Mercoledì, 23 Ottobre 2013 00:00

La lotta di classe dimenticata dalla sinistra (ma non dagli altri)

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Le classi borghesi dominanti praticano da sempre la lotta di classe con tutti i mezzi a concreta disposizione, frutto storico-politico mobile e mutevole della lotta di classe stessa; e però da sempre celano che si tratti da parte loro di lotta di classe. Esse non porterebbero, dichiarano, interessi di parte antagonistici rispetto ad altri interessi di parte, sarebbero un'élite di funzionari preposti all'interesse generale della società, riassumibile nella riproduzione allargata della sua base produttiva, di conseguenza della ricchezza a disposizione della società; e se questa loro funzione si accompagna a privilegi materiali e alla disponibilità dello stato, in tutti i sensi, alle loro richieste, è perché se lo sono guadagnato per merito, con il sudore della fronte.

La proprietà stessa dei mezzi di produzione, il potere di disporne, il potere di disporre di quanto essi producono non è che il risultato di questo loro sudore, oltre che un'utilità sociale.

La ragione vera per la quale queste classi celano che la loro è lotta di classe fu espressa a suo tempo in termini lucidi ed espliciti dal grande enciclopedista e fondatore dell'economia politica borghese Adam Smith. In un tempo in cui lo scontro politico in larga parte dell'Europa occidentale era tra i fautori di parlamenti liberali (rappresentativi degli uomini sopra a un determinato livello di reddito e dotati di istruzione) e i fautori di parlamenti democratici (rappresentativi degli uomini dell'intera popolazione, povera gente e analfabeti compresi), Adam Smith dichiarò che la democrazia, ponendo la possibilità che le grandi masse condizionassero lo stato, non coincideva con gli interessi dei detentori del potere economico, una ridotta minoranza (le prime elezioni dell'Italia unificata coinvolsero un corpo elettorale pari al 3 per cento della popolazione maschile adulta). Il potere del denaro, in altre parole, era dunque apertamente dichiarato da Smith come radicalmente antagonistico al potere delle masse, a quello del sorgente proletariato industriale in specie. Tuttavia la massa sociale in cambio della rinuncia a condizionare lo stato avrebbe ricevuto crescente benessere, sempre stando a Smith: la borghesia, indisturbata nello svolgimento degli affari, avrebbe creato il benessere della “nazione” come sottoprodotto di quello sviluppo economico alla quale era funzionalmente addetta.

Non andrà esattamente così: il benessere in Occidente le classi subalterne avrebbero dovuto strapparlo con le unghie e coi denti, assieme alla democrazia, grazie in primo luogo alla creazione e alle lotte del movimento operaio. Altrove nel mondo il benessere queste classi o non l'hanno ancora conquistato, o quel poco di cui dispongono lo debbono a lotte rivoluzionarie terribili e agli assetti socio-politici che ne sono derivati. Ma non è questa la sede di un'esposizione delle ragioni, inerenti alle possibilità reali stesse di funzionamento del capitalismo, per cui è andata così.

Non solo: se, soprattutto in Occidente, la lotta di classe ha consentito alle classi subalterne la conquista di benessere e di democrazia, sicché di vincoli all'esercizio dello sfruttamento capitalistico e alla sua produzione di miseria di massa, ciò tuttavia non ha mai visto la grande borghesia definitivamente arrendersi a questa realtà. Essa le è sempre stata molto scomoda. Quindi quando le circostanze della politica e i flussi di fondo negli orientamenti delle maggioranze sociali lo hanno consentito, la grande borghesia non ha esitato nello scatenamento o nel finanziamento di iniziative politiche di recupero autoritario di ciò che aveva dovuto concedere. Ciò riguardava in primo luogo il recupero pieno delle possibilità di esercizio dello sfruttamento; ma, al tempo stesso, la solidità di un tale risultato comportava la necessità di trasformazioni regressive radicali della forma dello stato, dei sistemi politici, degli apparati ideologici, ecc. In Italia tutto questo è reso evidente dalla manipolazione dei sistemi elettorali, dall'intenzione di rendere il potere di governo prevalente rispetto agli altri poteri dello stato, quindi dal tentativo di “riformare” la Costituzione, ecc.

