Sabato, 19 Dicembre 2015 00:00

L'insostenibilità di questo popolo razzista

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Sono passati solo due mesi da quell’immagine sconcertante di Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni trovato morto annegato, a faccia in un giù come una piccola balenottera, sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, insieme al fratellino Galip di soli 5 anni. Ricordo che web, televisioni, giornali facevano girare senza tregua quella foto straziante, quell’orrore indicibile, inesprimibile, un orrore che va contro la natura, la vita, la giustizia, la fede, per chi ce l’ha. Ma oggi, a distanza di qualche tempo, quell’orrore continua a ripetersi, senza che niente sia cambiato. Altri sei bambini afghani e ieri altri 5 bambini sono morti durante la traversata infernale che li avrebbe dovuti portare verso una vita possibilmente migliore, per loro e la loro famiglia. Niente è stato fatto per fermare queste morte. Non solo di bambini, ma di donne, uomini, anziani.

Una strage invisibile che in fondo nessuno denuncia veramente. Una strage di persone che diventano vittime senza volto né nome, meri numeri, sempre più alti, a testimoniare la violenza del mare e l’ingiustizia e inefficienza di governi, europei ed extraeuropei che poco fanno per impedire questa carneficina. Mare Nostrum è stato chiuso, alle nostre frontiere non vogliamo accogliere chi cerca di scappare dalle guerre che l’occidente ha creato, o da quegli stessi terroristi che tutti temiamo e che oggi diciamo a gran voce di voler combattere. Non voglio assolutamente mettere i morti sulla bilancia o fare paragoni, perché tutti i morti innocenti hanno pari dignità. Tuttavia vorrei ci fosse una simile reazione tra queste vittime e quelle di Parigi, o di San Bernardino. So che empaticamente, psicologicamente ed emotivamente è facile rimanere scossi dai drammi che ci toccano più da vicino. Si piange per un amico, per un vicino di casa, non per uno sconosciuto la cui morte viene appresa dai giornali.

Per cui non ci vedo troppa ipocrisia nel sentirsi schoccati e sconvolti da quel che è accaduto a Parigi. Ci sentiamo maggiormente coinvolti, come Occidente e come vicini di quella città, in cui quasi ciascuno di noi probabilmente è stato, o ha vissuto o ha delle persone care che vivono lì. E non biasimo assolutamente la reazione di forte solidarietà e vicinanza che il mondo ha mostrato per stringersi intorno al dolore di Parigi. Vorrei però che ci fosse un maggior equilibrio e che se forse non è possibile – per lo meno non per tutti, non per la maggior parte di persone – lo stesso sconvolgimento emotivo , lo stesso sconcerto che fa scendere in piazza, che fa mettere candele e fiori (giustamente) sui luoghi della strage, che induce a mettere una bandiera francese sui profili dei social network, vorrei che almeno non ci fosse così tanta indifferenza e assuefazione di fronte a una strage che ha lo stesso valore e che è di misura ancora più grande (anche se ripeto, i morti non vanno quantificati né posti su una bilancia né tantomeno in una gerarchia).  

Secondo i dati forniti dall’Associazione Migrantes ci sono stati oltre 3200 morti nel 2015 nel Mediterraneo e più di 700 bambini tra le vittime di questa strage silenziosa, troppo muta, ancora troppo invisibile nella percezione e nell’emotività del mondo, nonostante i servizi al telegiornale e le foto stampate sui giornali o che scorrono sui media. Per non parlare poi di tutte le vittime del terrorismo non occidentali. I “bastardi islamisti”, citando un indegno titolo di una nota testata giornalistica, che meriterebbe la chiusura o la cacciata del suo direttore, sono le prime e più numerose vittime di quel terrorismo che sì, si appella al fondamentalismo islamico, ma che non va assolutamente confuso con chi ha una fede in quella religione. Ecco, se non posso sperare in una reazione empatica come quella che abbiamo un po’tutti provati di fronte ai terribili fatti di Parigi vorrei che ci fosse per lo meno consapevolezza. Consapevolezza del fatto che quella marea anonima di persone che muoiono perché fuggono dalle violenze dei terroristi o dalla violenza delle bombe fanno parte della stessa umanità che difendiamo a spada tratta quando è toccata e dilaniata nel nostro mondo occidentale, a “casa nostra”, per così dire.

