Anche in Italia vi sono numerose minoranze linguistiche, più di quante un comune cittadino sia portato a pensare: tedesca, francese, franco-provenzale, sarda, albanese, greca, slovena, croata, occitana, friulana, catalana, ladina, infine quella dei cimbri che tutti voi pensavate definitivamente sconfitti dal console Mario (Gaio non Monti) nel 101 a.e.v. alla confluenza del Sesia col Po. Tuttavia è necessario segnalare un ritardo dell’Unesco nel seguire e documentare due lingue parlate sul nostro territorio, una lacuna che noi tentiamo ora di colmare.
La prima di queste lingue è il ciriachese, idioma che possiede il primato di essere parlato e inteso dalla stessa unica persona; l’origine della lingua viene universalmente collocata a Nusco, ridente cittadina dell’Irpinia, alcuni sostengono che essa si sia successivamente diffusa ad Avellino, Napoli e Roma, in realtà studi più recenti hanno dimostrato che non di diffusione si tratta, bensì dei successi spostamenti dell’unica persona capace di parlare ed intendere il circiachese. Questa persona ha a suo tempo affermato che il ciriachese deriva dal dialetto greco parlato nelle città della Magna Grecia, ma oggi l’ipotesi più accreditata è che esso derivi dal miscuglio fra grammatica, morfologia e sintassi del democristiano-doroteo e una pronuncia particolare dell’irpino. In ogni caso il ciriachese è una delle lingue più difficili da apprendere e parlare al mondo, la comunicazione scritta usa il democristiano-doroteo, la comprensione del ciriachese pone assai più difficoltà del basco, dell’etrusco, del navajo e dell’atabasco. È noto alle cronache, che negli anni ’80 del XX secolo, il nostro parlante si recò, non si sa per quali oscuri motivi, in visita ufficiale ai reali del Regno Unito; nell’occasione il capo del cerimoniale di Buckingham Palace incaricò della traduzione simultanea dei colloqui la più nota ed insigne esperta di italianistica dell’Università di Oxford, ma l’illustre, nonché stimatissima docente diede forfait dopo poche frasi, scoppiando in lacrime senza riguardo, né ritegno, di fronte a Sua Maestà la Regina ed accusando un forte esaurimento nervoso da cui non si è ancora completamente ristabilita.
Più recentemente è stata scoperta nel nostro paese un’altra lingua: il vendolese, lingua che possiede la peculiarità di essere parlata da un numero di persone maggiore di quello di coloro che sono capaci di intenderla. Il vendolese è parlato prevalentemente nei talk show, negli interventi a Rai3, a La7, Telebari ed altre emittenti, nelle interviste a il Manifesto, su twitter, facebook e vari blog, soprattutto da esponenti politici di nome Nicola, che usano abbreviare in Nichi. Il vendolese ha tre caratteristiche:
- può essere inteso da ognuno come meglio gli aggrada, senza particolari problemi, in quanto essendo di moda e comprendedolo appieno solo la cerchia dei più stretti collaboratori, nessuno si sentirà accusare di non averlo correttamente inteso;
- come il silviese muta spesso di significato, secondo l’occasione, la situazione, il giorno e l’ora così il vendolese; esempio pratico, l’affermazione: “Mai con Monti” o “Mai con Casini” può essere tradotta in “Sarebbe meglio di no, … ma se lo chiede Bersani”, oppure “Per ora è no, poi vedremo”, ancora “Col cavolo che rinuncio ad un posto di governo, piuttosto mi turo il naso”, e via traducendo liberamente;
- la singolarità del vendolese consiste però nell’aura poetica che questa lingua emana, essa non è una lingua prosaica, di quelle che si limitano chiamare le cose con il loro nome; il vendolese non è fatto semplicemente per parlare o comunicare, il vendolese è fatto per narrare, poco importa se a veglie nella stalla delle vacche, all’osteria, nell’aula magna dell’Università di Bari, nel consiglio regionale della Puglia. Questa lingua evita prosaiche formulazioni dirette, che non hanno poesia, essa non rifugge dall’ossimoro, dall’epanodo, dalla paralessi, dalla sillessi, dagli epifonemi, essa rifugge la piattezza del linguaggio usato ed usuale per alzarsi a vette di poesia irraggiungibili, anche se incomprensibili. In definitiva al bar in vendolese non puoi limitarti a chiedere un caffè, devi narrare il tuo bisogno di sorbire un caffè. Il “vendolese” è la lingua perfetta per vendolizzare, che secondo la definizione della Crusca significa: “vendolizzare v. tr. Trasferire ad altri in cambio di consenso politico cose di nulla o poca sostanza. Es. “vendolizzare fumo, aria fritta, quisquilie, bazzegole, pinzillachere, inezie, minuzie, frottole, fiabe, ecc, ecc, ecc”.
Immagine tratta dalla pagina Facebook: Feudalesimo e Libertà