Lunedì, 03 Giugno 2013 00:00

Rifondazione è morta, viva Rifondazione

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Insieme ad altri giovani compagni abbiamo provato a lanciare una discussione sull’attualità di dirsi comunisti nel 2013 in Italia, alla luce dei risultati elettorali nazionali degli ultimi anni. Lo abbiamo fatto ponendo domande e una questione di metodo, convinti che ripartire da zero implichi il non dare per scontato gli elementi fondamentali. 

Alcuni parziali risposte a titolo personale forse possono aiutare il confronto.

Intanto “partire da zero” è un artificio retorico di dubbia correttezza. Rifondazione Comunista ha più di 20 anni di storia e un patrimonio di 31.901 iscritti (al 2012), provati da scissioni e divisioni intestine.

Raccontarsi ai coetanei con cui ci si ritrova all’università o in altri spazi di aggregazione è cosa complicata: sai il mio partito perde migliaia di iscritti ogni anno (ultimamente), i suoi segretari nazionali sono tutti usciti e le scissioni le abbiamo avute tanto da sinistra, quanto da destra. Non solo! Siamo fuori dal Parlamento da due tornate elettorali, faremo un congresso lungo diversi mesi e la discussione vera ancora non è iniziata. Però ci sono già alcune posizioni in negativo, nel senso che pezzi di partito sono convinti di sapere cosa vogliono altri pezzi. Si delinea una realtà che rischia di plasmarsi e adeguarsi ai pregiudizi, schierando eserciti inesistenti su opzioni slegate dai processi reali.

Quelli che sono i soliti venduti, che sarebbe bene andassero con Nicola da Terlizzi o direttamente con il Male (che non è la destra, ma il Partito Democratico e la stragrande maggioranza della CGIL). Poi ci sono quelli che vorrebbero rifare una sorta di Democrazia Proletaria (che già sapere cosa è segna una distanza profonda con i propri coetanei, utilizzarla come accusa è un chiaro segno di autoreferenzialità). Poi ci sono quelli che con il marxismo-leninismo pensano di trovare le risposte, al livello dei creazionisti con i testi sacri, attaccati all’idea di fare di Rifondazione un partito comunista sullo stile della III internazionale (altra categoria aliena al presente, purtroppo). Poi ci sono quelli che con l’unità dei partiti comunisti, o almeno di PRC (quello di Bertinotti, imitato da Guzzanti) e PdCI (quello di Diliberto, il tipo della salma di Lenin da riportare in Italia)... E via così, con stereotipi difficili da veicolare all'esterno, sperando che nessuno legga le deliranti dinamiche che segnano la comunità di quelli che si definiscono comunisti, pronti a offendersi, a ironizzare a distanza, piuttosto che disponibili a discutere e fare sintesi. 

Se ci si confronta apertamente e sui contenuti si è costretti a mettersi in discussione. Se si sceglie il metodo di minimizzare la dialettica, ci si può abbandonare nell’amara dolcezza del rancore e del pregiudizio. Per usare una metafora aulica: quando una costruzione del Lego va in pezzi, o si fa finta di niente, guardando quel che è rimasto incastrato alla base e dissertando su chi ha colpa, o si prova a ricostruire qualcosa, anche aggiungendo altri pezzi, senza per forza dover perseguire lo stesso progetto che aveva mosso all’inizio.

Il congresso di Rifondazione rischia di delinearsi con le peggiori modalità possibili (stiamo comunque parlando del partito con più iscritti a sinistra del PD, anche se privo di rappresentanza parlamentare). Il clima che si trova nei circoli è favorevole ad un ulteriore indebolimento della sinistra italiana. Conte che allineano i più attivi, che soffiano sulla pancia della rabbia e della delusione, che spingeranno nuovi e vecchi compagni ad allontanarsi.

Prendere atto che la spinta propulsiva del PRC si è esaurita vuol dire affrontare un congresso a viso aperto, con la testa alta per l’orgoglio della nostra storia e il rispetto verso l’impegno quotidiano di chi manda avanti le sezioni e le feste, senza considerare con sufficienza nessuno, senza esprimere giudizi idioti, come invece si fa alle elementari (il bambino ciccione, quello che farfuglia, ...). 

Non presentare documenti sulla fase, ma offrire una discussione sul perché stare insieme, sul cosa fare insieme. Essere comunisti vuol dire organizzare una “disciplinata volontà per fondare uno Stato”, dando sistemazione alle “forze fisiche esistenti” per “gettare le basi della libertà”? Essere convinti di queste parole di Gramsci vuol dire tornarsi a collocare in una dimensione storica e non provinciale, in cui da soli non siamo che singoli impotenti e in balia di misere pulsioni. Vuol dire accettare il concetto di una disciplina che nasce a livello interiore e si plasma sul rispetto dei propri compagni di viaggio.

C’è un’intera estate per provare a ritrovarsi con i compagni nei territori e ridare un senso al nostro agire, coinvolgendo anche chi non è mai stato iscritto o i molti che sono stati iscritti ma si sono allontanati. Ricostruire un entusiasmo fatto di obiettivi intermedi, che rispondano alle necessità dell’agibilità politica (come la si fa, dove si trovano le risorse, quali iniziative ci si propone di portare avanti), attraverso un ripensamento complessivo delle modalità di azione e (soprattutto) di comunicazione. 

Le forze sono poche e malmesse. La cosa peggiore sarebbe rinchiudersi nel proprio ego e, per cinismo rassegnato, collocarsi fuori da un’idea di dimensione collettiva effettiva e sostanziale (non basta dirsi di sinistra, o riferirsi a categorie astratte). Non è detto che sia possibile rimediare nel breve periodo. Ma non c’è molto altro da fare.

Immagine tratta da tos.trekcore.com

Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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