E ciò che mi spaventa e mi inorridisce ancor di più è invece il rigetto di quell’umanità spezzata, di quegli uomini, donne, bambini che muoiono continuamente, nel silenzio quasi totale, nei paesi arabi o africani, o al largo dei nostri mari.  Noi dovremmo accoglierli, aiutarli e questo non è buonismo, come vorrebbe qualcuno, ma civiltà, umanità ma soprattutto dovere internazionale, considerando anche che quelle vittime sono frutto dei ripetuti sbagli dello stesso occidente che oggi li teme e li vorrebbe lontani da sé, abbandonati alle sorti, sempre più nere, del loro destino.  I governi dovrebbero farsi carico di quei destini e impedire che interessi economici o di alleanze strategiche producano nuova instabilità, nuove guerre, nuovi morti.  Ciò che fa male è invece vedere che la risposta per lo più maggioritaria, almeno in Europa è quella reazionaria, che si trincera nella paura e nel nazionalismo, che chiude le frontiere o innalza muri, che addita ogni arabo come presunto fondamentalista e terrorista, che inneggia al’odio razziale, che si chiude nell’intolleranza più bieca e ignorante, che inneggia all’abbattimento dei barconi, che fa vincere il Front National e fa prendere alla Lega il 10%! So che è sbagliato prendersela col “popolo”, ignorante, paralizzato dalla paura, frustrato o povero e che quindi riversa la sua frustrazione su chi “sta peggio di lui”, visto come un nemico pronto a rubargli il pezzo di pane o pronto, in quanto musulmano, magari, a mettere una bomba in casa sua o al bar dove si ritrova con gli amici. So che una visione diversa dovrebbe provenire innanzitutto dalle politiche, non solo nazionali ma internazionali.

Una politica che puntasse sull’integrazione – che è ancor più necessaria della sola accoglienza, per quanto la seconda sia presupposto della prima - , una politica che fosse più presente nelle periferie, nei luoghi marginali, che cercasse di risolvere le fratture sociali, che investisse in cultura e istruzione, una politica che cancellasse dalla propria lista di alleati, quei paesi che contribuiscono direttamene o indirettamente alla repressione di altri popoli o che finanziano gruppi terroristici, una politica che, come ha già fatto in passato, non disegnasse confini a tavolino fregandosene poi dell’equilibrio tremendamente fragile e precario che va a creare, che non si impegnasse in guerre fallimentari lasciando poi una situazione ancor più frammentaria di prima e contribuendo a seminare i frutti dell’odierno terrorismo, che non avesse amici che poi scopre esser dittatori, ma nello stesso tempo ne mantiene altri che sono altrettanto despoti e sanguinari; che smettesse di fare accodi economici e intrattenere rapporti di reciproco interesse dando implicitamente il lasciapassare per il formarsi di movimenti integralisti. E se ne potrebbe dire delle altre e in maniera molto meno retorica e banalizzante di quanto stia facendo io.

A me però, oltre a tutti gli errori politici di molti governi, fa troppa rabbia questo popolo razzista, qualunquista e ignorante senza un minimo di coscienza né storica né politica e che si lascia subito abbindolare da qualsiasi forza che cavalchi l’onda dell’odio e della paura. Che crede a tutto quel che vogliono fargli credere, che rifiuta il “diverso” etichettandolo aprioristicamente come nemico o “invasore”, che saluta con favore ogni filo spinato e ogni incitamento all’intolleranza. E poi si apre il Giubileo della Misericordia. Misericordia deriva da due termini ebraici, Hesed e Rahamin: quest’ultimo significa ventre, utero, a simboleggiare che Dio è amore che accoglie l’altro in sé stesso, proprio come un ventre materno e lo tiene e lo custodisce dentro di sé, come fosse parte di sé. Questa dovrebbe esser la misericordia, che si china su ogni essere vivente e lo accoglie in sé, è amore uterino che sente il resto dell’umanità come fosse parte del suo stesso ventre. E non deve valere solo per i credenti, ma anche per i laici, perché l’accoglienza dell’altro, il sentirsi parte di una stessa umanità, il prendersi cura di quell’umanità ferita, violata, dovrebbe essere un principio non religioso, ma appunto umano,  antropologico, prima ancora che etico e politico. L’esserci heideggeriano dovrebbe risolversi in un esserci con.  E già per Heidegger, detto molto in soldoni e semplificando assai, la costituzione profonda dell’esistenza dell’umano, dell’essere dell’Esserci, del Dasein era quella della cura, del prendersi cura, in quanto l’essere è sempre in relazione col mondo e con l’altro proprio nel modo del prendersene cura. la verità dell’ ego sum dovrebbe capovolgersi in un nos sumus , per dirla con Jean-Luc Nancy, in quanto la costituzione dell’essenza dell’essere è “sempre e soltanto una co-essenza; ma co-essenza o l’essere-con-, l’essere-in tanti-con, designa a sua volta l’essenza del co- . o ancora meglio, il co- (il cum), stesso in posizione o in guisa dell’essenza.”  Ma dov’è questa misericordia oggi? Dov’è questa accoglienza quasi uterina, questo prendersi cura che costituisce la nostra essenza di esseri-sempre-in relazione? Dov’è la misericordia per un’umanità invisibile che nemmeno viene riconosciuta come umanità, ma solo come etnia o fede religiosa o clandestinità? Dov’è la nostra stessa umanità in questa mancanza di umanità, o in questa “selezione” tra umanità degna di esser considerata tale e umanità non riconosciuta o non voluta riconoscere come tale?  Dovremmo tenere tutti a mente le sagge parole di Hannah Arendt: “il diritto ad avere diritti, o il diritto di ogni individuo ad appartenere all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa.

Ultima modifica il Sabato, 19 Dicembre 2015 09:36
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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