La domanda è lecita soprattutto in virtù della propaganda mediatica che questo evento sta catalizzando su se stesso.
La vulgata in merito a questa operazione vuole Milano cambiato radicalmente, trasformata in una vera e propria metropoli europea, migliaia di posti di lavoro per giovani alla ricerca del loro futuro (volontari pagati 0 euro, o individui “retribuiti” la miseria di 2,5 euro l’ora) e addirittura la pretesa di eterodirigere la sovranità alimentare e dei consumi. Lo slogan “nutrire il mondo” è infatti entrato nelle menti di tutti, forse a volte senza sapere vagliare bene alcun argomenti caldi che riguardano l’iniziativa mondiale.
Come si può pretendere che sponsor come McDonald’s o Coca-Cola possano avere solo la pretesa di assumersi l’onere di fare da sommi scienziati dell’alimentazione del futuro? Com’è possibile che le vite di miliardi di persone siano sotto scacco delle attenzioni capitalistiche che vedono in quest’occasione un immenso luogo di profitto?
È chiaro che il modello di sviluppo che impone l’esposizione universale si sposa alla perfezione con l’idea neoliberista che vede esclusivamente, anche in maniera piuttosto barbara, la preponderanza del profitto rispetto qualsiasi tipo (anche il più scarno) d’interesse comune. È chiaro che le politiche economiche dell’Europa da anni guardano ad “amicizie” transatlantiche e il progetto del TTIP va proprio in questo senso. Una grande esposizione universale perenne, un grande mercato di un miliardo di persone tra le due sponde dell’Atlantico. Chi ci guadagna anche in questo caso? Ovvio i soliti noti, le multinazionali molte delle quali sponsor dell’esposizione milanese. Gli spettatori (inermi) di questa trasformazione socio-economica sono le collettività che passivamente assistono a tutto ciò e molto spesso approvano inconsapevolmente queste dinamiche pensando magare di trarne giovamento anche nel loro piccolo. Ci sono tavole imbandite dove gli ospiti non sono tutti egualmente graditi, posti dove all’inclusività si contrappone una piena essenza escludente.
Quello che resta, l’unica arma a disposizione, è la voce. Essa dovrebbe urlare contro, perché ormai il futuro di tutti e tutte è stato messo sul bancone del mercato del niente, rischia di essere venduto, regalato per quattro soldi senza diritto di riacquisto.
La risposta può venire dai popoli, dai diretti interessati verso una visione autodeterministica del proprio futuro. Rigettare il TTIP ad esempio può dare un segnale forte in questo senso, la lotta sarà dura e ampia ma è un dovere affrontarla.
Proporre un modello di sviluppo diverso che parte anzitutto da una gestione delle risorse più equa e, favorendo l’interesse dell’insieme piuttosto che del singolo. Intervenire veramente sulle questioni ambientali e alimentari perché, è inutile dirlo il mondo è cambiato in peggio ed è solo colpa nostra.
Pensare ad una esposizione universale quando nel mondo la disuguaglianza sociale è ai massimi storici forse è delittuoso. Sembra di vivere all’interno di una società ovattata e muta, quando fuori spesso la realtà è ben diversa da quella che ci presentano e ci presenteranno gli stand della Milano versione globale.