Domenica, 17 Novembre 2013 00:00

Un pensiero per la sera. E per la sinistra.

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Sebbene ampiamente entrati nel terzo millennio, il termine "capitalismo" non perde il suo significato primordiale cioè quello di un processo di accumulazione del plusvalore e di riproduzione del capitale stesso. Pur mantenendo integre le proprie peculiarità il capitalismo si aggiorna e acquista nuovi significati in ogni epoca storica, in particolar modo questo è evidente se lo intendiamo come sistema economico-politico teso alla concentrazione del potere nelle mani di pochi a discapito dei molti e in questo contesto alla parola proletariato riconosciamo ancora il valore di differenza di classe.

Il capitalismo, così come conosciuto fino alla metà del Novecento è principalmente orientamento alla produzione, con un mercato caratterizzato dalla predominanza della domanda sull’offerta, questo dovuto anche al fatto che il “cliente” ha bisogno praticamente di tutto.

Buona parte del pensiero economico di sinistra si basa in quegli anni e nei successivi al soddisfacimento dei bisogni, questo in particolar modo si manifesta nelle democrazie occidentali nelle lotte per la difesa del posto di lavoro, nelle riforme agrarie e nell’abbattimento delle disparità in generale, al fine di raggiungere un accettabile tenore economico e di vita.

Non è un caso che le lotte ancora oggi, sia dal punto di vista della partecipazione che da quello della determinazione, siano più consistenti nei paesi dove i bisogni primari sono ancora tendenzialmente insoddisfatti o subiscono una forte contrazione a seguito di pesanti attacchi .

Dalla seconda metà del Novecento invece assistiamo ad una nuova strategia dove il capitalismo si orienta verso il marketing, modificando la legge della domanda e dell’offerta in un sistema dove è l’impresa stessa a svolgere un ruolo di indirizzo nei confronti del mercato. E’ il capitalismo stesso che per una logica di riproduzione interna crea nuovi desideri, facendo credere che essi costituiscano bisogni essenziali, questo anche grazie al supporto dei mass media, arrivando ad una dicotomia tra mercato e politica, dove al grido di: “ce lo chiede l’Europa”, oppure “i mercati impongono decisioni rapide”, quindi non possiamo non farlo. Questo non rappresenta altro che due facce della stessa medaglia in cui escluse rimangono le classi lavoratrici e/o meno abbienti, inoltre la globalizzazione e in particolar modo quella finanziaria sposta il riferimento di controparte dal livello nazionale a quello transnazionale rendendo ovviamente più difficile la lotta al liberalismo che sempre più sfrenato riesce a sottrarsi ad ogni tentativo di regolarizzazione anche attraverso la fuga di capitali e la delocalizzazione della produzione aumentando nel frattempo il gap tra una popolazione sempre più povera e un ristretto numero di straricchi (ivi compresi parte dei ceti politici di comando, vertici di massmedia, ecc). In questo scenario oltre all’impoverimento sempre più generalizzato assistiamo anche all’introduzione diffusa di forme di lavoro avulse dal concetto datore di lavoro salariato, sono i cosiddetti lavoratori atipici che in altri momenti sarebbero stati assimilati alla controparte in quanto (secondo il pensiero marxista) detentori dei mezzi di produzione, fossero anche i soli mezzi intellettuali (ma non solo) ma che in questo contesto almeno dal punto di vista economico e contrattuale si avvicinano sempre di più al proletariato. Sono una massa produttiva sempre più consistente che sia il sindacato sia la sinistra riesce difficilmente a intercettare, anche perché spesso parliamo di realtà individuali, isolate in vari processi produttivi spesso con contatti individuali quindi anche facilmente ricattabili eppure fortemente precarizzati al pari dei lavoratori contrattualizzati stabilmente.

In questo quadro la sinistra, pur senza rinunciare al proprio bagaglio teorico e di analisi, dovrebbe aprirsi ad nuovi concetti di “classe” rivedere in buona sostanza il proprio impianto ideologico.

Lo stesso dovrebbero fare i sindacati modificando il modo di fare sindacato, rappresentando il cambiamento di genere rilanciando nel contempo la protesta nel nome dell’estensione dei diritti sempre più negati. Contrastare e invertire la tendenza allo smantellamento dello stato sociale e alla precarizzazione recuperando un nuovo protagonismo del mondo del lavoro e del lavoro negato fondendosi con i movimenti sociali in una ripresa della lotta al capitalismo e al sistema bancario.

Su questo desolante scenario Rifondazione Comunista prova a ripartire in un congresso dopo anni di cocenti delusioni e in cui da tempo avrebbe dovuto rimettersi in gioco rivedendo in proprio ruolo, ripensando alla propria linea politica. Purtroppo ci sono 3 documenti alternativi e 6 emendamenti, proprio nel momento in cui sarebbe stato auspicabile che fosse dai congressi locali che scaturissero

le idee per la linea politica, che le esperienze e le diverse sensibilità messe a confronto producessero il dovuto cambiamento, dato che questo non dovrebbe soltanto essere un congresso ma un momento per ripensare la storia recente e il futuro della sinistra organizzata.

Un momento in cui ricostruire la sinistra con tutte le forze progressiste, i movimenti, i sindacati abbattendo vecchi steccati, generando un luogo di incontro e di elaborazione di molteplici istanze. Ricostruire un partito che mantenendo nel contempo la propria autonomia e centralità, sia capace di compiere scelte strategiche senza scivolare in opportunismi e/o tatticismi dettati dal momento, un partito che sappia cercare le proprie alleanze con tutte le espressioni di sinistra ovunque esse militino. Ricostruire un partito che offra una speranza di cambiamento e che sancisca che cambiare è possibile, ridando vita a un movimento di classe di cui sempre più si avverte la necessità.

Un partito che riconoscendo la propria parzialità sappia essere il motore di una sinistra finalmente riunificata nella lotta allo sfruttamento e alle storture del sistema capitalistico. Poco importa quale sarà il nome del segretario che uscirà alla fine visto che come vuole la tradizione leninista il segretario è solo il garante di una linea scaturita dal congresso e condivisa dal suo insieme secondo la buona norma del centralismo democratico, altrimenti il contrario sarebbe una convivio di correnti o peggio ancora una brutta riedizione di forme di consenso dell’apparato, leggi stalinismo.

 

P.S: Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Che cosa vogliamo? Vogliamo tutto. Continuava a arrivare gente da tutte le parti. […]La gente continuava a attaccare era tutta la popolazione che combatteva.[…] Ma adesso la cosa che li faceva muovere più che la rabbia era la gioia. La gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste esigenze che avevano sta lotta che facevano erano le esigenze di tutti era la lotta di tutti.

Ultima modifica il Sabato, 16 Novembre 2013 23:29
Roberto Travagli

Nato ad Ferrara il 03-10-1956, vivo a Firenze, Diplomato all'Istituto Tecnico Industriale. Militante in Lotta Continua durante gli anni '70. Dipendente del Comune di Firenze dove per alcuni anni ha collaborato con il sindacato (UIL Enti Locali). Ritornato alla politica attiva da poco tempo.

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