Unica categoria, perché le altre che godevano di sistemi speciali sono state “armonizzate”, cioè il Parlamento, attraverso delle commissioni tecniche, ha valutato se persistevano condizioni di lavoro particolarmente disagiate e quindi se sussistessero ancora presupposti per mantenere un’età di pensione anticipata.
Per i ferrovieri questo non è accaduto, perché durante la trascrizione della legge che disponeva le armonizzazioni (decreto-legge n. 201/2011) qualcuno ha commesso un errore: nell’ultimo periodo dell’articolo 24, comma 18, è stata infatti utilizzata la parola «articolo» anziché «comma», e questo fatto di per sé banale ha escluso i ferrovieri dalle categorie da armonizzare.
Che si sia trattato di un errore e non di una scelta consapevole è stato ormai riconosciuto da tutte le forze politiche; ma nonostante questo sono già tre anni che i ferrovieri, in una vertenza iniziata dalla rivista storica dei macchinisti “ancora In Marcia”, stanno chiedendone la regolarizzazione, senza aver ottenuto fino ad oggi nessun risultato concreto.
La modifica al testo di legge è stata ed è tuttora sostenuta da tutti i membri della Commissione Lavoro della Camera, da Damiano e Gnecchi del PD a Rizzetto, Tripiedi e Cominardi del M5S a Marcon e Airaudo di SEL, a Fedriga della Lega a Di Salvo del Gruppo Misto, ma i governi che da allora sono stati in carica l’hanno sempre respinta. La motivazione del diniego è di natura economica, quando invece persino l’INPS, consultata per un “preventivo di spesa”, ha confermato che si tratta di poca cosa.
L’aspetto paradossale è però che un governo stia di fatto sostenendo che bisogna individuare una copertura finanziaria non per un provvedimento nuovo, quanto per la correzione di un errore che sempre un governo ha commesso!
I ferrovieri intanto non si sono arresi, ma continuano a chiedere la restituzione di quanto è stato loro tolto.
In particolare non si possono arrendere i macchinisti, perché andare in pensione a 67 anni quando si muore a 65 è contro ogni logica, persino contro la matematica.
E di sicuro nessun macchinista si augura di morire, ormai stremato, alla guida di un treno.