Venerdì, 22 Maggio 2015 00:00

Attorno al Partito della Polizia

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Negli ultimi mesi il Paese ha attraversato un periodo di indignazione costante, forse vuota. La Corte dei Diritti di Strasburgo certifica le pratiche di tortura durante il G8 di Genova, segnalando che in Italia non esiste nemmeno una tipologia di reato in grado di disincentivare il ripetersi di simili scempi. Il Primo Maggio 2015 tocca invece ai manifestanti scuotere l'Italia, per via di nuove inutili disordini avvenuti per le strade di Milano.

Marco Preve è un giornalista de La Repubblica, da anni di stanza nel capoluogo ligure. Il partito della polizia è il libro che ha presentato a Firenze il 20 maggio, insieme a Sandra Bonsanti, Donatella Dalla Porta ed Enrico Zucca.

Un’occasione per riflettere, fuori da semplificazioni e dannose retoriche, sulle forze dell’ordine. Alla base di tutto c’è la volontà di denunciare un gruppo di potere all’interno della Polizia di Stato, che nel corso dell’ultimo ventennio si è legato ai vertici di magistratura, finanza e politica in modo malato.

Dopo la condanna sopra citata della Corte Europea, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, si è sentito in dovere, senza alcuna sollecitazione, di intervenire nel merito della questione.

«I fatti della Diaz sono vergognosi, ma le indagini su quei fatti hanno consentito di individuare le responsabilità, anche dei vertici, senza bisogno del reato di tortura. [...] La polizia italiana è democratica da molto più tempo di quanto le sentenze della Corte Europea facciano pensare che sia».

Un magistrato che commenta una sentenza è cosa inusuale. Testimonia un legame che può nascere per molti motivi, compresa la stima di chi vive sotto scorta verso gli uomini addetti alla propria protezione.

Sandra Bonsanti, storica giornalista e presidentessa di Libertà e Giustizia, conferma un problema che esiste anche nel campo dell’informazione. Ammette di essere rimasta turbata dalla lettura del libro di Preve, perché ha ritrovato gli interlocutori con cui si è rapportata nel corso degli anni di lavoro.

Nel corso della presentazione c’è spazio per un aneddoto universitario dell’ex direttrice del Tirreno. Un’insegnante di etruscologia avvertiva gli studenti di partire sempre dal presupposto di trovarsi di fronte a un falso, quando in un museo veniva proposto “un vaso bellissimo”. Contrariamente a quanto accade comunemente, i giornalisti dovrebbero evitare di creare rapporti di amicizia con le proprie fonti, soprattutto quando si a che fare con versioni e ricostruzioni ufficiali. Manca anche all’interno del mondo dell’informazione una spinta critica (esclusi alcuni casi isolati) in grado di portare, ad esempio, le inchieste all’interno del Ministero dell’Interno. Molti sono gli armadi della vergogna ancora chiusi, in cui sono raccolte storie inquietanti quanto attuali. Si ricorda anche un antecedente di waterboarding, la storia di Salvatore Marino, torturato a morte nella questura di Palermo nel 1985. La rimozione delle pagine oscure si accompagna ad una narrazione per cui invece Giovanni De Gennaro, in alcuni ambienti, è ancora ricordato come il giovane eroe dei due mondi, collaboratore di Giovanni Falcone, che riportò in Italia Tommaso Buscetta.

Gli scandali arrivano ovattati e spesso ci vuole del tempo per scorgere la verità di quanto accade, anche quando si registra una reazione immediata e forte. I fatti del G8 di Genova, per Donatella Dalla Porta, si riescono a capire principalmente comprendendo quello che è accaduto dopo (magari leggendo anche L’eclisse della democrazia di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci). Solo dopo il 2001 è emerso quanto sia forte il legame tra la mancanza di diritti e la corruzione. In Italia il sistema è tenuto insieme non solo da una grossa quantità di denaro, ma anche dalla gestione delle informazioni, che permette una situazione di ricatto reciproco tra i diversi protagonisti della vita sociale, istituzionale e politica.

La situazione nel nostro Paese è a tratti paradossale: abbiamo tra i più alti livelli di sindacalizzazione delle forze dell’ordine e un elevato numero di sindacati di polizia. Questa condizione non è però indice di pluralità e democrazia. Si tratta piuttosto di una gestione dei diritti come favori (le possibilità di carriera sono un esempio evidente).

Il lavoratore in divisa italiano è il meno protetto, rispetto agli altri colleghi europei. Al contempo il poliziotto italiano è il più tutelato in caso di abusi e illegittimità.

