Venerdì, 01 Maggio 2015 00:00

Sul dibattito sulla legge elettorale

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Certo che, tutte le volte che ci provano, ci riescono alla grande. Tutte le volte che il dibattito pubblico viene concentrato (deviato?) in modo da escludere dalla visuale il vero smantellamento dei diritti in questo Paese, noi ci prestiamo facendo gli utili idioti.

Cerco sempre, ultimamente, nel parlare di politica e nel ragionare di cosa fare, di mettermi nei panni di quella che è la stragrande maggioranza delle persone in Italia. Cerco di capire come è che il dibattito politico viene percepito, quali sono le priorità e quale è il reale interesse per le questioni su cui noi invece ci spacchiamo la testa.

Parlo a questo giro di legge elettorale. Trovo abbastanza triste la discussione che si è sviluppata attorno alla votazione. La maggioranza della minoranza del PD (e già qui…) ha aspettato la discussione di un disegno di legge puramente tecnico per rompere con il Segretario Renzi (pur evitando di arrivare al voto contrario). Ha aspettato un disegno di legge che, nei fatti, andrà sì a peggiorare una situazione che potevamo definire disastrosa da prima che la Corte Costituzionale la dichiarasse incostituzionale ma che in realtà configurerà un panoramica rappresentativa non troppo diversa, ad esempio, da quella che avremo in Toscana dopo la tornata elettorale del prossimo 31 maggio, la prima con la nuova legge elettorale voluta da Enrico Rossi.

Ecco, nel leggere di barricate contro una questione di “metodo”, mi sono chiesta più volte perché l’anima diessina del partito di Renzi non abbia mai pensato di mostrare il portato della propria tradizione impuntandosi, che ne so, contro lo smantellamento dello Statuto de Lavoratori compiuto con il Jobs Act o contro la distruzione della scuola pubblica che il Ministro Giannini sta portando a termine proprio in queste ore.

Questa presa di posizione va a rimarcare il completo scollamento che oramai i residui di quella tradizione hanno nei confronti della realtà. È ovvio che le modalità attuate da Renzi sono tutt’altro che, per usare un eufemismo, condivisibili ma di certo non riesco a dirmi sorpresa. Come abbiamo avuto modo di dire più volte, oramai le consuetudini costituzionali sono state messe in un angolo, il rispetto delle istituzioni e dei bilanciamenti con cui erano state pensate sono ricordi di una Repubblica che non esiste più. E il punto fondamentale è però il fatto che la stragrande maggioranza dei cittadini non è interessata a questo dibattito. Mentre noi, esperti di sistemi elettorali, pronti a scagliarci in battaglie all’ultimo sangue tra sostenitori di un maggioritario garante della stabilità governativa e di un proporzionale che assicuri la piena rappresentanza, ci strappiamo i capelli nel seguire cosa accade in Parlamento, la metà degli italiani non va più a votare. La metà.

Mi chiedo, quindi, dove sta la propensione, quanto meno, all’egemonia culturale che dovrebbe caratterizzare la storia dei vari Bersani, nel momento in cui si decide di fare di una questione puramente tecnica il motivo di rottura che in molti (nel giusto o nel torto) aspettano da molto tempo? I più maligni potrebbero pensare che la voce grossa in occasione di un voto sulla legge elettorale potrebbe essere strumentale. Strumentale, ad esempio, nel momento in cui se sei minoranza nel tuo partito, una minoranza le cui istanze e posizioni non vengono minimamente rispettate, una legge elettorale che preveda liste bloccate potrebbe segnare la scomparsa da Montecitorio di deputati che l’hanno frequentata per decenni. Ancora, i più maligni potrebbero ipotizzare che questo sia solo un modo per mostrare al mondo una parvenza di un conflitto che, nelle migliori delle ipotesi, resta definito esclusivamente nel campo delle intenzioni. E viene facile pensarlo dal momento, che dei cinquanta “dissidenti” che hanno giurato battaglia all’apposizione del voto di fiducia sull’Italicum, una gran parte ha deciso di essere “responsabile” e votare la fiducia ed una parte di non partecipare alle votazioni (tutto, pur di non dire “no”). Onestamente, possiamo davvero dire che questa vicenda sia rappresentativa di una scontro oramai arrivato alle battute finali? Io non direi, sinceramente.

Potrei cambiare idea nel momento in cui vedessi i deputati dissidenti poggiare i piedi per terra, scatenando lo stesso clamore mediatico, ad esempio, intorno alla decisione del governo di spostare i test Invalsi in seguito alla dichiarazione dello sciopero del comparto scolastico. Non è forse questa un’uguale dimostrazione di forza che non tiene conto delle proteste di chi dissente? Non è forse un uguale atteggiamento al limite del buon senso condiviso, oltre che delle legalità?

Il compito di chi si definisce di sinistra credo sia quello, in questo momento storico, di riallacciare i rapporti con quell’enorme parte della società che non si interessa, che è disillusa e che si è allontanata dalla politica. Invece di stare tutto il giorno ad indignarci su internet per l’approvazione di una legge elettorale sottoposta a voto di fiducia facendo paragoni con Mussolini e la legge truffa, dovremmo prima spiegare all’opinione pubblica perché è grave. Dovremmo spiegare alle persone cosa comporta una legge che spinge questo sistema verso il modello americano, dove ci sono solo due possibilità di scelta, nemmeno troppo differenti tra di loro. Dovremmo fare collegamenti illustrando come, appunto, l’approvazione del Jobs Act o dell’abominevole riforma della scuola del Ministro Giannini siano state approvate senza problemi proprio perché oramai in Parlamento chi detiene il potere di decidere, o comunque di influenzare il voto, supporta un’unica idea di società, una società nella quale i diritti si pagano e chi non se lo può permettere, senza troppi giri di parole, si attacca. Dovremmo, quindi, arrivare a spiegare che quello che ci serve è un’alternativa credibile, che proponga una modo diverso di fare le cose e di gestire la cosa pubblica. Un’alternativa che, banalmente, non conosce “voto utile” o responsabilità nei confronti di “una ditta” (come l’ha definita Bersani) che non si ritiene più nostra e che, quindi, passa ineluttabilmente verso la scelta, alle urne di rappresentanti diversi e per la partecipazione all’interno di quelle associazioni ed organizzazioni sindacali e politiche che oramai si stanno, con una facilità terribilmente preoccupante, adagiando allo stato delle cose.

Ultima modifica il Giovedì, 30 Aprile 2015 12:34
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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