Lunedì, 18 Gennaio 2016 00:00

A proposito di unioni civili

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Premettendo che il tema delle unioni civili mi sta particolarmente a cuore, cercherò di non cadere in discorsi un po’retorici e mi verrebbe facile lanciarmi in argomentazioni più dettati dal cuore e dalla pancia che però poco servirebbero a capire certi punti che a me sembrano ovvi.
Già al lancio del comunque tiepido Ddl Cirinnà bis sé esplosa la frattura, sia in parlamento che tra gli italiani.

Davvero io non riesco a capire la paura che un testo di legge simile, per altro neanche troppo coraggioso, rispetto ormai ai passi in avanti che quasi tutti i paesi occidentali hanno compiuto nei confronti delle coppie omosessuali, susciti ancora tra molte persone. Il punto maggiormente critico è la cosiddetta stepchild adoption, ovvero l’estensione della responsabilità genitoriale sul figlio biologico di uno dei due partner. Quello che più mi urta i nervi è la propaganda ingannevole e fuorviante, che si è creata su questo punto, considerato particolarmente spinoso e che svia fortemente dalla realtà che esso sancirebbe e prevedrebbe.

Il punto in questione è stato strumentalmente collegato alla pratica dell’utero in affitto, che è noto essere illegale in Italia. Io non vedo come il garantire l’adottabilità del figlio del proprio compagno o della propria compagna (sia che si tratti di coppie omosessuali sia che si tratti di coppie eterosessuali non sposate) sia immediatamente collegabile alla gestazione per altri che in Italia resta illegale, ripeto. Non è la stepchild adoption che fomenterebbe il ricorso alla possibilità di avere figli, ma semmai è proprio il contrario. Di fatto, già molte famiglie arcobaleno, sempre più numerose vanno all’estero per usufruire della possibilità (che in molti paesi europei o in molti stati degli Stati Uniti è permessa legalmente) di avere un figlio ricorrendo alla gestazione per altri. Ma non è che la stepchild adoption farebbe aumentare questo fenomeno, anzi! Per lo meno garantirebbe a quelle coppie composte da un partner che ha già un figlio biologico di poter avere un figlio ed esercitare il diritto e il dovere di prendersi cura di lui, nel caso ad esempio della perdita di quel partner o di una eventuale separazione. Quel bambino almeno rimarrebbe un bambino sotto la tutela di entrambi i genitori e nel caso disgraziato di mancanza di uno dei due non rimarrebbe comunque da solo ma avrebbe la possibilità di ricevere la tutela e il mantenimento del genitore “adottivo”.

Ieri a Piazza Pulita mi hanno colpito molto le parole di Moni, sposata con Costanza che è la madre biologica dei loro due bellissimi bambini. Moni non ha detto che vuole avere i diritti sulle sue bambine, dato che già esercita il diritto di prendersi cura di loro, di farle crescere, di educarle, di amarle (per quanto appunto ancora questo diritto non è formalmente né legalmente riconosciuto), ma ciò che vorrebbe è avere dei doveri nei loro confronti. Il dovere di continuare a mantenerle e proteggerle, sostenerle economicamente e affettivamente qualora dovesse ad esempio lasciarsi da Costanza. Queste bambine stanno crescendo con entrambe le madri e sarebbe prima di tutto un’immensa ingiustizia nei loro confronti il fatto che una di loro non possa legalmente avere diritti e doveri verso di loro, soprattutto nel malaugurato caso di una loro separazione. Gruppi pro-famiglie “tradizionali” (vedi il movimento “La Manif pour tous”) replicano che già esiste la continuità affettiva, approvata alla camera lo scorso ottobre 2015, che “consente alla famiglia affidataria di chiedere l’adozione del minore qualora questo venga dichiarato adottabile”, tenendo conto dei legami affettivi e duraturi che si sono sviluppati nel tempo. Mi sembra veramente sintomo di ignoranza appellarsi all’esistenza della continuità affettiva per discreditare l’eventuale stepchild adoption per due banali motivi: la continuità affettiva fa riferimento a quelle coppie che sono affidatarie di un bambino che avrebbe una famiglia di origine ma che per vari motivi viene appunto affidato a due genitori. Grazie effettivamente alla modifica della legge 184/1983 adesso hanno la possibilità di adottarlo definitivamente, mentre prima della modifica quella legge prevedeva che nel momento in cui il Tribunale certificava l’impossibilità di rientro del bambino nella famiglia d’origine il legame della coppia affidataria venisse troncato così che essa non poteva accedere, pur avendone il desiderio e pur avendo creato con lui un forte legame affettivo ed educativo, l’adottabilità del bambino.

