Di sionismo, ortodossia e terra: la trasformazione di Israele in uno stato confessionale
L’approccio alla storica questione israeliana e palestinese si è oramai arenato nella partigianeria politica. L’emotività suscitata dalle immagini di Gaza sotto il pesante attacco di queste ultime settimane da parte delle forze israeliane impedisce una analisi lucida sul percorso che ha portato a questo feroce scontro, oramai secolare. Il calderone in ebollizione della politica ha mescolato e ridefinito impropriamente termini storici come sionismo, panarabismo, ebraismo ecc.
Il Becco presenta:
Se il Duce ritornasse, tra Churchill e Stalin (sul grande schermo)
Cosa ricercate quando vi rinchiudete in una sala cinematografica? Intrattenimento, riflessione, divertimento, distrazione, commozione? I film a tema storico possono essere di diversi tipi: ci sono quelli con uno sfondo realistico molto sfumato (Il Gladiatore è forse l’esempio più immediato) e pellicole distanti dall’intento dello svago. A questa seconda categoria, indicativamente, possiamo ascrivere molte dei film usciti in questa prima parte del 2018.
Il ritorno del corpo di un re italiano...
Vittorio Emanuele III è stato re d'Italia in un periodo (dal 1900 al 1946) relativamente lungo e sicuramente intenso. Due conflitti mondiali, il fascismo e alla fine l'abdicazione, a cui seguì l'ultima parte della sua vita passata ad Alessandria d'Egitto, dove era rimasto il suo corpo.
Sette note in rosso
Fra tutte le arti, la musica, è quella che occupa un maggior spazio nostra vita. C’è sempre una canzone, un brano strumentale, una voce stonata che canticchia per gioia o rabbia, sotto la doccia o per strada. Un mondo senza suoni, canzoni, musica, è pressoché impossibile solo immaginarlo, figuriamoci sopportarlo! Per questo penso sia fondamentale porsi il seguente quesito: la musica può spiegare la Storia? Può, attraverso il suo linguaggio, far chiarezza su parti poco conosciute, taciute, rendere onore ai dimenticati? E se questo fosse possibile, in che modo potremmo pensare che abbia la stessa validità di una lunga ricerca da parte degli storici di professione?
INDIPENDENSA! - il referendum e la (presunta) identità Veneta – parte uno
Il 24 aprile 2017 Luca Zaia ha emanato un decreto per chiamare i veneti alle urne, con lo scopo di far scegliere ai cittadini se approvare o meno una maggiore autonomia regionale rispetto allo stato centrale. Nello stesso giorno anche nella Regione Lombardia si è tenuto un referendum non dissimile, che però è stato meno partecipato rispetto a quello del vicino orientale: l’affluenza in Veneto ha raggiunto quasi il 57,2%, mentre in Lombardia hanno votato solo il 38,2%. In tutti e due i referendum, la vittoria del sì è stata schiacciante.
Alla luce dei risultati dei due Referendum appare chiaro, anche per chi in Veneto non ha mai vissuto, che pur proponendo un quesito simile ed essendo accorpati in un’unica data, le due consultazioni nascevano da bisogni e sentimenti diversi, e sono stati vissuti dalla popolazione delle due regioni in maniera molto differente.
In particolare, il divario tra i risultati del referendum tra Lombardia e Veneto sono indicativi della differente storia politica e sociale dei due territori, in quanto rende evidente un sentimento “identitario venetista”, derivante da molteplici fattori economici e sociali, che ha pervaso la storia politica del Nord-Est negli ultimi decenni, e che in Lombardia è assente. Se si vuole capire a fondo il successo di questa consultazione, si deve quindi tenere in considerazione non solo ragioni politiche e finanziare, ma anche le narrazioni separatiste che da anni pervadono il nord Italia, in particolare il Nord-Est.
La stessa data del referendum è indicativa degli intenti degli enti promotori, ed è stata scelta per “fomentare” gli animi degli autonomisti. Questa è stata fissata in un giorno che per molti è altamente simbolico: il 22 ottobre 2017, nel giorno del 151° anniversario del plebiscito del Veneto (tenutosi il 21 e 22 ottobre 1866) che sancì la fine della terza guerra d'indipendenza e l'unificazione delle province venete e di quella di Mantova al Regno d'Italia. Annessione che per alcuni revisionisti storici sarebbe illegittima.
