Nella prima parte di questa “miniserie” si era parlato nello specifico della situazione in Repubblica Ceca, e proprio da Praga – e dal tema dei rapporti con i suoi difficili vicini – conviene ripartire.
Il nuovo governo di coalizione Popolari-FPOe fa discutere anche fresco di giuramento. Ambienti vicini al nuovo governo austriaco, e specialmente alla destra della coalizione, avrebbero infatti nei giorni scorsi data come sicura una riforma della disciplina della cittadinanza austriaca, che permetterebbe a chi si sia dichiarato ufficialmente appartenente al gruppo germanofono del Südtirol/Alto Adige (la maggioranza relativa dei sudtirolesi) di chiedere la cittadinanza austriaca, conservando - dato che la legge del nostro Paese permette la cosiddetta “doppia cittadinanza” - al contempo la cittadinanza italiana; un ipotesi che echeggia una rivendicazione storica della destra germanofona sudtirolese contro cui hanno prestamente tuonato politici italiani e leader ai livelli più svariati.
Vienna verso Visegrad?
A seguito delle elezioni in Austria di qualche settimana fa, che come da previsioni hanno visto trionfare il rebranding neoconservatore del Partito Popolare guidato da Kurz, si sono susseguite sulla stampa voci di un possibile avvicinamento – de jure o de facto – di Vienna al gruppo dei quattro di Visegrad, ovvero Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca, un sodalizio nato per perseguire l'integrazione europea e diventato, con la crisi dei rifugiati siriani, la voce istituzionale principale dell'opposizione alle politiche migratorie UE. Questo scenario sarebbe reso possibile da un (sempre più probabile) governo Nero-Blu, ovvero un'alleanza tra Popolari e populisti di destra del Partito della Libertà. La simpatia nutrita da questi ultimi per Viktor Orban e per il suo stile politico è infatti risaputa, e lo stesso primo ministro in pectore ha più volte evidenziato come il successo di cui va più fiero, ottenuto quando ancora era ministro nel precedente governo di larghe intese, sia la chiusura della cosiddetta rotta balcanica. Evento calamitoso destinato a distruggere l'Europa e la civiltà o ufficializzazione di uno status quo che non sorprende nessuno (d'altronde il
Da quando con l'estate gli sbarchi sulle coste italiane si sono fatti più frequenti la battaglia di dichiarazioni tra Italia e Austria sulla gestione dei confini e dei flussi migratori si è fatta particolarmente violenta. Paradossalmente, a questo profluvio verbale corrisponde una realtà sostanzialmente normalizzata: sono ormai pochissimi i migranti che tentano il viaggio verso le città austriache o verso Monaco di Baviera via Brennero, in quanto i mezzi di trasporto pubblici per la cittadina di confine sono da mesi pesantemente controllati da polizia italiana e personale FS e raggiungere il confine in altri modi è o molto disagevole o impossibile. I roboanti ultimatum di alcuni ministri austriaci – e le altrettanto precipitose smentite di altri membri dello stesso Governo uscente – riflettono quindi più che altro la situazione di campagna elettorale in cui si trova il Paese, come è stato giustamente notato da molti. Ma, nonostante tutto, la situazione politico-elettorale di oltreconfine è poco conosciuta al di qua del Brennero. Vale la pena provare a diradare un po' di foschia.
Dopo un travaglio durato quasi sei mesi l'Austria ha un nuovo presidente, l'indipendente “verde” Van der Bellen. Ultrasettantenne, professore universitario di economia, rifugiato e “figlio di rifugiati”, come ha rivendicato durante la campagna elettorale – discende infatti da esponenti della media nobiltà dell'Impero russo, trasferitisi in Estonia e poi fuggiti in Austria dopo l'invasione sovietica del Paese baltico – Van der Bellen, il vincitore del ballottaggio dello scorso 4 dicembre, di per sé è quanto di più lontano dal profilo dei candidati populisti alla ribalta in tutta Europa, compreso il suo avversario di estrema destra Hofer.
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