Lo stesso concetto di governabilità, prima del 1993 del tutto assente dal dibattito politico italiano, si è a tal punto affermato da divenire necessità sentita dalle masse. Tutto iniziò, con lo sciagurato consenso di parte della sinistra, con l'elezione diretta dei sindaci, con l'introduzione del ballottaggio (esteso dall'italicum ad un Presidente del Consiglio che diventa quasi “sindaco d'Italia”) e con la decadenza dei consigli comunali contestualmente a quella del sindaco.
Questo sistema di elezione diretta della rappresentanza apicale degli enti è stata estesa a regioni e province, poi, per un certo periodo, al parlamento - con la legge scritta dall'attuale Presidente della Repubblica) - generando una bipolarizzazione obbligatoria, e trasformando la contesa politica in una partita di calcio, nella quale occorre mettere insieme una squadra intorno ad un singolo candidato, necessariamente “candidato pigliatutto” (si veda in proposito la definizione che ne danno gli esperti in scienze politiche) e di cui vanno esaltate e messe in mostra - esattamente come avviene negli Stati Uniti - doti e caratteristiche private che nulla hanno a che fare con gli obiettivi programmatici ma che concorrono alla vittoria elettorale così come un bel seno concorre alla vittoria di una gara di bellezza.
Il sistema elettorale successivo, che a breve sarà mandato in pensione anche con le “mollette sul naso” di una parte della minoranza dem, la “porcata” ideata dal fine statista Calderoli, è riuscito ad introdurre anche per le elezioni nazionali (dopo i tentativi falliti del 1953) l'idea che chi vince - anche solo per un voto - la competizione elettorale ha diritto ad “premio” (ad una coppa si potrebbe quasi dire) di maggioranza costituito da una pattuglia di fedelissimi (non vincolati da consensi, delle volte clientelari, da costruire preferenza per preferenza) che rispondono unicamente ad un capo legittimato da un consenso popolare diretto, ma sempre più scarso in termini di voti assoluti, conseguenza ovvia, quest'ultima, di una progressiva desertificazione degli spazi di discussione ed organizzazione nella società, oltreché di una diffusa percezione di inutilità della politica - complessivamente intesa - rispetto alla propria condizione materiale.
Le primarie, i movimenti qualunquisti, gli insulti, i “gufi”, il “fare presto”, l'ossessione di ogni organizzazione politica di non identificarsi con specifici settori sociali, lo spoil system (che trascina la pubblica amministrazione ed in particolare la sanità nelle disfide sul nulla di fondo che si svolgono da Roma fino al più piccolo comune) sono tutte parti di un medesimo, confuso, sistema politico che ha come vincitore predestinato le classi dominanti.
A Mattarella, con la sua elezione diventato figlio, nonostante l'età, di questo sistema, il dovere di un sussulto, di un necessario smarcamento che ridarebbe dignità al parlamento tutto.
Alla sinistra politica e sociale, che è quasi l'unico settore che ha necessità di capovolgere il presente modello istituzionale, spetta il compito di un paziente e lungo lavoro di riaffermazione del valore - in sé - della rappresentanza, del confronto negli organi assembleari, unici legittimati, dalla nostra Costituzione, alla gestione ed alla trasformazione del Paese. E' un compito epocale, ma se non si vince questa battaglia non se ne vincerà nessuna altra.