Un secondo dato da considerare è che questo referendum, oltre ad essersi svolto in una data particolarmente significativa, si inserisce in un periodo storico particolare, in cui la questione delle autonomie diventa sempre più importante a livello europeo. Dal referendum Scozzese alla Catalogna fino alla Brexit, lo scontro tra una società sempre più sovranazionale e le resistenze dei localismi sta trovando sempre più spazio nelle cronache internazionali. Queste tematiche non sono mancate durante la campagna elettorale, e a livello di società civile non sono mancate le manifestazioni di sostegno ai localismi, in primis alla Catalogna, in quanto “popolo oppresso (quello Veneto) solidale con un altro popolo oppresso (quello catalano)”.
Questo sentimento del Veneto come “stato occupato” dall’Italia non è una novità: in Veneto questo referendum ha cavalcato decenni di rivendicazioni indipendentiste, non tutte legate alla lega. Seppur questi movimenti siano solitamente legati a idee di Destra, essi hanno una storia che inizia molto prima degli anni ’90 e hanno poco da spartire col Carroccio. Per comprendere quanto la “voglia” di autonomia sia trasversale è eloquente un documento del 2012, quando il consiglio regionale del Veneto presentò la risoluzione n°44 per “il diritto del popolo Veneto alla compiuta attuazione della propria autodeterminazione”, firmata non solo da esponenti leghisti, promotori dell’iniziativa, ma anche da consiglieri di Forza Italia e di Rifondazione Comunista. A livello locale, importanti sindaci del PD come quelli dei capoluoghi di Treviso e Vicenza, si sono schierati apertamente per il sì. Il risultato del referendum in Veneto non è quindi da vedere come un successo della Lega, ma è un dato che oltrepassa i confini del partito in quanto va ad intaccare un movimento che esiste da più di cinquant'anni.
Chi vede in questo referendum la sconfitta del PD e del M5s non ha a mio avviso compreso che sono molte le forze politiche in campo che sostengono l’autonomia, o che aspirano a un Veneto a Statuto Speciale, come le altre regioni del Triveneto. L'abilità della Lega è stata quella di sfruttare al meglio un periodo favorevole e un risentimento nei confronti dello stato Italiano che esisteva ormai da anni, convogliando questi movimenti e questi bisogni identitari sotto la sua bandiera.
Da una parte, è vero che questo referendum non porterà probabilmente a nulla di concreto a livello politico (il caso dell’Emilia Romagna, che ha iniziato le pratiche dell’autonomia senza voto popolare è stato citato da tutti coloro che ne hanno criticato l'utilità); dal punto di vista simbolico, esso ha avuto un significato molto potente perché ha rafforzato il potere contrattuale tra il Veneto e Roma consacrando Zaia come uomo di punta della Lega. In secondo luogo, la consultazione ha messo in luce tutta una serie di sentimenti indipendentisti e identitari, di cui si preferiva ignorare l’esistenza, e che in genere venivano messi a tacere dalle tendenze “assimilazioniste” dello stato centrale. In questo modo ha anche ridato vigore a una serie di movimenti, spesso visti come “elementi folkloristici” pronti a utilizzare questo referendum per aumentare la propria forza.
Questa non è stata l'unica volta che è stato proposto un referendum per promuovere l'autonomia o addirittura l'indipendenza del Veneto. Infatti, nel corso degli anni diverse fazioni e gruppi politici hanno più volte cercato di ottenere il via libera per una consultazione popolare. L’ultimo di questi tentativi è avvenuto nel 2014, quando il partito “plebiscito.eu” tentò di cancellare l’annessione del Veneto al Regno d’Italia con un malriuscito referendum digitale nel 2014. Questo referendum costituiva un’azione simbolica, nata dopo una serie di tentativi fallimentari a livello istituzionale, quasi sempre bocciati in quanto in contrasto con la Costituzione.
