Mercoledì, 27 Luglio 2016 00:00

In difesa del pubblico impiego

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È stato un incontro decisamente ben riuscito quello organizzato lunedì 27 giugno presso la Sala dei Marmi del Parterre dal Partito della Rifondazione Comunista Firenze insieme a CGIL, UIL, USB, COBAS, CUB e SGB. L’iniziativa aveva per tema la difesa del lavoro pubblico ed è il proseguimento di un percorso iniziato con un precedente incontro a Sesto Fiorentino lo scorso…… sul tema del lavoro. Discutere in maniera il più possibile continuativa su questioni cruciali che riguardano il presente e il futuro di lavoratori e lavoratrici dopo i ripetuti attacchi ai loro diritti, è un modo efficace per cercare di dar vita a un dibattito, una riflessione e soprattutto uno scambio positivo, per creare maggior consapevolezza, informazione e partecipazione attiva al confronto, nel tentativo di fornire delle risposte alternative a uno snaturamento aggressivo nei confronti del mondo del lavoro, già minato fortemente e reso frammentario e parcellizzato innescando così meccanismi di competizione trai lavoratori stessi o tra le varie categorie/tipologie di lavoratori.

Anche il settore pubblico risente e ha risentito di numerosi attacchi fino ad arrivare al ddl Madia, frutto però di un processo che inizia da più lontano e questa iniziativa, ha un po’ l’intento, come dice il coordinatore della discussione, Roberto Travagli (RFC Firenze), di costituire una sorta di cassetta degli attrezzi per affrontare questo nuovo programma contrattuale del pubblico impiego, e, sebbene ancora non siano chiari gli sviluppi che farà il governo, occorre ragionare su quello che per adesso c’è.
A parlarcene tre avvocati esperti: Massimo Capialbi, Maurizio Milana e Andrea Ranfagni, che ci hanno delucidato con estrema e dettagliata precisione le leggi che hanno portato alla delega Madia per poi entrare più nello specifico negli articoli cruciali di quest’ultima. Il rapporto di lavoro nel pubblico impiego appare infatti morfologicamente e ontologicamente mutato nella sua struttura, a cominciare dal Decreto Brunetta.

Capialbi ha delucidato infatti la legge “paterna” del ddl Madia, ovvero il succitato Decreto Brunetta, incentrato sul principio di premialità. L’Avvocato esordisce illustrando il decreto 150 del 2009 (delega al Governo in materia di produttività dell’impiego pubblico), attuativa della legge delega del 4 marzo 2009 n. 15 – legge Brunetta – di cui riprende i principi fondanti. La legge delega, in sostanza, modifica i contenuti del decreto legislativo 165/2001 (norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche1), ed è “finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti”. Il decreto Brunetta prevede l’avvio di un ciclo di gestione della performance allo scopo di permettere alle amministrazioni pubbliche di sviluppare il loro lavoro in una prospettiva di miglioramento della prestazione e dei servizi. L’attivazione del ciclo di gestione della performance si riflette ovviamente sul personale, basandosi su un sistema premiante. Per quanto concerne il personale, il Decreto stabilisce le modalità di erogazione degli incentivi di valorizzazione del merito: trattamento accessorio, “Bonus annuale delle eccellenze”, premio annuale delle per l’innovazione, progressioni economiche e progressioni di carriera, accesso a percorsi rapidi di alta formazione e di crescita professionale in ambito nazionale e internazionale, attribuzione di incarichi e responsabilità.

