Le elezioni legislative austriache si terranno il prossimo 15 ottobre. Il governo uscente del cancelliere Kern, una riproposizione della grande coalizione tra socialdemocratici (SPÖ) e popolari (ÖVP), poco sorprendentemente ha scontato un certo immobilismo, e ha entusiasmato talmente poco i cittadini austriaci che nessuno dei due principali partiti di governo ha superato il primo turno delle scorse elezioni presidenziali – vinte poi dall'indipendente ecologista Van der Bellen. SPÖ e ÖVP d'altro canto si dibattono da anni in una profonda crisi, causata dall'incapacità di superare forme organizzative “pesanti” ormai goffe e poco versatili e concezioni di società altrettanto polverose e datate, incapacità che si è tradotta da un lato nello scarso appeal di socialdemocratici e popolari sull'elettorato del XXI secolo e dall'altro nella vulnerabilità dei due partiti di governo alle bordate populiste della destra targata FPÖ, che da anni approfitta di tutti i difetti dei suoi concorrenti mainstream per rafforzarsi.
Su questo sfondo si staglia la scalata al potere del giovane Sebastian Kurz, il trentenne Ministro degli Esteri uscente in quota ÖVP che recentemente ha fatto parlare di sé anche in Italia proprio per via delle sue posizioni a favore della chiusura del Brennero. Kurz viene dall'organizzazione giovanile del partito popolare, cui appartiene dall'epoca dei fallimentari governi di coalizione di destra ÖVP- FPÖ e ÖVP- BZÖ (2000-2007); convinto conservatore, da membro del governo Kurz ha lavorato per chiudere la cosiddetta rotta Balcanica e al tempo stesso per contrastare ogni apertura della UE nei confronti della Turchia. Eletto leader dei popolari con più del 98% dei consensi ed il sostegno della parte più conservatrice del partito, sulla base della promessa di presentare alle elezioni non la classica lista ÖVP ma un “nuovo partito popolare” con una rilevante quota di candidature indipendenti, Kurz ha guidato una fulminea rimonta dei popolari nei sondaggi, che dal terzo posto, con il 26% delle intenzioni di voto, si trovano ad oggi a guidare la corsa con un 35-32% che consentirebbe loro di avere la parte del leone nella formazione del nuovo governo. Allo stesso tempo l'FPÖ sembra aver subito un'emorragia di consensi, crollando dal primo posto e dal 32% di aprile al 24% di luglio, mentre i socialdemocratici rimangono al palo (25-26% a luglio). La scalata di Kurz non è rimasta senza echi, anche all'estero, e ormai molti articoli paragonano la sua ascesa alla scalata di Macron. Un paragone azzardato, se si considera il profilo dell'austrico, più in linea con la destra conservatrice che con il riformismo centrista; più che Macron Kurz può più propriamente ricordare Donald Trump. Ben più materiali i risvolti austrici della scalata popolare. A fronte dei deludenti risultati dei sondaggi i socialdemocratici hanno addirittura stracciato la loro politica di boicottaggio “senza se e senza ma” nei confronti dell'FPÖ, adombrando una possibile futura coalizione “rosso-blu” condizionata dall'accettazione – assai improbabile – di specifiche condizioni “morali” (rispetto per i diritti umani, consenso dell'FPÖ ad un minimo salariale di 1500 euro, ecc.) da parte del partito di destra, in alcuni casi contastanti con il suo stesso programma.
In realtà l'inedita alleanza FPÖ-SPÖ governa dal 2015 nello stato di confine del Burgenland, ma all'epoca l'apertura dei socialdemocratici locali era stata ritenuta una flagrante violazione di una politica sacrosanta, con espulsioni e scomuniche dei “ribelli” da parte del partito federale. Nella relativa tranquillità con cui è stata invece accolta la svolta di Kern si riflette l'improbabilità dell'opzione “rosso-blu”, che però in ogni caso non può non costituire un inquietante monito rivolto a tutte le forze di sinistra del continente e a tutta l'Europa in generale.
Come d'altronde ogni fatto rilevante della politica austriaca, da un paio di secoli a questa parte.