Ci sono diversi elementi storici utili a capire il presente. Le forze dell’ordine sono passate dallo stato fascista ad una forma democratica atlantica ed anticomunista. Negli anni ’80 si è consumata una riforma incompiuta, se non mancata. Il blocco storico dell’opposizione si è illusa che fosse sufficiente un cambio di vertici, piuttosto che un effettivo mutamento del sistema, a partire dai meccanismi di formazione ed organizzazione della polizia. La sinistra è andata poi sparendo, fino al punto che oggi in Parlamento è praticamente assente una cultura liberale, oltre che una proposta di riforma democratica delle forze dell’ordine.

Il compromesso sulla sindacalizzazione delle forze dell’ordine è l’esempio portato per evidenziare un sistema ci corruzione che copre l’assenza dei diritti e di cui la malsana gestione dell’informazione è parte integrante.

Questa peculiarità nazionale si aggiunge ai temi classici della sociologia, che evidenziano come il poliziotto sia una sorta di burocrate della strada, alla cui discrezione è affidata in definitiva la decisione su come esercitare il suo potere. La necessità di una contro-democrazia parte da una necessaria diffidenza, da trasformare in attiva vigilanza quando ci si trova davanti a qualsiasi forma di autorità. Solo così può essere arginato il fenomeno dello spirito di corpo, termine improprio per descrivere una malattia professionale che tende a giustificare le impunità (e non una qualità tesa a creare condizioni di aiuto reciproco per lo svolgimento del dovere professionale). Senza contro-democrazia accade invece che le leggi militari vengano applicate all’interno del territorio italiano, come è successo in Campania e in Val di Susa. La discrezionalità su quali regole applicare si aggiunge al sistema di corruzione, aggravando ulteriormente la situazione italiana.

Enrico Zucca, il magistrato che si è occupato delle inchieste contro la polizia per i fatti di Genova del 2001, conferma l’esistenza di problemi di fondo che vanno ben oltre le questioni particolari. Nel caso dei processi legati agli eventi del G8 ligure, da parte di un pezzo di sistema, si è parlato di accanimento giudiziario ai danni delle forze dell’ordine. La falsità di questa polemica è agilmente verificabile andando a guardare il numero di denunce archiviate o prescritte.

Non si è proceduto nelle aule dei tribunali per nessuno dei casi di violenza da parte del corpo di polizia negli ospedali (ai danni di persone ricoverate). La Diaz e Bolzaneto sono solo “la punta di un iceberg” che si preferisce ignorare.

Tra i problemi c'è uno spettro che viene da lontano: i dubbi sulla capacità di tenuta del sistema di polizia. Dato che a Genova l’illecito ha investito le forze dell’ordine "dalla truppa al vertice", da parte degli ambienti istituzionali e giudiziari c’è una sorta di imbarazzo ad andare fino in fondo, anche per il timore che la Polizia di Stato possa non tenere più sul piano della democraticità.

In realtà non è solo una remora politica o morale a favorire la situazione italiana. Vige nel paese il principio di corruzione per nobile causa, ossia l’idea che si possano piegare un po’ le regole per adempiere ai doveri ultimi. Le forze dell’ordine mentono perché possono farlo e perché ricevono pressioni in questo senso continuamente (da ogni parte). Da una parte la giustificazione interiore, dall’altra la complicità di magistratura, giornalisti e giudici. Il tutto in un paese dove il placet politico conta più dell’opinione pubblica. Lo dimostra anche la promozione dei responsabili di Genova, che contraddice le norme europee per cui un agente rinviato a giudizio per violazione di diritti fondamentali deve essere sospeso, mentre quello condannato deve essere rimosso.

Zucca tiene a precisare che la richiesta di identificazione dei poliziotti, la volontà di indagare sulla verità di alcuni fatti, di procedere in giudizio per illeciti e reati, è una forma di rispetto verso il corpo di polizia, che viene meno proprio nel favorire quel sistema di corruzione denunciato dal libro di Preve.

Nell’ambito della filosofia politica si accetta frequentemente una visione weberiana della politica. Comunemente (e semplificando) si accetta l’idea che il potere presupponga il monopolio dell’uso della forza considerata legittima. Le forze dell’ordine sono quelle preposte a preservare lo Stato all’interno dei confini. Una sinistra che si propone di mutare lo stato di cose presenti, ma che è incapace di ragionare sul tema della polizia, è la rappresentazione di un problema profondo, che in Italia assume caratteristiche ridicole.

Da una parte la (quasi dimenticata) candidatura di Ingroia, dall’altra posizioni che rivendicano slogan infantili come ACAB. Nel mezzo il problema dell’uso della violenza, il tema dei poliziotti come lavoratori in divisa, la questione dei rapporti di forza all’interno del paese.

Ultima modifica il Venerdì, 22 Maggio 2015 00:06
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

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