Giovedì, 16 Aprile 2015 00:00

Festa della donna africana

Scritto da
Vota questo articolo
(6 Voti)

Sabato 28 marzo all’Università centrale nell’aula del ‘400 l’associazione socio-culturale Nafrisy (acronimo che nasce dall’unione dei nomi delle fondatrici: Nathalie, Frieda, Sylvie)ha presentato la seconda edizione della giornata della donna africana.

Nafrisy è una realtà giovanissima, che ha due anni di vita ma si porta dietro sogni e speranze a lungo silenti, finalmente emersi e valorizzati grazie al progetto Sfide (Servizi alle Famiglie per L’Integrazione, Il Dialogo e L’empowerment) patrocinato dal Comune di Pavia in collaborazione con l’Università di Pavia e il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Master Immigrazione e Genere. Senza dimenticare il ruolo dell’associazione Con-Tatto che ha sostenuto queste donne sin dall’inizio del loro percorso.

“Siamo tre donne che hanno creato questo progetto con lo scopo di far conoscere la nostra cultura africana ma il bisogno di aiutare, di essere con gli altri ha fatto sì che aggiungessimo l’ambito sociale tra i nostri impegni.”

Le donne di Nafrisy si definiscono donne-bambine che cercano la loro strada nel puzzle del mondo e per riuscirci hanno bisogno della collaborazione di altre donne ma anche di uomini,infatti a presentare gli ospiti e passare il microfono di mano in mano è Paul Bakolo Ngoi che ci tiene a ricordare che l’associazione Nafrisy è stata la prima associazione pavese a cui Expo ha concesso il logo precisando però che non hanno ricevuto un singolo euro, perciò la festa è anche un motivo per intessere nuove relazioni e creare legami tra associazioni che si occupano di e per le donne.  Una giornata ricca di riflessioni e interventi sul ruolo pacificante della donna definita depositaria di nutrimento, quindi in grado di fare della preparazione faticosa del vivere benefico un momento di crescita, gioia e condivisione. Tra i tanti interventi sulla cultura e le tradizioni africane si cita anche qualche proverbio, uno che mi colpisce particolarmente dice:

Se le donne abbassassero le braccia il cielo crollerebbe.

Molto intensi sono stati gli interventi delle associazioni e delle singole ragazze intervenute, le donne africane cristiane molto emozionate durante il loro discorso, ci tengono a precisare che si riuniscono per pregare ma non solo, organizzano seminari e gruppi di mutuo-sostegno:

In ogni donna dorme un potenziale leader ship, il nostro intento è stimolare la donna, scoprire il suo talento attraverso la formazione, la condivisione e la fortificazione della preghiera perché ogni donna è preziosa e noi vorremo elevare la sua mentalità divina.”

Eveline Afaawa si occupa di capigliatura ma non è una parrucchiera.

''Mi definiscono una blogger''.

Nata in Francia, ma cresciuta in Italia, è proprio qui che si è riscoperta africana:

Una mattina, a Milano, ho scoperto i miei veri capelli, in ventisei anni di vita non li avevo mai visti, me li ero sempre stirati.”

Accettando i suoi capelli naturali giocosi e sprizzanti energia, accetta la cultura di cui è portatrice. Apre una pagina facebook e la chiama Africa Italy Nappy Girl, è possibile essere felici e naturali, ne è convinto anche il Corriere della Sera che la intervista e ne fa un documentario. La pagina raccoglie diverse testimonianze e conta oltre 4000 mila ragazze naturali africane che hanno voglia di condividere la loro capigliatura con le altre, a questa esigenza risponde il Nappy Tour, una serie di apertivi che Eveline organizza in giro per l'Italia, la prossima tappa sarà Trieste.

È importante condividere questa idea guardandosi negli occhi, relazionandosi con i diversi modi di vivere la femminilità africana in Italia”

Anche Pegas Ekamba Bessa, attore e animatore culturale, si è riscoperto africano in Italia.

Quando esci fuori casa comprendi i valori che hai, mi sono reso conto che la mia lingua madre è ricchissima comparandola all'italiano e al francese. Nella mia lingua destra e sinistra non esistono, esiste la mano dell'uomo e quella della donna. E' la lingua che si parla che si sviluppa il nostro modo di vivere. Chou in francese significa cavolo ma anche amore, in Italia quando dici cavolo sei quasi sempre arrabbiato. Ho cominciato a parlare la mia lingua per vivere meglio, in sintonia con i valori che mi ha insegnato mia madre.”

Pegas ha un sorriso fresco che lo rende giovanissimo ma i suoi occhi sono quelli di un uomo che ha avuto molte esperienze e te le sa trasmettere attraverso uno sguardo penetrante. Mentre spiega fa delle pause molto lunghe, poi saluta e canta, con la sua veste tipica africana, camicia lunga colorata a maniche lunghe. Suona uno strumento particolare, sembra un libro con le corde.

Canta l'Africa, “la terra dove la mamma è contemplata”, nel cui cuore i figli cantano insieme alla luna, nel buio della notte.

