Sono nato a Fiesole il 7/6/1993, vivo a prato dal 2000. Ho frequentato il liceo scientifico Agnoletti di Sesto e ora studio Fisica presso l'università di Firenze. Il mio interesse verso la politica nasce nel 2008 con il movimento di protesta studentesco dell'Onda.
Dopo la pausa caffè i macchinisti delle Ferrovie ricominciano la discussione. A partire dal 1 settembre dello scorso anno è stato concordato un nuovo contratto lavorativo: “Adesso col nuovo contratto siamo diventati lavoratori a cottimo, cioè più si lavora e più si guadagna, nel bene e nel male. Se da un lato questo può servire al lavoratore che magari ha bisogno di guadagnare un po’ di più per far quadrare i conti in famiglia, dall’altro gli straordinari sono diventati inutili”. Monetizzare tutto serve all’azienda per far ingoiare il rospo: ma quanto è grande questo rospo?
Incontriamo un gruppo eterogeneo di macchinisti, dai più giovani a chi è già in pensione. In ferrovia sopravvive una delle poche professioni che rivendica il proprio lavoro come arte: diverse generazioni si confrontano su una superficie comune. Per quanto le condizioni stiano peggiorando “fino a che si campa così” quello del macchinista è un lavoro soddisfacente, ovviamente “con dei pro e dei contro”.
In questi primi mesi di pubblicazioni per Il Becco ci siamo resi conto dell’importanza del lavoro sul nostro territorio. Proprio per questo motivo abbiamo deciso di incontrare Matteo Gaddi, per imparare che cosa significa fare inchiesta sul territorio e nei luoghi di lavoro: come imparare a conoscere le varie situazioni lavorative e le condizioni dei lavoratori in modo da evitare che l'indagine rimanga solamente un insieme di numeri. L'inchiesta deve avere difatti un fine politico: deve servire a conoscere a fondo le condizioni dei lavoratori ma anche a valutare la coscienza di classe di questi.
Quello che doveva essere un inizio d’anno tranquillo si è trasformato in un incubo per i 314 lavoratori della storica azienda fiorentina Richard Ginori. Dallo scorso agosto in cassa integrazione con lo stop alla produzione, erano pronti comunque per ripartire il 7 gennaio. Infatti dopo gli eventi dello scorso anno, in cui si la Ginori si era trovata in una situazione a rischio di fallimento (c'è stata anche l'occupazione della fabbrica in segno di protesta a fine luglio), per fortuna nei mesi di novembre e dicembre si era raggiunto un concordato preventivo con le aziende Lenox e Apulum per rilevare l’azienda e farla ripartire appunto a gennaio.
Nel pomeriggio del 20 hanno manifestato sotto palazzo vecchio i Cobas ATAF regalando al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, un libro di barzellette, poiché in seguito alla dichiarazione informale dell’esubero dei lavoratori Renzi aveva risposto: “barzellette”.
Ed eccole le barzellette: l’azienda Ataf Gestioni che si occupa del trasporto pubblico fiorentino ha annunciato in data 20/12 un piano industriale che prevede 194 esuberi su di un personale di 1181 dipendenti e con l’aumento del costo del biglietto singolo da 1,20€ a 1,50€ e un aumento del 10% del prezzo degli abbonamenti. Di questi 194, 59 sono autisti e 135 sono personale che lavora a terra.
Il fatto però che aggrava la condizione dei lavoratori è la mancanza di ammortizzatori sociali. L’azienda si giustifica dicendo che la perdita annua è di circa otto milioni e mezzo e che, con il piano appena annunciato, sarebbe previsto un risparmio annuo di circa sette milioni di euro. Insomma la politica dell’azienda è chiara: trasformare quello che dovrebbe essere un servizio al cittadino, in uno strumento finalizzato al profitto che oltre ad aumentare i prezzi diminuisce l’offerta a quei cittadini che non abitano vicino al centro e che perciò devono ricorrere a mezzi privati.
La domanda che ora sorge spontanea è: come mai non sono previsti ammortizzatori sociali? I fondi che servono come sostegno ai lavoratori esuberati dovrebbero essere contrattati dall’azienda nel caso sia previsto nel piano industriale il reintegro dei lavoratori dopo un certo periodo di tempo, ma il problema è che nel piano industriale questa ipotesi non sembra essere considerata, ed è solamente previsto il possibile trasferimento di alcuni degli autisti esuberati in Germania e in Italia.
L’azienda può permettersi questa condotta autoritaria che esclude lavoratori e sindacati, poiché sin dal bando di gara per la privatizzazione dell’azienda, che adesso è sotto BusItalia, era assente la clausola sociale la quale avrebbe abbassato il prezzo di vendita dell’azienda pubblica. La RSU aveva già previsto e annunciato che sarebbero state queste le conseguenze della privatizzazione dell’azienda e ora si attendono risposte dalle istituzioni, comune e regione, per cercare di alleviare il disastro imminente.
Il rottamatore è andato rivendicando la vendita del servizio del trasporto, un po' accusando la Regione, un po' descrivendo il trasporto pubblico come un peso per le casse comunali . Ataf è così finita nelle mani di Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie, rinviato a giudizio in questi giorni per la strage di Viareggio. Ottimo risultato.
wLa proprietà della storica azienda fiorentina che produce mattoni in vetro, ha richiesto, in data 20/11/2012, la cassa integrazione ordinaria della durata di 13 settimane a partire dal 10 dicembre, per 97 dei 107 lavoratori dell’impresa con l’intenzione di spegnere il forno il 10 dicembre. Il rischio è che, come teme la RSU della Seves, al termine della cassa integrazione non venga riacceso il forno e quindi non sia assicurato il reintegro dei lavoratori e la ripresa della produzione.
Già alla fine del 2010 e nel 2011 è stata combattuta dai lavoratori una dura lotta per evitare la chiusura e la delocalizzazione dello stabilimento, e sembrava che le cose stessero andando per il verso giusto e adesso sono di nuovo punto e accapo…
In seguito all’interrogazione immediata agli enti locali (comune e provincia di Firenze, regione Toscana) dei consiglieri provinciali Andrea Calò e Lorenzo Verdi (Rifondazione Comunista) di fare chiarezza su questa faccenda, Dario Nardella (il vice sindaco di Firenze ), Stefano Saccardi (assessore alle politiche del lavoro), Federico Gianasi (presidente del Quartiere 5), insieme a Mauro Fuso (segretario della Camera del Lavoro), hanno incontrato le Rsu della Seves, e sia lavoratori che istituzioni ritengono ”inaccettabile l’ipotesi dello spegnimento del forno”.
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