L'ondata liberista, che partì dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna ormai più di trent'anni fa, favorita psicologicamente e culturalmente dalla crisi in cui era entrato il campo “socialista reale” europeo-orientale, e che rapidamente travolgerà in Occidente (e in buona parte del resto del mondo) ogni resistenza, anche in quanto colonizzerà culturalmente, più o meno alla svelta, le sinistre riformiste, non è che il secondo grande contrattacco borghese alle conquiste delle classi subalterne, e segnatamente dei proletariati industriali (quello precedente è stato il fascismo). Non vanno dimenticate del più recente contrattacco, per capire la sostanza delle cose, tappe ad alto significato simbolico come la lotta feroce e distruttiva di Margareth Thatcher contro i minatori e quella di Ronald Reagan contro i controllori di volo. Le forme istituzionali e i contenuti antisociali e liberisti-monetaristi dell'Unione Europea saranno tra le creature principali di quest'ondata. Né si capirà mai la causa dell'ossessiva determinazione dei vari poteri politici europei a difesa della dogmatica monetarista (del “rigore” di bilancio, ecc.), che hanno determinato danni gravissimi al complesso delle economie europee, compresa, benché meno, quella stessa tedesca, esponendole più delle altre economie mondiali alla crisi, se non si guarda al fatto che nella crisi non solo la massa delle popolazioni è diventata più povera ma gli straricchi sono diventati più ricchi (e tra essi gran parte dei ceti politici di comando, i vertici dei massmedia, ecc.).

Né si può evitare di considerare gli accadimenti di fine settembre negli Stati Uniti, la resistenza nazistoide della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti all'aumento del deficit pubblico, che ha determinato il possibile “fallimento tecnico” dello stato, odiosamente motivata dall'obiettivo di annullare quella riforma Obama che riconosce alla povera gente degli Stati Uniti il diritto a prestazioni sanitarie, come espressione essa pure della ferocia e dalla globalità della lotta di classe consentita alla grande borghesia dal liberismo. Rappresentate cioè dalla possibilità, in solido, di pratiche di gigantesco arricchimento anche a detrimento delle necessità elementari delle popolazioni, dal fatto che esse sono state accompagnate da trent'anni di martellanti propagande di supporto che hanno coinvolto la virtuale totalità degli apparati ideologici, dal fatto che il contenuto di queste propagande è penetrato a fondo nel grosso dei ceti politici, dal conseguente fatto che non è uno scandalo l'acquisto da parte dei maggiori interessi capitalistici di funzionari pubblici e di rappresentanti del popolo, ecc.

Gli eventi del momento mi obbligano di rammentare i terribili disastri al largo di Lampedusa, e come alle autorità dell'Unione Europea e al grosso dei suoi governi delle tragedie del Mediterraneo e dell'Africa non importi nulla, deplorazioni filistee a parte; e di aggiungere come il rapporto annuo dell'Unicef dica che in un anno continuano a morire nei paesi più poveri dell'Africa, soprattutto, ma anche dell'Asia 6 milioni e mezzo di bimbi di meno di cinque anni, per morbillo, denutrizione, dissenteria, perché non riescono ad accedere all'acqua potabile, e come queste morti non meritino neppure la deplorazione delle autorità occidentali. Mi pare infatti che anche questa sia spietata lotta di classe grande borghese.

Elementi di lotta di classe dal lato del mondo del lavoro e di movimenti popolari sono montati, in questi anni; l'odiosità delle richieste e la gravità dei disastri sociali grandi borghesi ha da un lato aperto la crisi dell'Unione Europea e del suo credo liberista e dall'altro obbligato la presidenza USA a respingere le pretese repubblicane. Tuttavia lo sviluppo di questa resistenza e, a maggior ragione, la possibilità di ampi contrattacchi popolari dipendono dalla possibilità di ricostituire un versante della politica, in tutto l'Occidente, collocato fino in fondo dal lato della lotta di classe del mondo del lavoro e capace di ricostruzione rapida di una propria base di massa, dunque nuovamente capace di una politica egemonica. Siamo lontani anni luce da questa realtà. Ciò a cui occorre ragionare oggi ancor più di ieri, in Occidente, in Europa e in modo sottolineato in Italia, è a come avviare un processo effettivo in questa direzione, con tutta la fermezza di fondo e con tutta la duttilità operativa necessarie. Tutto il resto, la bega intergruppettara, la demagogia delirante, la chiusura settaria, il movimentismo puro, prima riusciremo a toglierceli dai piedi meglio sarà.

Immagine tratta da libcom.org

Ultima modifica il Martedì, 22 Ottobre 2013 17:05
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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