Canta il mattino e imita il gallo, improvvisamente siamo in Africa, alle prime luci dell'alba, le pentole fuori dalla capanna devono essere lavate, il cortile deve essere spazzato, c'è una piccola scopa, una donna si sveglia prima di tutti e comincia subito a lavorare, non è una donna qualsiasi è una donna del pubblico che viene agghindata da Pegas ed entra nel suo ruolo: è la donna africana deve farsi carico delle esigenze del villaggio: andare a prendere l'acqua, preparare tutto l'occorrente per il pasto, raccogliere e scegliere i grani migliori del miglio per poi pestarli e cuocerli, deve nutrirsi per nutrire, alle quale ventiquattrore non bastano. E' il villaggio, è la vita la mamma.

Gli uomini bianchi dissero che la prostituzione era il mestiere più vecchio del mondo, non è vero è l'agricoltura e l'ha inventata la donna.

La donna che segue la luna e il sole e con la schiena piegata puliva il quartiere suo.

La terra che la richiama come anche il canto del gallo che sveglia il villaggio che sveglia lei per prima.”

Pegas ci spiega come si lavora in Congo e ci dice di provare

con una mano sui fianchi, i piedi a papera e muovendo il bacino...”.

Mentre pestiamo il miglio dobbiamo sorridere perché il pasto deve avere un buon sapore perciò è necessaria una cura reale quindi gioiosa, mentre spolveriamo il cortile di fronte casa balliamo, per un attimo diventiamo tutti donne, anche gli uomini, diventiamo tutti un villaggio africano.

La casa che non riceve mai ospiti è morta. Pavia è sacra perché accoglie tutta questa gente. L'ospite che porta la polvere a casa è sacro, la polvere è sacra, triste è la casa che non accoglie nessuno.”

Alla festa è presente anche un medico scrittore togolese, che viene ampiamente pubblicizzato dai suoi fratelli africani davanti a tutte le Feltrinelli d'Italia, il suo nome vi suonerà forse famigliare: Kossi Komla Embri.

Anche lui ribadisce il concetto del farsi villaggio ma non solo da parte della donna.

In Africa il concetto di suicidio non esiste perché se io ho bisogno qualcosa, c'è il mio villaggio che mi sostiene, io appartengo alla comunità, qualcuno ha dato la valigia, qualcuno i soldi, e chi non aveva niente lasciava i suoi umili consigli.”

Kossi racconta anche di una nuova economia che rende le donne più forti e indipendenti: il commercio in tessuti. Queste donne girano il mondo, si tratta di un'economia informale che copre circa il 90% dell'economia del paese.

I governi dovrebbero dare maggiore valore alle donne perché sono portatrici di pacificazione. I problemi di questo mondo sono opera degli uomini. Una donna non sceglierebbe mai di mandare i suoi figli o i figli delle altre in guerra.”

Brevi gli interventi di Fanny e Olivette sull'associazionismo artistico che rimanda ad Africando il Festival della Convivialità delle Differenze, organizzato da CPAS - Cooperazione Per un Altro Sviluppo, che si svolge ogni anno a giugno.

Interessante il progetto portato avanti da Bellamy e Grazia redattrici di un megazine online Afro Italian Souls che raccoglie testimonianze di ragazzi neri in Italia.

Infine Mazala che fa parte di un'associazione che denuncia le storie dei bambini soldato.

L’appuntamento di festa concluso con un ricco e gustoso menù africano, arricchito da un profumato vino rosso dell'Oltrepò, diventa anche motivo sociale per sostenere un orfonotrofio in Camerun che conta circa 63 bambini abbandonati dalle loro famiglie, a cui Nafrisy sta fornendo assistenza emotiva e scolastica.

''Madre che sotto il sole e la luna/ mi portavi sulla schiena/ io bimbo tuo/ pancia gonfia/ a sognare il latte superfluo del figli d'asfalto, / in provetta di civiltà,/ piangendo al fumo del forno di tre pietre/. Cucinavi sacrifici, pane quotidiano/ io bimbo tuo/ad aspettare pillole,/ dai figli d'oltreoceano,/ che germogliano figli d'asfalto/ nutriti d'angoscia./Il tuo ridere che spazzava via la paura/ (...)a lavarti la stanchezza con i panni/madre/ che hai fatto di me/ bimbo tuo/ come dicono i figli d'oltreoceano/ un buon selvaggio.”

 

Foto in alto liberamente ripresa da www.wallsave.com

 

Ultima modifica il Venerdì, 24 Aprile 2015 17:49
Rosalba Barbato Di Giuseppe

Sono sicula arbreshe, originaria di un paese in provincia di Palermo, Piana degli Albanesi.

Mi sono laureata in Scienze della comunicazione a Palermo e attualmente vivo e lavoro a Pavia in un'associazione femminile

la Fildis, che si occupa di cultura, formazione e comunicazione di genere.

Amo la poesia, il cinema d'autore, mi interessano le storie di immigrazioni, di memoria e femminismo. 

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.