siamo interessati da vicino a ciò che accade tra Austria e cosiddetto “gruppo di Visegrád” – da ultimo in qui – ovvero l'alleanza politica che unisce Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca; un milieu sociopolitico che sembra interessato da una sempre più rilevante convergenza di vedute. Non potevamo quindi esimerci dal commentare alcuni recenti sviluppi in questa fetta d'Europa, in cui, forse, si sta giocando parte del futuro politico dell'Unione Europea e, sicuramente, del suo destino morale. L'articolo di oggi si concentrerà sulla Repubblica Ceca, mentre nei prossimi giorni uscirà a mo' di seguito – sempre qui su Il Becco – un pezzo più focalizzato sull'Austria.
Repubblica Ceca: un patto del Nazareno populista?
Le recenti parole di Andrej Babiš – il Primo Ministro ceco – contro la redistribuzione dei richiedenti asilo si sono meritate le prime pagine di molti quotidiani italiani; un breve picco d'attenzione verso l'Europa orientale che si è presto esaurito. Ciò che è accaduto negli ultimi mesi in Repubblica Ceca però meriterebbe di per sé di uscire dall'estemporaneità.
Le elezioni dello scorso ottobre hanno segnato in molti sensi una cesura nella storia del Paese. Per la prima volta, infatti, né i conservatori di ODS né i socialdemocratici hanno vinto le elezioni, venendo surclassati dal partito di Babiš, ANO 2011 (Sì/Unione dei cittadini insoddisfatti), un soggetto populista di destra, già al governo all'interno della debole coalizione uscita dalle urne nel 2013 – che oltre ad ANO comprendeva socialdemocratici e democristiani –, e basato à la Berlusconi sull'impero mediatico e industriale di Babiš, secondo uomo più ricco della Repubblica Ceca. Un quadro elettorale scompaginato non ha comunque permesso a Babiš di conquistare un numero di seggi sufficienti a governare da solo, mentre uno scandalo legato ad una presunta truffa su fondi europei sembrava aver definitivamente affondato le ambizioni del magnate ceco rendendolo politicamente tossico per eventuali partner di coalizione. Dopo la sconfitta di un bislacco monocolore ANO in un voto di fiducia senza speranze la situazione dell'esecutivo ceco era quindi rimasta nell'indeterminatezza. La situazione si è sbloccata circa una settimana fa, quando, tra le polemiche, il sostegno esterno del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM) ha permesso il varo del governo di un rinsaldata coalizione Babiš-Partito Socialdemocratico; non senza che l'irascibile Presidente Zeman – ex socialista anti-migranti recentemente rieletto – ci mettesse lo zampino per escludere dalla lista dei ministri Miroslav Poche, socialdemocratico, accusato dalla Prima carica dello stato di avere una posizione eccessivamente pro-migranti.
La mossa di Babiš e dei comunisti ha destato sconcerto in Repubblica Ceca e fuori: dopo anni di ghettizzazione, in cui il KSCM è stato più volte ad un passo dallo scioglimento forzato, i comunisti si sono riavvicinati alle leve del potere, anche se non come partner formale di governo, oltre che da una posizione di indubbia debolezza: il KSCM ha infatti perso alle elezioni di ottobre più del 7%, scivolando dal terzo al quinto posto per consensi, surclassato da Partito Pirata e dall'estrema destra di Tomio Okamura. Largamente ridicolizzato in passato come un partito di anziani nostalgici del regime, il KSCM era riuscito col nuovo millennio a farsi strada nelle aree più povere del Paese e tra un elettorato relativamente più giovane grazie anche all'enfasi su nuove rivendicazioni anti-establishment, giungendo tra 2002 e 2012 a conquistare circa un quinto degli elettori; ma da allora sembra interessato da un lento declino, nonostante il buon risultato del 2013. La debolezza oggettiva della compagine comunista si è riflessa nel fatto che, nonostante la decisività dei voti comunisti in parlamento, il KSCM non è riuscito minimamente a influire sulle posizioni dichiaratamente atlantiste e filo-americane del miliardario Primo Ministro, finendo trascinato nell'orbita di un esecutivo che non sembra avere nessuna intenzione di rilassare il proprio sostegno alle posizioni del gruppo di Visegrád in cambio di vaghe promesse.
L'assenza per illegalità o irrilevanza di partiti comunisti o comunque di sinistra radicale negli altri Paesi di Visegrád rende le mosse del KSCM ancora più cariche di rilevanza politica e simbolica: dopo aver dato i natali – assieme alla vicina Slovacchia, mentre i socialisti di Polonia e Ungheria sembrano per ora immuni – a quella che si potrebbe definire “socialdemocrazia di Visegrád”, nazionalista, populista nei toni e anti-migranti, la Repubblica Ceca è pronta ad assistere ai primi passi passi dell'inquietante creatura di Frankenstein dell'estrema sinistra con caratteristiche orbaniane?