Classe 1992, vivo a Pistoia dove faccio politica ormai da alcuni anni (prima nel movimento studentesco e poi in Rifondazione).
Passione per il giornalismo coltivata fin dai primi anni di liceo che mi ha portato a collaborare con NewNotizie.it e altri portali di informazione nazionale e locale.
1) Domenico Moro, economista, membro della direzione nazionale del PdCI, autore di numerosi saggi come “Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo” e il “Nuovo compendio del “Capitale” di Karl Marx”. Partiamo dall'inizio e, quindi, proprio dall'attualità di quelle intuizioni che furono del barbuto di Treviri: che cos'è questa crisi?
Abbiamo a che fare con una crisi non congiunturale bensì del modo di produzione capitalistico, manifestatasi nel 2007/2008 in forma finanziaria e successivamente nella forma dei debiti sovrani, ma che sostanzialmente deriva da una sovraccumulazione di capitale, dalla caduta del saggio di profitto e dalla necessità del capitale di spostarsi su un piano speculativo (come ad esempio i derivati legati prima al mercato immobiliare e poi al debito pubblico).
Di seguito la seconda parte – dedicata al contesto europeo – del documento redatto nell'estate 2012 come sintesi degli interventi ospitati nel corso di circa due anni dalla rivista online La Prospettiva, per promuovere un confronto costruttivo fra le diverse anime della sinistra sui temi della crisi e delle politiche economiche e del lavoro.
PER UN'EUROPA DEI POPOLI E DEI DIRITTI
Dalle vicende degli ultimi due anni è emerso con sempre maggiore evidenza come la costruzione stessa di questa Europa, che oggi ha assunto un enorme peso politico ed economico, si presenti di per sé come ademocratica.
In questo senso occorre porre il tema del conflitto contro la “tecnica”. Quella “tecnica” presentata come neutrale (there is no alternative, avrebbe detto Margaret Tatcher) ma che risponde in realtà ai rapporti di forza esistenti, oggi tutti a favore di quei dogmi neoliberisti che sono causa stessa dell’esplosione della crisi.
Premessa
La Prospettiva è stata una rivista online – affiancata da alcune pubblicazioni in cartaceo – che fra il 2011 e il 2012 ha rappresentato uno spazio aperto di discussione e di confronto costruttivo fra le diverse anime della sinistra, animato e voluto da compagne e compagni della Toscana provenienti dalle più diverse esperienze politiche a sinistra (dai partiti ai movimenti studenteschi, dal mondo dell'associazionismo al sindacato).
Pochi passi separano, nel pieno centro di Roma, il Teatro Capranica da Montecitorio.
Pochi passi dal luogo scelto per l'assemblea di lancio della propria candidatura, al ritorno dal Guatemala, che adesso l'ormai ex pm Antonio Ingroia dovrà percorrere, attraverso le elezioni del prossimo 24-25 febbraio, per concretizzare l'intento di portare in Parlamento una rappresentanza credibile delle istanze delle battaglie politiche per i diritti del lavoro e contro le cricche e le mafie, oggi assenti dal "palazzo" e impossibilitate a riconoscersi anche in una coalizione di centrosinistra dal profilo programmatico ancora assai incerto.
Per l'Italia dei Valori l'operazione “centrosinistra” doveva partire da qui, dalle stanze dell'Auditorium al Duomo di Firenze. Non è un segreto, d'altronde, che proprio il vicecapogruppo alla Camera e segretario regionale dell'Idv Fabio Evangelisti (già vicino alle posizioni del transfugo Donadi) lavori per ricucire lo strappo del partito con i “progressisti” di Vendola e Bersani. La Toscana, governata da un centrosinistra modello Unione (dal PD a Rifondazione), pareva dunque il terreno ideale per recuperare i rapporti interrotti; purtroppo, però, il presidente della Regione Enrico Rossi, che avrebbe dovuto discutere con Antonio Di Pietro del “futuro del centrosinistra”, è risultato assente giustificato, costretto a casa dall'influenza.
Malattia provvidenziale, hanno sussurrato in platea i più maligni. E la sensazione, ascoltando la conversazione fra il leader di Idv e la giornalista de “l'Unità” Claudia Fusani, è che l'ex pm e Bersani non abbiano ancora ristabilito alcun tipo di interlocuzione. Di Pietro lo dice chiaramente: “il Partito Democratico (con SEL) pensa di poter approfittare della mancata modifica della legge elettorale per vincere in solitaria con il porcellum”. E sbaglia. Anche perché, come ha ricordato in questi giorni il professor Roberto D'Alimonte, non è detto che con un centro debole e un Berlusconi in ripresa il centrosinistra ristretto a PD e SEL riesca ad aggiudicarsi una solida maggioranza in Senato. Non vorrebbe, Di Pietro, che le porte chiuse del PD portassero ad una “riedizione della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria”. In questo scenario, piuttosto cupo, non manca però lo spazio per l'orgoglio, di fronte ad un partito che barcolla sotto i colpi degli scandali degli ultimi tempi (dalle case di Report al laziale Maruccio), ma non intende ritirarsi dal campo di battaglia.
Migliaia di metalmeccanici della CGIL hanno attraversato ieri Firenze, da Piazza Indipendenza a Piazza Strozzi, in occasione dello sciopero generale indetto dalla FIOM. Una mobilitazione distribuita su due giorni (in contemporanea con il capoluogo toscano piazze a Milano e Ancona, oggi tutte le altre regioni) e convocata contro la decisione di Federmeccanica di siglare un accordo separato con Fim e Uilm per il rinnovo del contratto nazionale di categoria. L'intesa esclude dal tavolo l'organizzazione di Landini (senza che l'accordo – come chiede la FIOM – possa essere votato nelle fabbriche dai quasi 2 milioni di lavoratori interessati) e, di fatto, estende a tutto il settore il “modello Marchionne”.
Come ricordato nell'intervento conclusivo da Giorgio Airaudo, il combinato disposto del patto per la produttività (sottoscritto dal governo con le parti sociali senza la CGIL) e dell'accordo separato dei metalmeccanici produrrà lo svuotamento dei contratti nazionali e la possibilità di derogare su tutti i diritti fondamentali azienda per azienda.
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