pubblico italiano è fresco di polemica sulla presenza di unità militari al Brennero), la convergenza tra il Paese alpino e i suoi vicini esteuropei sembra avere tutti i tratti di uno qualunque dei tanti spauracchi agitati dalla stampa e dall'opinionismo “liberal” dall'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca in poi e ripresi e criticati dalla stampa e dall'opinionismo di sinistra.
Il fenomeno della ritrovata vicinanza di vedute centroeuropea in sé non è del tutto trascurabile, ma va letto al di là dei facili schematismi.
Viene spontaneo chiedersi cosa ci sia di così differente tra le politiche di chiusura dei confini adottate per esempio dalla Francia del sedicente liberale Macron, le barriere di confine ungheresi e i pattugliamenti nelle stazioni e a bordo dei treni tra Italia e Austria. Un dubbio legittimo: nei fatti cambia molto poco. Ciò che differenzia profondamente il sodalizio centroeuropeo dall'Europa occidentale sta tutto sul (fumoso) piano dei discorsi e delle ideologie.
L'Austria, dall'ascesa di Haider in poi, è quello che un recente articolo del Guardian ha definito un esportatore netto di populismo di destra, un campo sperimentale dove vengono testate le ricette che poi i partiti della nuova destra di mezza Europa applicano nei loro rispettivi contesti nazionali. L'FPOe inoltre è ad oggi, probabilmente, il partito di destra radicale europeo più longevo e di maggior successo. Una coalizione Nero-Blu inoltre è tutt'altro che una novità, Popolari e FPOe hanno già governato insieme a inizio millennio, un'esperienza che all'epoca destò la riprovazione dell'intera comunità internazionale e dure sanzioni da parte israeliana (maliziosamente si può notare come l'Italia di Berlusconi e Bossi abbia ricevuto un trattamento molto più morbido), seppellita ignominosamente dalle grottesche lotte tra partners di coalizione e tra fazioni all'interno degli stessi partiti di governo.
I quattro di Visegrad invece sono tuttora meno paradigmatici a livello di storia politica, nonostante una simile tendenza alla convergenza verso una egemonia populista più o meno connotata in senso reazionario, confermata da ultimo dalla vittoria di ANO2011 in Repubblica Ceca ma ancora con la rilevante eccezione della Slovacchia. Anche l'effettiva presenza di rifugiati varia drasticamente: se l'Ungheria si posiziona, con Austria e Svezia, tra i Paesi che hanno ricevuto relativamente più richieste di asilo in rapporto alla popolazione lo stesso non si può assolutamente dire di Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. I dilettanteschi tentativi europei di fare fronte alla crisi dei rifugiati iniziata nel 2015 salvando la capra della redistribuzione tra Stati membri e i cavoli delle regole di Dublino ha fornito a Polonia e Ungheria – in un certo senso gli egemoni del quartetto – l'occasione per cementare un blocco geopolitico attorno all'opposizione al sistema delle quote di ricollocamento e una narrazione coerente dell'afflusso di migranti in Europa come evento apocalittico, a tratti ricorrendo al complottismo più becero, che vede la mano del miliardario Soros dietro alle più improbabili trame. Un discorso istituzionale, diffuso dai canali della politica europea e dei media e anche per questo influente sulle scelte di tutta l'Unione. Contemporaneamente la presenza di una vasta rete di soggetti di destra radicale (ma anche di “sinistra sovranista”) diffusa pressoché in tutta Europa, unita all'incapacità dell'UE di gestire il fenomeno migratorio, ha creato nel mercato elettorale una vasta domanda per la xenofobia, tanto a chilometro zero quanto importata dall'Est – ma spesso e volentieri ibrida.
Un possibile ampliamento delle frontiere giuridiche del blocco di Visegrad verso Ovest rimane (per ora) a livello di fantapolitica. Ma, al tempo stesso, non si può non vedere come le frontiere ideologiche formate da un comune discorso improntato alla chiusura circoscrivano chiaramente un blocco che oltre ai Quattro include anche l'Austria, allungando più di un tentacolo verso Sud e verso Ovest.
A differenza della “Europa a due velocità” adombrata da qualche capo di Stato, fatta di confini geografici e di strumenti giuridici, questa Europa a due velocità – a due universi valoriali di principio, a due razionalità di governo – tutta ideologica e culturale, nei fatti esiste già.