Indipendentismo nella cultura popolare
Come accennato in precedenza, il 22 ottobre 1866 si è svolto il plebiscito del Veneto per sancire l'annessione al Regno d'Italia le terre cedute alla Francia dall'Impero austriaco a seguito della terza guerra di indipendenza. Si tratta di un fatto storico dibattuto, visto da alcuni storici come il primo atto di “colonialismo” verso la regione Veneta. Il plebiscito del 1866 è stato più volte messo in discussione da molteplici tentativi di revisionismo storico, che vedono nell’annessione all’Italia del Veneto un atto illegale, un inganno frutto di una truffa architettata dal Regno d’Italia. Questa visione venne ripresa da un gruppo di otto persone della campagna padovana denominato “Veneta Serenissima Armata”, più famosi come “i Serenissimi” (appellativo dato loro dai mass media), considerati come terroristi dallo Stato italiano, che occuparono simbolicamente tra l’8 e il 9 Maggio 1997 il campanile di san Marco dichiarando illegittima l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.
Il gruppo era armato di alcuni fucili e un “Tanko artigianale”, un autocarro travestito da carro armato. Nonostante non avessero grandi mezzi e la loro impresa sia durata poche ore, i Serenissimi ebbero un grosso impatto mediatico, portando la questione veneta anche sulla Cnn e diventarono un simbolo per tutta una serie di partiti e movimenti autonomisti. Nel 2014 si è tentato di ripetere l’impresa, ma è stata sventata dalle forze dell’ordine prima che il mezzo blindato venisse assemblato. Circa una quarantina di persone tra indipendentisti veneti e bresciani sono state arrestate, tra cui due ex-serenissimi. Da allora il “Tanko” è entrato nell’immaginario collettivo “Veneto”, protagonista di magliette e meme.
Oltre a queste azioni ad impatto, in molti sono stati gli episodi di singoli cittadini o movimenti che hanno cercato di mostrare la loro lontananza dallo Stato italiano, da sindaci che hanno esposto gigantesche bandiere del leone di san Marco, ai numerosi graffiti che inneggiano al Veneto stato. Numerosi sono i partiti che già dal nome presentano programmi politici improntati sull'indipendentismo o sull'autonomia dall'Italia, come Progetto Nord-Est (che mira alla costruzione di una Macro-Regione che comprenda tutte le tre Venezie), Indipendenza Veneta e Liga Veneta Repubblica. Ironia della sorte, dove non sono riusciti i vari referendum e gruppi eversivi è arrivato un errore della Lega: attualmente il tanto agognato Regio Decreto che sanciva l’annessione al Veneto non esiste più, in quanto Calderoli, durante il suo mandato come Ministro delle semplificazioni, ha dato alle fiamme – con un'azione dimostrativa - numerose norme, tra le quali quella dell’annessione del Veneto all’Italia.
Cos’è l’identità veneta?
“Tre millenni di civiltà hanno fatto del Veneto una regione ricca di arte, di tradizioni e di memoria e hanno consolidato una cultura locale, un insieme di parlate e unodo di “essere nel mondo” chiaramente determinato”. Questa descrizione viene dal sito della Regione Veneto, che presenta una sezione sull’identità e la lingua veneta al fine di mostrare “l’impegno della Regione nel favorire iniziative di ricerca, di divulgazione e di valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico su cui trova fondamento l’identità veneta”. Quest’impegno viene promosso tramite una serie di iniziative e finanziamenti tesi a diffondere la cultura e l’identità del territorio ai propri abitanti. Si tratta di una concezione dell’identità che l’antropologo Aime definisce come «istituzionale», come se l’identità di un popolo “fosse un elemento strutturale, in grado di essere gestito e organizzato dall’alto come scuola, industria, sanità, e non un valore che dovrebbe nascere dal basso ed essere continuamente rinegoziato”.
Ma in cosa consiste quest’identità veneta tanto decantata dai leghisti e dagli altri movimenti autonomisti/indipendentisti? Esiste una reale Identità Veneta tra la popolazione del Nord-Est?
