Milano imbrattata, Milano devastata così titolavano tutti i giornali il giorno dopo. Così in invettive socialnetworkeniane, perché secondo molti la rabbia sociale è solamente espressione di un manipolo di uomini piuttosto che un onda piena ed esultante di 50mila persone. Tralasciando i giudizi politici rispetto a quella giornata, è bene forse concentrarsi su quello che è avvenuto immediatamente dopo. Cittadini e cittadine di Milano scesi in piazza volontariamente per cancellare quelle scritte infamanti, ripulire i marciapiedi imbrattati da uova e vernice, all’apparenza una nobile azione. Nel perbenismo dilagante della nostra epoca però questo gesto è passato quasi alla stregue dell’eroismo omerico, la realtà resta tuttavia ben diversa e neanche il movimento nato per ripulire la città, Retake Milano, può forse spiegare come sia potuto accadere.
Pochi giorni dopo l’azione collettiva infatti si è scoperto che era stato cancellato definitivamente un opera graffita dell’artista Pao e Linda.
Il grossolano “errore” è avvenuto nei pressi di via Cesariano, allorquando i volontari hanno cancellato il murales di due street artist, Pao e Linda, realizzato nel 2001 all’interno di una niziativa degli abitanti e dei commercianti del quartiere. Il murales fu a suo tempo realizzato grazie al contributo dei ragazzi del quartiere. La replica dell’artista non si è fatta (giustamente) attendere:
"Era un progetto di riqualificazione dal basso fatto con gli abitanti del quartiere: certo, era un po' rovinato, ma meglio un disegno che un muro grigio, no?. Nel 2001 dipinsi insieme a Linda il muro di via Cesariano. Uno dei miei primi muri, realizzato con il consenso dei frequentatori della piazza, genitori, abitanti negozianti. Ottenere il permesso da parte del Comune era operazione impossibile, quindi decidemmo di fare quello che ritenevamo giusto, andando oltre agli ostacoli burocratici. A volte, seguire la propria coscienza è la cosa giusta da fare, a volte il bello dell’arte è proprio questo. Raccogliemmo i soldi per i colori, coinvolgemmo i bambini, facendoci aiutare da loro per colorare, chiudemmo l’esperienza con una bella festa di inaugurazione. Un vigile passò di lì e in quanto dotato di buon senso, ci disse di continuare, che lui non aveva visto niente.
Mi dispiace per i maniaci dell’ordine e del monocromo, ma luoghi come via Cesariano ed il suo murale sono necessari alla città, per la salute mentale dei suoi abitanti e per lo sviluppo creativo dei suoi bambini. L’intervento di ieri dei volontari di Retake Milano, è stato quanto meno avventato, certo il murales era scolorito, con qualche pasticcio sopra, ma è evidente che per molti era ancora preferibile al noiosissimo rosa pallido che hanno scelto. Non era meglio prima parlare con i residenti? E magari contattare chi quel muro aveva dipinto, se pur senza permesso ufficiale, con il consenso dei fruitori di quello spazio? Spero che questo episodio possa portare ad un passo avanti nella questione: se l’inquinamento visivo (tag, ma anche pubblicità, segnaletica selvaggia, obbrobri architettonici) da fastidio alla maggioranza delle persone, è necessario capire che la città è luogo delle differenze e della convivenza, luoghi di espressione libera sono necessari e salutari quanto zone pulite ed ordinate, i graffiti e la street art non sono il male, ma a volte persino una risorsa, per una città migliore, più bella. Qualsiasi eccesso stroppia: una città coperta di tag è brutta quanto una città di un unico colore”
Queste la parole dell’artista all’indomani dello scempio, frasi significative e gonfie di riflessioni importanti.
La polemica quindi è arrivata presto sui social , tanto che alla fine è lo stesso Comune di Milano, che nel 2001 autorizzò e sponsorizzò la realizzazione del murales, a dover impegnarsi per chiedere scusa a cittadini ed artisti. È stato lo stesso assessore Pierfrancesco Maran ha contattare Pao dando la disponibilità istituzionale ha realizzare una nuova opera sul muro imbiancato.
La vicenda, raccontata in questa maniera assume toni quantomeno grotteschi. Volontari che per rendere decorosa o più vivibile la loro città armati di vernice e pennello cancellano tutto. Cos’è il decoro allora oggi? Nella retorica piccolo borghese decoro è un concetto di perfezione quasi finta che porta le città a non essere quasi più vissute. È assolutamente riprovevole imbrattare monumenti storici o semplici palazzi per il gusto di sporcare, questo è ovvio. Mi domando piuttosto come è stato possibile che gli “angeli” di Milano abbiano potuto commettere questo strafalcione considerando che il murales era abbastanza noto e rappresentava un elemento rappresentativo per la collettività che ivi abita.
La giustificazione dei volontari è stata declinata seguendo il classico clichè: “era sbiadito non ce ne siamo accorti”.
Parole labili, il danno è compiuto e l’evidenza più grande rimane perché il modello di decoro e di città che hanno provato e vogliono provare ad imporci è sempre meno lontana dall’idea di un salotto vissuto all’interno del quale una famiglia viene accudita. Il loro modello di città è finto, di cartapesta, teso ad emarginare chi è “indecoroso” pronta ad accogliere chi nel decoro cancella le tracce di vita che hanno contrassegnato la storia dell’uomo.