In realtà si parlerà soprattutto, come era lecito aspettarsi, di Grecia. I recenti fatti di cronaca politica del resto obbligano la sinistra a interrogarsi in maniera approfondita sulle dinamiche che hanno ancora una volta portato all’imposizione dell’austerità come principio cardine di questa Europa a guida tedesca, punendo duramente il paese ellenico che aveva provato tramite la sua nuova classe dirigente di sinistra a rialzare la testa.
La tremenda punizione inflitta, ha mostrato chiaramente il vero volto dell’Unione. Come dice giustamente Revelli, non c’è tanto una questione greca quanto piuttosto una questione europea: focalizzarsi su errori e scelte di Tsipras ci fa perdere di vista ciò a cui realmente stiamo assistendo. Abbiamo visto andare in frantumi l’idea di Europa così come immaginata a Ventotene, abbiamo scoperto che questa Europa non tollera la democrazia nei suoi paesi membri ma neanche all’interno dei propri processi decisionali: il Parlamento non ha avuto alcun peso in tutto il processo, lasciando il terreno di caccia aperto ai falchi della troika. Come ci ricorda Cofferati, un Europa alternativa si può costruire solo se, oltre a una politica e a regimi fiscali comuni, si estendono i meccanismi democratici anche alla Commissione Europea e se si garantisce un maggior potere decisionale al Parlamento Europeo (che ad oggi non può di fatto proporre leggi): non bisogna dimenticare che l’austerità è stata imposta dalla Commissione nonostante il parere contrario del Parlamento.
La crisi greca ci ha anche fatto scoprire, continua Revelli, non solo il ruolo totalizzante della Germania e la sua posizione di dominazione economica che le permette di drenare le risorse dalla periferia verso il centro dell’impero che controlla, ma abbiamo anche assistito alla completa evanescenza delle socialdemocrazie europee, spesso schiacciate su posizioni neoliberiste che la snaturano completamente. In questo contesto Pizzolante (SEL) ha notato la totale inconsistenza di Renzi nel decision-making europeo e sottolineato quanto persino Hollande rappresenti una timida e debole voce in un panorama dominato dai fondamentalisti del mercato.
Tutti questi aspetti mostrano in maniera nitida un’Europa fondata sulle logiche neoliberiste, restituendo un quadro a tinte fosche: se tutti i relatori sottolineano il periodo buio che stiamo attraversando, Pizzorante sottolinea come però ora il re sia oramai nudo: ha fatto vedere la sua vera natura, scatenando reazioni indignate anche da intellettuali come Krugman e Habermas che non si possono certo definire bolscevichi.
L’elite europea ha mostrato dunque la sua immagine peggiore: ha vinto la battaglia in Grecia ma la sua legittimazione si è indebolita agli occhi di chi vede nel trattamento riservato al paese ellenico una atrocità ingiustificabile. La cecità della classe dirigente europea, la sua ottusa sacralizzazione del pareggio di bilancio, il suo schiacciarsi sulle logiche neoliberiste fondate sulla speculazione e sulle privatizzazioni selvagge, è sotto gli occhi di tutti. Di fronte a questa situazione, il timore sta cambiando campo, non sono più tanto i cittadini ad avere paura dei loro governanti, quanto questi ultimi a dover temere la crescente voglia dei popoli europei di immaginare un continente democratico e solidale.
Comune a tutti i relatori l’idea che l’Europa vada riformata profondamente ma non distrutta. L’uscita dall’eurozona non è la panacea di tutti i mali e bene ha fatto Tsipras, una volta capito che ogni forma di negoziazione era impossibile con le sorde e cieche istituzioni europee, a evitare il male peggiore dell’uscita dall’eurozona. La sconfitta di Syriza e del governo greco, nella loro battaglia impari contro il nuovo schieramento compatto di falchi (di cui ora fanno parte a pieno titolo molte delle socialdemocrazie europee a cominciare dalla SPD) deve farci capire gli errori della sinistra in Europa: come quello di pensare che Syriza potesse aiutare la sinistra italiana e europea a risorge mentre sarebbe dovuta essere la sinistra europea ad aiutare le forze progressiste greche nella loro battaglia impari contro l’austerità e la strategia punitiva della Merkel e dei suoi alleati del nord e dell’est Europa.
Cosa fare allora? Per Ferrero è impossibile pensare di rinchiudersi nel nazionalismo. Questa purtroppo è la via seguita da tutti coloro che si sono fatti abbindolare dalle deliranti posizioni politiche dei populismi, che invitano all’uscita dall’euro e che invece che puntare il dito contro i veri responsabili del forte disagio sociale nel nostro paese, scatenano guerre fra poveri di cui le primissime vittime sono gli immigrati come i fatti recenti di Roma e Treviso ci hanno tragicamente mostrato. In Italia è diventata senso comune un’idea banale e semplicistica, idea che risponde al mantra “non ci sono soldi”, motto che ha chiuso ogni discussione politica (il reddito di cittadinanza non si può realizzare perché non ci sono soldi e lo stesso viene risposto quando le rimostranze vertono sull’implementare il sistema sanitario o quello dell’educazione), quando in realtà il problema è l’iniqua redistribuzione delle risorse. Occorre che le nostre idee, prosegue Ferrero, diventino senso comune.
Serve allora, a detta di tutti i relatori, un grande processo costituente di sinistra che abbracci tutte le forze politiche antiliberiste alternative a Renzi e ai populismi, un processo dal basso che punti alla nascita di una classe dirigente e politica nuova, un processo che possa contare in Europa e che possa contribuire a riformare le istituzioni europee. Il fallimento miserabile delle social-democrazie, conclude Revelli, ci obbliga a pensare a un’alternativa macroregionale: non deve più accedere che un paese e guida progressista resti solo e isolato politicamente e in balia dei fondamentalisti del rigore. Il momento è ora.