In genere per comprendere il sentimento identitario di un popolo si guarda dapprima alla sua storia, alla sua lingua, alle sue tradizioni, ai suoi usi e costumi. Il Veneto storico si componeva della Venezia Euganea (attuale Regione Veneto), della Venezia Giulia (attuali province di Trieste e di Gorizia, l'Istria) e della Venezia Tridentina (attuale Provincia di Trento). Nonostante questi territori siano stati unificati per più di mille anni, la nostalgia per la Serenissima non fa parte dei discorsi identitari e politici di tutto il Nord-Est e attualmente a livello politico nessun trentino o friulano o istriano si è mai mosso a favore di un indipendentismo Veneto, né si sente legato a una cosiddetta “Identità Veneta”.
Da un punto di vista storico e culturale non si può parlare di un'identità veneta vera e propria, ma piuttosto si possono ritrovare delle analogie culturali e linguistiche tra i residenti nelle tre Venezie. D’altronde è difficile pensare al “popolo Veneto” come unitario: i modi di vivere e la stessa “łéngua vèneta” differiscono notevolmente, variando a seconda dei comuni e dei territori. Basti pensare alle enormi differenze che passano tra il Cadore - territorio di montagna con molti luoghi che rischiano lo spopolamento e l’abbandono - dove il dialetto non è una variante del veneto ma deriva dal Ladino e la Laguna veneziana - zona industriale densamente popolata affacciata sull’Adriatico - caratterizzata da stili di vita e necessità completamente diverse da quelle dei Cadorini e dove si parla il dialetto Veneziano (che presenta molteplici varianti al suo interno).
Dal punto di vista politico e amministrativo “i veneti” non si amano troppo tra di loro. Non è un caso che in quest’ultimo referendum fosse previsto per la sola Provincia di Belluno un ulteriore quesito, per chiedere una maggiore autonomia dalla Regione Veneto per il territorio bellunese. Questa Provincia è infatti completamente montuosa, ed ha bisogno di attenzioni specifiche, che non sempre Venezia riconosce; per questo motivo negli anni si è creato un malcontento contro l’amministrazione regionale, e da tempo molti partiti richiedono l’autonomia dal Veneto. Per motivi non dissimili nel corso degli ultimi anni sono stati ben 31 i referendum di comuni di confine, tra cui la stessa Cortina D’Ampezzo, che hanno richiesto l’annessione (motivandola spesso non solo per motivi fiscali, ma anche storico-culturali) al Trentino Alto-Adige o al Friuli Venezia Giulia. Nessun Comune ha mai sentito la necessità di passare alla Lombardia o all'Emilia Romagna.
Anche la narrazione politica della Lega palesa iper-localismi, che usano come punto di riferimento non la regione, ma i singoli territori: basti pensare che si è arrivati a farneticazioni deliranti quali quelle del fu sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini sull’esistenza di una fantomatica “Razza Piave”, priva di impurità.
Alla luce di queste riflessioni sembra difficile riuscire ad immaginare un’identità forte e compatta, tale da poter definire i veneti come popolo a sé stante, in perenne lotta con il potere centrale.
Scimmie europee e uomini africani
quando la paleontologia si interseca con la politica
È notizia degli ultimi giorni la scoperta da parte di un team di paleontologi tedeschi di uno strano primate preistorico che secondo gli scopritori mostrerebbe singolari affinità con gli ominidi ominini e in particolare con i generi Ardipithecus e Australopithecus pur essendo molto più antico di tali fossili (9,7 milioni di anni, contro i circa 5 degli Ardipithecus e i poco meno di 4 degli Australopithecus). La scoperta sarebbe eclatante, non tanto e non solo perché retrodaterebbe di oltre quattro milioni di anni la comparsa di caratteristiche legate agli uomini, ma soprattutto perché sarebbe il primo ominino scoperto al di fuori del continente africano, e quindi metterebbe in discussione l’ormai consolidata teoria dell’origine africana della linea filetica che ha condotto all’essere umano. Tanto che ha iniziato a girare l’idea che questa scoperta “potrebbe riscrivere la storia dell’umanità”.
Di tempo e potere, una conversazione con Valerio Evangelisti
L'autore dell'intervista si assume la responsabilità per eventuali errori od imprecisioni nella trascrizione della conversazione.
