successivo rispetto alla sua teorizzazione. La soluzione alla crisi della sinistra avviene attraverso una frattura sostanziale: un grande big bang che riduca in particelle e annulli quanto di organizzato esiste (dal Partito Democratico a Rifondazione Comunista), per una ricomposizione primordiale che avvi un processo di progressivo sviluppo.

La "strategia del Coniglio Bianco" si bassa sull'assunto che il problema si misura in un ritardo temporale, da compensare partendo il prima possibile, anche se si ignorano destinazione e mezzi di viaggio. Il movimento per sé come condizione imprescindibile.

La "strategia della defenestrazione" può seguire applicazioni variabili, a seconda del fattore soggettivo che si decide di applicare: il fulcro sta nel ricambio dei dirigenti, secondo categorie anagrafiche, generazionali o di appartenenza. Tagliare teste, defenestrare, ottenere dimissioni: la drasticità del metodo è proporzionale ovviamente ai rapporti di forza disponibili.

La "strategia di Stakanov"è quella di più facile diffusione tra il corpo militante della sinistra. L'assunto è: "basta fare". Il problema diventano i discorsi e le troppe riunioni. Il consenso si misura a cottimo, neanche fosse un prodotto da fabbrica Olivetti degli anni '60.

Il problema di queste strategie, come di altre, è l'assenza di progettualità. Non si affrontano i problemi dei rapporti di produzione e quindi dei rapporti di forza all'interno della società, così come di un'eventuale gestione del potere. Il "che fare" sostituisce il "perché fare", come fosse una necessità storica, o metafisica, l'esistenza di una forza di sinistra radicale. Il soggettivo al posto dell'oggettivo, l'io che prevale sul noi: ci si ferma il giusto a riflettere sulle forme organizzative, inseguendo le mille suggestioni che arrivano dagli eventi internazionali e nazionali. Non ci si interroga sui mezzi, sulle destinazioni, sui percorsi. Ogni strategia ad oggi egemone, nella frastagliata "sinistra delle zanzare", pare dare per scontato che esista uno spazio, anche se ristretto, in cui ricollocarsi, senza rassegnarsi a tempi lunghi: perché in politica non ci si può condannare all'impotenza o all'inattività, per cui meglio agire nell'immediato senza interrogarsi sul futuro, piuttosto che interrogarsi sul futuro per scoprire di non assolvere a nessuna funziona storica.

Se sono i meccanismi della rappresentanza ad essere in crisi, con un mutamento sostanziale dei mezzi che producono informazione e consenso, c'è una questione essenziale da affrontare: esiste una classe sociale, non in esaurimento, i cui interessi necessitano la presenza di una forza politica organizzata ancora legata alle categorie della sinistra europea del '900? Se questa esiste in termini oggettivi, non esiste nella percezione della maggioranza assoluta della popolazione (e dei lavoratori). I partiti nel Parlamento italiano sono tutti basati su una visione che al massimo prevede una distinzione tra corrotti e onesti, poveri e ricchi, vecchio e giovani, privilegiati e vittime. Un risultato simile, che si ripete per due volte consecutive, nell'arco di diversi anni, non può lasciare grandi speranze sull'efficacia di strategie estemporanee, più simili a manovre disperate che a seri progetti basati su analisi quasi scientifiche.

Immagine tratta da www.fark.com

Ultima modifica il Martedì, 16 Aprile 2013 00:18
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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