Il Giappone tempo fa si trovò in questa situazione e ci impiegò più di un decennio per uscirne. I commentatori economici e politici più seri non a caso scrivono, ormai, che “ci vorrà molto tempo”. E persino l'antigufo Renzi oggi gufa: non giudicatemi troppo alla svelta, perché le cose che sto facendo butteranno nei tempi lunghi, datemi mille giorni, ne riparliamo nel 2017, ecc.
Ma dentro alla sarabanda confusionaria degli impegni di governo e dentro alla sarabanda beneducata delle discussioni europee di quel semestre di presidenza italiana nel quale si sarebbero realizzate cose decisive per la ripresa (e, ovviamente, per il mantra dell'occupazione giovanile) niente si ode che possa effettivamente invertire la tendenza negativa europea e segnatamente italiana. Anzi si ode l'ampio gufare degli antigufi. Valga per tutti il ritornello renziano in fatto di un'Italia che non accetta lezioni da nessuno, che si muoverà dentro agli impegni di bilancio (cioè non andrà oltre il 3% di deficit), e che per questo legittimamente chiede l'allentamento dell'“austerità”, chiede “flessibilità”, ecc. all'Unione Europea. Questo significa semplicemente che la sarabanda degli impegni anche se effettivamente realizzata alla svelta (cosa improbabilissima) è del tutto insufficiente a smuovere la realtà della recessione e della deflazione. Non a caso le aspettative di famiglie e imprese volgono al pessimismo, la stessa Confindustria afferma che gli impegni di governo sono del tutto insufficienti, e questo ha persino cominciato a scriverlo la grande stampa padronale, dal Corriere della sera a la Repubblica, cioè i mezzi fondamentali di quei settori fondamentali di establishment capitalistico che Renzi si sono inventato. Avvertiti per tempo, dati gli strumenti di cui dispongono, di come l'Italia stia andando a sbattere e la zona euro vada di male in peggio, stanno preparandosi alla recita “l'avevamo detto”, cioè, se sarà, come pare ormai possibile, il caso, a separare gufando le proprie immagini e i propri destini da quelli dell'antigufo.
Per dirla in poche parole, all'Italia servono contemporaneamente l'immissione nel sistema non di pochi miliardi presi di qui e di là ma molte decine di miliardi da investire coerentemente da parte pubblica prima di tutto in infrastrutture e nella ricostruzione del sistema industriale, disastrato e ridimensionato prima ancora che dalla crisi dalle politiche scempie dell'intero filotto, da più di vent'anni a questa parte, di governi di centro-sinistra, centro-destra e centro-sinistra-destra. Come queste basilari necessità della nostra economia siano realizzabili stando renzianamente “dentro agli impegni di bilancio” ovvero sotto al 3% del deficit nessuno è in grado di argomentarlo e nessuno neanche ci prova, essendo impossibile. Per non parlare, ovviamente, di quell'altro impegno, che Renzi finge di scordare ma che Monti mise addirittura nella Costituzione, del fiscal compact ovvero dell'abbattimento della somma del debito a botte del 5% l'anno, ciò che significa tagli alla spesa pubblica dell'ordine dei 50 miliardi di euro, e che non c'è dubbio che la Germania prima o poi ricorderà all'Italia che l'impegno del fiscal compact c'è, e se non lo farà la Germania ci penseranno a ricordarglielo le colonie tedesche di Finlandia od Olanda.