(DP) Il ritorno al ciclo di Eymerich, dalla trilogia del Sole dell’Avvenire, ha un valore molto particolare per chi ti segue, ma offre l’occasione per tornare a chiederti del tuo rapporto con la storia. Lasciato alle spalle il Novecento hai riabbracciato il Medioevo e la dimensione distopica, scegliendo di andare molto in avanti con la dimensione del futuro, ma sempre rifiutando il fantasy. Grande attenzione per la ricostruzione del passato ed elementi fantascientifici ritornano insieme all’inquisitore...
(VE) Per quanto riguarda il perchè ho ripreso il personaggio di Eymerich posso dire che ero arrivato ad una specie di punto morto. Non sapevo come andare oltre il Sole dell’Avvenire, in qualche modo. Poi c’è da dire che la nuova formazione del mio editore, che ha cambiato personale e quadri molte volte, non aveva amato affatto il Sole dell’Avvenire, non lo aveva promosso, sembrava un peso morto.
(DP) Comunque è andato bene!
(VE) Sì, sì, anche se si può notare il fatto che stanno ritardando la pubblicazione degli Oscar del terzo volume, che invece è richiestissimo, soprattutto nelle regioni di cui tratta il libro...
Quindi c’era questa svogliatezza da parte dell’editore e, da un’altra parte, c’era il mio desiderio di recuperare una parte del pubblico precedente che era rimasto perplesso rispetto all’operazione del Sole dell’Avvenire. Sentivo, al di là delle pressioni che ricevevo, l’impulso a tornare al mio personaggio più tradizionale, quasi come un ricominciare da capo. Ci sono stati poi altri motivi secondari, oltre a quelli monetari (ero sicuro che Eymerich avrebbe venduto più di ogni altra cosa).
Per quanto riguarda la concezione del tempo ed i vari piani che si intrecciano: è la continuazione di un discorso già avviato con i precedenti romanzi, che potrebbe riassumersi nel tema che tutto si tiene, tradotto dal francese tout se tient. Ogni cosa ha un precedente e delle conseguenze. A volte c’è come un girare su se stesso del tempo, per cui i riflessi di cose che sono state, o che verranno, li possiamo constatare nella nostra quotidianità.
La concezione della storia che metto in scena, malgrado questa circolarità, quasi mistica, in realtà è abbastanza strettamente materialistica. Nulla di quanto avviene è dovuto a circostanze esterne, ad un intervento divino od altre cose di questo tipo, bensì è frutto di rapporti materiali nelle diverse società. Io resto legatissimo al marxismo come concezione di interpretazione della storia e se uno legge bene si accorgerà che anche nei momenti più legati al passato c’è sempre un discorso di analisi delle classi, in qualche misura. Nell’ultimo romanzo c’è una classe di emarginati totali, ci sono lotte tra feudatari, la Chiesa e così via.
Dunque credo di essere rimasto coerente a quello che era il progetto originale. Adesso vedremo gli sviluppi, perchè poi io non li conosco. Li costruisco di volta in volta, ma a partire sempre da come vedo la storia e le cose.
(DP) Non so se sei d’accordo, ma mentre rispondevi mi veniva in mente come con il cristianesimo si superi in qualche modo l’idea di circolarità del tempo, mentre tu scegli di recuperarla senza il suo elemento mitologico del mondo antico. Mi verrebbe da dire che la tua visione del tempo recupera dal cristianesimo il portare la storia nel mondo terreno, mentre lo emancipa dalla religione attraverso il tutto si tiene, senza un Dio sovrastante, con noi come unici protagonisti.
(VE) Sì, va detto che la concezione del tempo, propria della Chiesa, era di derivazione aristotelica, sostanzialmente. Il pensiero aristotelico ha immobilizzato praticamente il pensiero ecclesiastico per tantissimo tempo, con qualche eccezione. Ad esempio io cito spesso Origene, che era un pensatore piuttosto anomalo fra i padri della Chiesa.
In ogni caso non è che io creda in una circolarità del tempo. Credo in una circolarità dei meccanismi di causa-effetto. Andrebbe visto non come un cerchio ma come una spirale, perché ogni volta si spinge un po più in là. Un fattore che in fisica è detto tau. Questo è molto importante per capire sia il libro che ho appena scritto, sia quello che scriverò.
