“Dobbiamo sterminarli tutti”: è una frase che capita di sentire, sugli autobus o nei bar, come in altri luoghi pubblici o privati. Non fermarsi fino a che non li avremo fermati. A qualsiasi costo. Pare una cosa semplice (sulla carta) ed è complicato non concordare sulla necessità di non cedere alla barbarie. Il problema è quel “tutti”: chi viene individuato come nemico. "Il problema è la cultura degli arabi", sussurrano i meno timidi, mentre quelli più coraggiosi si infiammano attorno a citazioni del Corano che in fondo non tanto si allontanano da alcuni passaggi della Bibbia, ma guai ad evidenziare l’assurdità di estrapolare alcune frasi senza contesto.
Nelle impaurite ma comunque comode stanze occidentali la paura scuote la passività di cittadini sempre meno informati, pronti ad improvvisarsi in letture che oscillano tra il complotto del Signore delle Scie Chimiche e ritornelli degni di canzoni dei Manowar, un gruppo metal noto per la simbologia bellica con cui si contraddistingue. Non mancano folli cattolici estremisti che evidenziano come gli attentati abbiano colpito un concerto degli Eagles of the Death Metal, il cui nome appare “cretino” alla Gazzetta dello Sport (quotidiano più letto d’Italia e home page di molte strutture alberghiere all’estero che ospitano turisti italiani), anche perché tradotto come “Aquile del Metallo Mortale” (l’irresponsabile uso di google translate colpisce ancora).
Quindi la risposta è da una parte di paura e dall’altra di sete di vendetta. Le bombe francesi si salutano quasi con sollievo, poiché è bene non ricordarsi di cosa è successo nel Mali dopo la Libia ed è bene evitare di guardare a quanti quadri militari (ed armi) dell’Iraq liberato sono oggi risorse dell’ISIS.
Bombe, sospensione eventualmente delle nostre libertà (poiché "ci stanno attaccando") e, soprattutto, la richiesta ai mussulmani di essere i primi a rispondere.
E qui l’occidentale medio meriterebbe uno scappellotto (come minimo). Perché se tutto è lecito sull’onda emotiva, dimenticarsi di cosa sta accadendo da anni dall’altra parte del Mediterraneo diventa inaccettabile. Lo scontro di civiltà sarebbe tra cristianità e Islam? Quindi curdi, sciiti iracheni, Pasdaran iraniani, Hezbollah libanesi, l’esercito siriano fedele ad Assad dovrebbero chiedere conto alla cristianità del silenzioso appoggio che i governi occidentali hanno garantito ad una Turchia complice del terrorismo? I russi hanno spolverato un rapporto di Washington in cui si elencano alcuni importanti finanziamenti all’estremismo islamico da parte di paesi del Golfo, alleati della Nato. Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Turchia. Questo è il fronte a cui dovremmo chiedere conto, più che a indistinte comunità arabe. E forse noi cittadini occidentali dovremmo chiedere conto ai nostri governi delle scelte in politica internazionale degli ultimi venti anni (almeno).
Se risposta militare deve essere, ed effettivamente pare difficile che si possa rispondere all’ISIS con la diplomazia, che sia realmente frutto di una alleanza tra diversi interessi, tesa a garantire un ritorno al campo della razionalità della situazione politica in Medio Oriente. La guerra non si combatte con i bombardamenti, dall’alto si destabilizza al massimo. Il problema è che le truppe di terra sono impegnative, portano morti in casa e le opinioni pubbliche sono pronte (per fortuna) ad incrinarsi di fronte al sangue di figli, fratelli ed amici. Inoltre ogni intervento unilaterale aumenterebbe una situazione in una zona dove per anni si sono mossi eserciti di stati nazionali falliti, per rappresentare interessi di altri paesi. Un’operazione congiunta che veda NATO, Russia, Iran, Unione Europea e curdi alleati in un’avanzata contro l’ISIS sarebbe l’unica cosa che garantirebbe credibilità a chi paragona il Califfo ad Hitler.
Il XXI secolo ci ha però dimostrato che le guerre sono solo un modo per rafforzare le posizioni dei gruppi di interesse (economico). Raramente la politica c’entra realmente qualcosa. Semmai quest’ultima è chiamata a conformarmi al livello di discussione che accende il dibattito pubblico e ottiene il necessario consenso popolare (o spinge a una rassegnazione passiva, talvolta impaurita, la maggioranza dei cittadini).
Da una situazione come quella in cui siamo non ne usciremo con quanto ci viene proposto. Si tratta di un capitolo che aggiorna il dibattito partito dopo il 2001, passando per gli attentati di Madrid, Londra e la strage di Charlie Hebdo. Un dibattito distante dalla realtà, in cui ogni improbabile teoria disinformata vale quanto un ragionamento complesso, dove tutto si confonde grazie alla disinformazione che ci caratterizza ormai da troppo tempo.
Lo scontro non è tra culture religiose, è tra la razionalità e una stupidità alleata all’ignoranza.