Si parla molto, nel medesimo atteggiamento psicologico di quella parte dei napoletani che crede al miracolo di San Gennaro, dell'intervento risolutore prossimo venturo del buon Draghi ovvero della BCE. Si tratta di un complesso di misure, che non stiamo a riassumere sia per brevità che perché esistono margini congrui di indeterminatezza riguardo ad alcune, orientate, le principali, a immettere nel sistema bancario della zona euro molte centinaia di miliardi, forse mille, di euro, tramite l'acquisto di titoli di varia natura, avendone in cambio l'impegno bancario a effettuare prestiti alle imprese (quelle non finanziarie, solo quelle produttive) e alle famiglie (non però per la sottoscrizione di mutui). Ciò è quanto si capisce. Indubbiamente un'elevata immissione di liquidità è tra quanto serve contro recessione e deflazione. Però, attenzione: è tra quanto serve, non è cioè tutto ciò che serve. Infatti non è affatto da dare per scontato che le imprese si muoveranno davvero incrementando gli investimenti e le famiglie incrementando le spese: se le loro aspettative rimarranno negative, e ciò appare probabile, perché esse per rovesciarsi necessitano di vedere che il riavvio dell'economia è effettivamente cominciato, le banche continueranno a tenere in cantina i loro soldi e le famiglie che hanno qualcosa in più da spendere a tenerli nel materasso. Concretamente, servirebbe che da parte dello stato cominciassero investimenti di tale portata da portare a primi elementi di lievitazione salari (capacità di spesa delle famiglie) e andamento dell'economia. Ma qualcuno di voi ha sentito o letto di qualcosa del genere, in Italia e nell'Unione Europea? Non solo. Draghi doveva cominciare almeno un anno fa a muoversi: sicché oggi, aggravatasi la situazione, non è detto che le cifre che propone siano adeguate. Inoltre, riuscirà Draghi effettivamente a muoversi? Il freno a mano tedesco che ha operato un anno fa non è detto che possa essere allentato.
Gira e rigira, il ragionamento sulla lotta a recessione e deflazione richiede, per essere valido, un complesso di misure riguardanti contemporaneamente 1- grandi investimenti pubblici in infrastrutture e, soprattutto in Italia e in Francia, nella ricostruzione dei loro sistemi industriali, quindi politiche industriali coerenti ecc., 2- ripresa grazie a ciò dell'occupazione ma al tempo stesso, prima che ciò avvenga, iniziative pubbliche a difesa delle retribuzioni dei lavoratori, abbattimenti fiscali a beneficio di imprese produttive e famiglie, sussidi adeguati alle forze di lavoro inoccupate, ritorno delle pensioni a livelli decenti ecc., 3- politiche di redistribuzione per via fiscale del reddito a generale vantaggio popolare e ritorno a un'elevata qualità del sistema dei servizi sociali, 4- come condizione ambientale, il trasferimento in toilet dei vincoli restrittivi di bilancio, consentendo quindi agli stati di poterli sforare (sapendo, tra l'altro, che l'unica via reale per riuscire a ridurre deficit e debito è la ripresa dell'economia, in quanto essa porta agli incrementi necessari di gettito fiscale: mentre in condizioni di crisi economica deficit e debito non possono che aumentare).
Gira e rigira, tutto conferma che a produrre e ad alimentare la crisi dell'economia c'è la crisi delle condizioni materiali di vita delle classi popolari, a partire dal mondo del lavoro: oggetto nell'Unione Europea sin dagli inizi di attacchi da ogni lato da parte delle classi dominanti e del loro ignobile politicantume. Quindi tutto conferma che o si parte prima di tutto da qui, o dalla crisi si uscirà chissà quando, e avendo registrato ulteriori pesanti aggravamenti della condizione sociale.
Una responsabilità grave per questa situazione è indubbiamente, almeno in Italia, anche delle grandi organizzazioni sindacali. Esse denunciano la gravità della situazione economica e sociale, è vero: ma non fanno un beato fico secco per invertire la tendenza. Lamentano che non le si ascolta, non avendo ancora capito che questa lamentela non ha senso, data la posizione fondamentale del governo Renzi. Tra le “riforme decisive” per riavviare l'economia italiana c'è, esso dice, quella del lavoro. In quel poco che si legge c'è la solita scemenza europea, che l'occupazione può aumentare operando sulle condizioni dell'offerta di lavoro, mentre il precariato è stato addirittura incrementato e il residuo dell'art. 18 sui licenziamenti è sotto tiro. L'infame legge Monti-Fornero sulle pensioni è destinata a rimanere tale e quale. In altre parole, questo è un governo che non ha intenzione di fare alcunché sul versante della causa primaria della crisi. A quando da parte di CGIL CISL e UIL si batterà un colpo?