Ora, questa legge fa riferimento alle famiglie affidatarie appunto, mentre nel caso di coppie omosessuali la stepchild adoption prevede semplicemente l’adottabilità di un bambino che è figlio biologico (e non affidato) di uno dei due partner; ma soprattutto, nella modifica, per quanto positiva, alla succitata legge non è prevista la “corsia preferenziale” all’adottabilità del bambino né da parte di un eventuale genitore single affidatario (raro ma comunque possibile, nei casi in cui il giudice lo permetta) né dalle coppie di fatto, ma solo a quelle coppie affidatarie che sono sposate, se non nel caso previsto dall’articolo 4 che “riguarda una delle ipotesi di adozione in casi particolari, vale a dire quella relativa all’orfano di padre e di madre che oggi può essere adottato da persone legate da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori. In questo caso, l’adozione è consentita anche alle coppie di fatto e alla persona singola; se però l’adottante è coniugato e non separato, l’adozione deve essere richiesta da entrambi i coniugi. L’art. 4 specifica che il rapporto “stabile e duraturo” è considerato ai fini dell’adozione dell’orfano di entrambi i genitori anche ove maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento.”

Ad ogni modo però non vedo come l’appellarsi all’esistenza di questa legge debba valere come argomento contro la stepchild adoption, anzi, essa sarebbe un rafforzamento della prima, dunque se si ammette e si dà per buona la continuità affettiva non capisco perché non si debba allo stesso modo prendere atto del legame affettivo che si crea tra il figlio biologico di uno dei due partner e l’altro partner che di fatto ne diventa un secondo genitore. Movimenti pro-famiglie “tradizionali” si attaccano anche al fatto che un bambino ha il diritto ad avere sia la mamma che il babbo. Ma che cosa significa? Un bambino ha il diritto a essere amato, cresciuto, tutelato, protetto, sostenuto (da tutti i punti di vista) e per far sì che ciò accada non importa essere una coppia formata da un uomo e una donna, o da due donne o da due uomini o anche da un uomo o una donna single o rimasti vedovi o ragazzi padri o ragazze madre. Se c’è l’amore e l’educazione quel bambino avrà comunque buone possibilità di crescere felice. Un bambino è fortunato non quando ha un padre e una madre ma quando cresce sotto l’amore e l’attenzione di chi si prende cura di lui, indipendentemente dal sesso o dal numero delle persone che lo crescono. “Eh, ma così sentirà la mancanza della figura materna (nel caso di una coppia gay di genitori) o la figura paterna (nel caso di una coppia di genitori lesbiche)”, ribadiscono questi movimenti bigottoni e intolleranti, oltre che tremendamente retrogradi. E cosa dicono allora a quelle coppie eterosessuali in cui magari il padre è continuamente assente (per motivi di lavoro o altro) o che magari picchia i figli? Anche a quel bambino mancherà la figura di un padre assente. E anzi, ne sentirà ancora più la mancanza perché di fatto ce l’avrebbe quella figura. Al di là però di questo, che probabilmente non suona bene come contro argomento, io credo che queste distinzioni tra figura maschile e figura femminile nella crescita di un figlio dovrebbero essere superate. Non è che in quanto uomo un padre darà qualcosa di più o di meno o comunque di diverso rispetto alla madre in quanto donna. È una dicotomia sessista e profondamente ingenua. La diversità di una coppia o in generale tra persone non è data dal loro sesso ma dall’infinità diversità di ciascun individuo che nel bene o nel male si distingue da tutti gli altri. Anche se di sesso uguale due genitori omosessuali cresceranno il bambino ognuno apportando la propria insita diversità, che appunto non è data dal genere sessuale ma dall’inesauribile ricchezza di cui è portatore ciascun soggetto. Ognuno dei due darà qualcosa di diverso al proprio figlio, e lui crescerà accogliendo in sé l’infinito universo che gli trasmette, in maniera differente o anche affine ma comunque individuale, di ciascun genitore. E soprattutto se quel bambino riceve amore e una vita felice da coloro che lo crescono o anche da un’unica persona che lo cresce non penso sentirà mancanze incolmabili e irrimediabili. Questi bambini che già sono figli di coppie arcobaleno se ricevono l’affetto, le cure e i sostentamenti necessari al suo sviluppo mentale, fisico, psicologico, culturale ecc.. non penso proprio che da adolescenti si taglieranno le vene perché non hanno una figura paterna o una figura materna, perché saranno forti di un amore che hanno avuto la fortuna di ricevere da entrambi i loro genitori, donne o uomini che siano. È una previsione totalmente improvata che questi filgi cresceranno con dei traumi infantili. È molto più prevedibile e probabile che ciò accada nel caso crescano in una famiglia in cui uno dei due genitori fa loro del male o li trascura del tutto. meglio sarebbe che certi movimenti così contrari alla possibilità di avere dei figli da parte di coppie omosessuali pensassero a quei bambini che crescono in famiglie “tradizionali” totalmente inadeguate al loro benessere psico-fisico.