Non è tutto così calcolato. Volendo evitare il genere fantasy e volendo invece rimanere ancorato alla fantascienza, pur mettendoci dentro tantissime cose, era inevitabile che mi interessassi alle evoluzioni del pensiero scientifico, anche se ritengo che siano tutte, per ora, approssimative e prive di prove sperimentali. La concezione del tempo nella scienza è cambiata molto più in fretta di quanto non sia cambiata nella Chiesa: il tempo diventa una dimensione, non è più esattamente lineare, sono teoricamente possibili anche balzi all’indietro, … Ma soprattutto è la questione causa-effetto, che diventa nel mio caso poco aristotelica.
(DP) Non hai mai la tentazione di proporre richiami più espliciti e strumentali nei tuoi romanzi rispetto a situazioni contemporanee, a costo di ignorare l’effettivo svolgersi della storia? In Eymerich risorge il riferimento al Movimento No Tav è evidente, ma dopo il Sole dell’Avvenire avresti potuto volere un richiamo più macroscopico.
(VE) Non potevo farlo più esplicito, a meno di non falsare il corso degli eventi. In generale poi dirò una cosa: c’è una grande esaltazione da parte di alcuni di queste forme di eresia. La realtà è che l’eresia non avrebbe costruito praticamente nulla. Se fossero stati i valdesi a governare il cristianesimo, il tentativo di ricostituire l’impero romano in altre forme non sarebbe mai passato.
Alcuni teorici, piccoli teorici, della Val di Susa, vanno a recuperare queste esperienze antiche, pensando che siano i prodromi di quello che fanno loro. Il problema attuale, legato molto all’evoluzione tecnologica, non deve essere affrontato con lo spirito di ritorno a mitiche origini, che non ci sono mai state, ma con tutt’altro spirito. Io perchè ho inserito la Val di Susa? Per dimostrare in qualche modo simpatia verso quello che fanno, ma non è che io aderisca a tutto quello che ci costruiscono attorno. Soprattutto io sono lontano da forme di anarchismo, con tutta la simpatia possibile. Sono come le eresie, danno soddisfazione a chi le professa, ma della società non cambiano una virgola.
(DP) Fra Dolcino reso grande da Dario Fo...
(VE) Fra Dolcino è grande per come è morto, grazie ai suoi nemici. I nemici erano senz’altro peggio di lui, però che proponesse di qualcosa di fattibile… Anche DeriveApprodi mise fuori una rivista dolciniana, che era simpatica, ma non se ne traeva molto di particolarmente significativo.
(DP) Rispetto alla categoria del potere ti faccio l’ultima domanda. Nel Medioevo la sua rappresentazione era più evidente, mentre oggi si è fatto tutto meno chiaro. Dopo i disastri del Novecento è passata l’idea, a sinistra, che sia bene rifiutare il potere, senza intenderlo come possibilità di incidere e mutare il presente. C’è una sorta di resa, per cui si contesta ma non si costruisce per timore di sporcarsi le mani?
(VE) In realtà ci si sporca le mani anche peggio. È un discorso complesso. Le forme di potere, oggi, non è che siano radicalmente difformi dal passato. Cambia l’assetto, perché il potere si distribuisce, diventa meno visibile e si sparge questa idea di democrazia, completamente diversa da quello che era il concetto originale di democrazia. Noi oggi vediamo quasi dappertutto delle oligarchie al potere. L’inganno pericoloso di questa cosa è che una parte del movimento antagonista ha assunto, senza accorgersene, degli aspetti di liberalismo, di pensiero liberale.
In realtà senza un discorso preciso politico, tutto finisce semplicemente in cambiamenti di costume, che sono importanti ma non automaticamente portano a cambiamenti politici (anche se magari ci riescono nel tempo). Secondo me, anche se ha tanti aspetti sgradevoli, la politica resta necessaria. Io posso rifiutare totalmente le istituzioni, mettermici contro, ma se faccio così cambierò magari me stesso, ma ben difficilmente cambierò il contesto sociale.
