Dalla campagna i miei nonni traevano sostentamento e l'energica Rosa metteva anche qualcosa da parte (per l'abbigliamento delle due figlie) producendo conserve di pomodoro, barattoli di frutta secca, vendendo uova e conigli. Appuntando entrate ed uscite in un quadernino, che ancora conserva, è stata in grado di far quadrare i conti, facendo brontolare mio nonno Giorgio che doveva chiederle il permesso di prendere qualche soldo. Se le si chiede come ci sia riuscita risponde che è più forte il modo in cui si fanno le cose, piuttosto che la forza. Mia nonna non si diede e non si dà mai per vinta.
Quando ero più grande mia madre mi chiedeva spesso, oltre alla classica "hai fatto i compiti?", quale compagnia frequentassi e se avessi un'amica o un amico speciale.
Mariuccia ha sempre investito sulle relazioni amichevoli e sentimentali. Crescendo nei pressi della campagna Aquila, in provincia di Monreale, avvertiva spesso il senso di isolamento a cui erano costrette le famiglie che vivevano fuori paese. La socialità che non aveva vissuto pienamente durante l'infanzia inevitabilmente venne ricercata nell'adolescenza e forse questo contribuì all'interruzione degli studi liceali. Tuttavia i corsi extrascolastici e un concorso le permisero di lavorare come assistente per i bambini in una comunità di accoglienza femminile. In seguito la necessità accompagnata dalla passione per i romanzi (di Svevo) le fecero conquistare il diploma. Ora, dopo anni di mobilità scolastica e l'ennesimo corso formativo, è diventata assistente tecnico e lavora come segretaria in un liceo. Mariuccia è felice professionalmente. Se le si chiede come sia riuscita sorride. La socievolezza e la dolcezza d'animo che la contraddistinguono le hanno permesso di trovarsi bene in ogni ambiente lavorativo.
Oggi sono io che faccio domande soprattutto a mio padre, al quale, in giovane età, venne a mancare la madre. È proprio lei che riunisce l'anima emotiva di Mariuccia e quella esplosiva di Rosa. Si chiamava Giuseppina Genovese, classe 1911. “Aveva dei grandi occhi nostalgici, che brillavano quasi felici quando incrociava il nostro sguardo. La sua dolcezza era quotidiana, come la sua gentilezza e la sua bellezza". Così la ricorda mio padre. Pina dovette in età giovanissima interrompere gli studi e andare a lavorare nella trattoria del paese. La morte di suo fratello maggiore ucciso in piazza, per uno scambio di identità, la costrinse a diventare il punto di riferimento (economico e non solo) della famiglia. In trattoria cucinava piatti deliziosi e qualche volta serviva il conto, presentava il totale da pagare più veloce di una calcolatrice. Aveva una mente pitagorica, capace nonostante analfabeta, era eccezionale. Dopo il matrimonio si prese cura dei quattro figli, ma non si rinchiuse mai nell'ambiente domestico, continuò a tessere relazioni con i vicini, a portare conforto e delizie agli ammalati.
Non racconto nulla di speciale, molte famiglie portano in seno storie di questo valore, donne che si fanno avanti, non demordono nonostante le difficoltà, proseguendo il cammino del loro sviluppo con grande capacità e forza d'animo.
“Il racconto ricostruisce una forma, ritesse i fili, ristabilisce i collegamenti spezzati. Il racconto è zattera in mezzo al naufragio, arca di Noè dopo il diluvio, tenerezza al posto dell’orrore, voce anziché silenzio, giustizia contro la violenza, ordine nel caos, argine all’oblio. La vita continua nel tempo del racconto.”
Benedetta Tobagi