E per tornare all’utero in affitto, su questo punto ammetto che ci sia dibattito e io per prima non mi sento di dare un parere netto, ma mi verrebbe da fare una banale considerazione. Se proprio la gestazione per altri fa così paura (e posso comunque anche capirne il motivo, visto che l’idea di pagare una donna perché tenga per nove mesi in pancia un bambino per poi venderlo a una coppia che non può avere figli può urtare un po’il pensiero di molte persone, soprattutto tra le donne, dato che sa di mercificazione del corpo femminile) bisognerebbe estendere l’adottabilità non solo del figlio di uno de compagni ma a tutti gli effetti. Non riesco a capire perché una coppia omosessuale, se ha tutti i requisiti di idoneità che comunque dovrà accertare un giudice (come nel caso di coppie eterosessuali) non possa aprioristicamente adottare un bambino. Su quali basi? Ci sono studi statistici che dimostrano che un bambino che viene adottato da una coppia gay o lesbica avrà dei problemi da adulto? Perché impedire a scatola chiusa che un bambino che vive in orfanatrofio possa sperare di trovare una vita migliore grazie a una coppia che desidera adottarlo? Non starebbe forse meglio che in orfanotrofio crescendo con l’affetto e le cure di cui ha bisogno pur provenienti da due mamme o due babbi? Se l’adottabilità, ovviamente sempre sotto discredito del giudice, fosse permessa a tutte le coppie di fatto, forse ciò limiterebbe un po’il ricorso (per altro molto costoso e quindi non accessibile da parte di tutte le coppie) all’utero in affitto. In molti paesi già esiste l’adottabilità da parte di coppie omosessuali e i movimenti omofobi e ultra cattolici dovrebbero forse andare a vedere con i propri occhi se quei bambini o quegli adolescenti che sono stati cresciuti da due genitori dello stesso tempo siano così infelici o traumatizzati a causa di questo motivo. Coloro che sbraitano per la difesa dei bambini dovrebbero rendersi conto che strapparli da un possibile amore, da un affetto, dalla possibilità di avere come genitori a tutti gli effetti, legalmente e formalmente oltre che di fatto, coloro che lo vedono crescere o più che strapparlo impedirgli che essi esercitino diritti e doveri su di lui, non significa pensare al benessere di quei bambini, non significa difenderli ma offenderli, così come si offende la capacità genitoriale di coppie non eterosessuali, come se la capacità di accudire un figlio, di essere un buon genitore, dipendesse dai propri gusti sessuali e non dall’impegno, la costanza, l’affetto, la pazienza, il rispetto ecc, necessari per far crescere bene il proprio figlio.

Non sono riuscita a mantenere la promessa di evitare di cadere in discorsi di cuore, ma credo che riconoscere una realtà che già esiste a tutti gli effetti e semplicemente garantire e sancire quelli che sono tra l’altro dei minimi diritti, che avrebbero dovuto esser ratificati molto tempo fa, sia una questione anche di buon senso e di testa e dividersi ancora su qualcosa che dovrebbe essere scontato non fa che mostrare la faccia conservatrice, bigotta, tradizionalista di una parte di Italia che mentre urla alla tutela del minore, di fatto non fa che reprimerla cercando di ostacolare qualsiasi (piccolo) passo vada in direzione di un pieno riconoscimento di situazioni già esistenti. Perché per fortuna, da una parte, la realtà è più avanti della politica o delle idee spaventosamente ottuse di gruppi “family day” e le famiglie arcobaleno sono sempre più numerose, anche se questo dato di fatto non è sufficiente se ad esse non verranno garantiti diritti e doveri a livello legislativo.

Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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