Non bisogna finire per accantonare il problema di chi comanda sul lavoro e chi invece deve lavorare, cioè il problema di classe, magari mettendo avanti istanze peraltro giustissime (il femminismo, la parità sessuale in tutte le sue forme od altri aspetti certamente fondamentali). Se non parti da un problema di classe non vai da nessuna parte o rischi addirittura di finire dall’altra parte. Ad esempio, i cosiddetti rossobruni sembrano dire cose simili alla sinistra, ma non citano mai l’elemento delle classi subalterne.
E nessuno mi venga a dire che tutto il lavoro è cognitivo, significa non vedere la realtà. Certe mansioni una volta tipiche dei ceti medi si sono proletarizzare, come gli stessi ceti medi. Ma questi non vuol dire che il meccanismo di fondo sia diverso da quello che il marxismo aveva identificato. Tu lo potrai raffinare il discorso marxista, adeguare, et cetera, ma non sostituirlo con una visione puramente liberale o libertaria.
(DP) Rispetto a quello che dicevi sulla politica e le istituzioni, mi viene in mente la scelta di Socrate, nel rifiutare di fuggire dalla città pur essendo condannato a morte. Rigettare il modo in cui è organizzata la società vuol dire mettersi fuori dalla città (intesa come comunità politica), mentre per cambiarla occorre agire al suo interno...
(VE) Concordo totalmente con Socrate, ma anche con il buon senso.
Immagine liberamente tratta da it.pinterest.com
La socialdemocrazia europea nel secondo dopoguerra: dal compromesso sociale su base keynesiana all’accodamento al neoliberismo
Agli esordi di quella che si chiamerà Unione Europea ci sono operazioni, che rispondono primariamente a esigenze di ricostruzione delle economie europee occidentali, devastate dalla guerra, quali la Comunità del Carbone e dell’Acciaio del 1951 e il Piano Marshall del 1947, cioè gli aiuti statunitensi, poi evoluto, l’anno successivo, nell’OECE. Anzi tra i precedenti in assoluto va posto l’accordo italo-belga del 1946, che scambiò 50 mila lavoratori italiani disoccupati, da impiegare nelle miniere di carbone e nella siderurgia del Belgio, con rifornimenti belgi di carbone all’industria e alle abitazioni italiane, e che sfociò nella tragedia di Marcinelle dell’agosto del 1956, 262 morti in miniera, a seguito di un incendio. Con quelle operazioni si trattò, dal punto di vista delle borghesie dei paesi europei occidentali, delle loro parti politiche e degli Stati Uniti, non solo di aiutare popolazioni disperate, alla fame, senza casa, ma anche di evitare che queste condizioni, la disoccupazione, inoltre, come in Italia, l’odio nei confronti di chi la guerra l’aveva voluta e ne aveva approfittato, evolvessero in simpatie di massa anche politiche nei confronti dell’Unione Sovietica, eroica vincitrice al prezzo di 25 milioni di morti della guerra al nazismo, più che nei confronti dei pur prestigiosi e munifici Stati Uniti. Dal lato dell’URSS giocava infatti anche la dominante partecipazione comunista e operaia in quasi tutta Europa alla Resistenza.
L’impero degli Asburgo: il progetto di Carlo V
L’Europa nel 1519 era un continente in trasformazione. Nonostante la storiografia classica abbia indicato come il 1492 la data di passaggio tra Medioevo e età Moderna, per quanto il viaggio di Cristoforo Colombo abbia spostato gli orizzonti geografici, la vera transizione avviene proprio in questi anni. In ambito culturale, con la corrente di pensiero umanista oramai consolidata che ha influenzato la letteratura, l’arte, la filosofia e i principali campi del sapere. Anche i dibattiti religiosi all’interno della Chiesa cattolica e di tutto il mondo cristiano hanno prodotto un terremoto dogmatico e teologico destinato a stravolgere l’intero continente. La dottrina di Martin Lutero nel 1517 con le sue 95 tesi non ha scalfito solo la porta della cattedrale di Wittenberg, ma la spina dorsale della Chiesa cattolica romana con tutte le conseguenze successive alla diffusione della sua dottrina. A sua volta conseguente, come accennato in precedenza, a una profonda riflessione di teologi, studiosi e uomini di chiesa sul significato del cristianesimo e dei dogmi della cattolicità.
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