Nell’articolo 1 si parla invece della figura del dirigente a cui vengono aumentate le competenze, nella valutazione della performance del personale e nei processi di attribuzione di premi al merito incentivanti. Altra rilevante modifica riguarda la materia disciplinare, intesa, di nuovo, come strumento di controllo dei risultati della performance individuale. “Sul punto il decreto attuativo della l.15 del 2009, nel portare a completamento il processo di autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, è intervenuto in primo luogo sul procedimento disciplinare distinguendo tra sanzioni lievissime,e cioè il rimprovero verbale, che sarà regolamentata dalla contrattazione collettiva, e quelle meno gravi, normate esclusivamente dalla legge che attribuisce tutti i poteri al Dirigente dell'ufficio in cui presta servizio il dipendente; per quelle più gravi invece, la competenza resta attribuita all'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari che deciderà anche in merito a quelle meno gravi nel caso in cui il responsabile dell'ufficio non possegga la qualifica di dirigente( cfr.55 bis c.2,c.4 del D.lgs n°165/01)2.

Le direttrici che hanno guidato il legislatore si muovono in particolare su due punti: un ridisegno e un ridimensionamento del ruolo del contratto collettivo che viene sottratto allo spazio contrattuale denotando una sfiducia nei confronti del contesto collettivo e, altro punto intorno a cui ruota il decreto, sono gli strumenti di incentivazione e di riconoscimento del merito che però finiscono per deresponsabilizzare la dirigenza (il dirigente non è più l’esclusivo responsabile). Inoltre, il ricorso a tali strumenti di selezione all’interno del personale rischia di alimentare la conflittualità tra dipendenti, anziché migliorare la produttività complessiva e collettiva dell’azienda o dell’ente in cui sono inseriti. Si va a creare un’ulteriore parcellizzazione e individualizzazione dei lavoratori che anziché perseguire un fine comune, tenderanno a implementare esclusivamente la propria performance individuale, ponendosi gli uni contro gli altri.
Nell’articolo 17 del titolo III, che costituisce una sorta di vero e proprio “manifesto della premialità” in quanto rappresenta anche la premessa metodologica, si vanno a delineare i principi di selettività e concorsualità e i premi di valorizzazione del merito: si tratta di logiche meritocratiche (o pseudo-meritocratiche) e di distribuzione delle incentivazioni. Il suddetto articolo recita: “1) Le disposizioni del presente titolo recano strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa informati a principi di selettività e concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi; 2) Dall’applicazione delle disposizioni del presente Titolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate utilizzano a tal fine le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.3

Nell’articolo 19 si elencano i criteri di differenziazione delle valutazioni del personale che viene ripartito in tre fasce distinte di merito. Il 25% è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegate alla performance individuale; il 50% del personale è collocato nella seconda fascia di merito e ad esso viene assegnato il 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegate alla performance individuale, mentre il 25% è collocato nella terza ed ultima fascia e quest’ultimo non ha diritto ad alcuna attribuzione delle risorse destinate al trattamento accessorio. Il che implica che questa parte del personale, tenderà, presumibilmente a rimanere a livelli di mera sufficienza, non potendo aspirare ad alcuna incentivazione. Dal disposto dell’articolo 19, la distribuzione del salario accessorio non sarà più oggetto di contrattazione o della discrezionalità dell’ente, ma seguirà un meccanismo che prevede che solo il 25% del personale potrà prendere il massimo della produttività, mentre la metà del personale avrà solo il 50% delle risorse e il restante 25%, della terza fascia, come abbiamo detto, nulla.4 È vietata la distribuzione “a pioggia” in maniera indifferenziata degli incentivi legati alla performance individuale.

Nell’articolo 20 si specifica il sistema premiale di cui abbiamo già accennato sopra (bonus annuale delle eccellenze all’art. 21; premio annuale per l’innovazione, all’art. 22; le progressioni economiche, all’art. 23; le progressioni di carriera, art. 24; attribuzione di incarichi e responsabilità, art. 25; accesso a percorsi di alta formazione, art. 26). Per quanto riguarda l’art. 21 il bonus annuale delle eccellenze cui può ricorrere solo il personale, dirigenziale e non, che si è collocato nella fascia più alta nelle rispettive graduatorie di merito, è assegnato a non più del 5% di questo personale (collocato nella fascia di merito alta)”5.
Per quanto riguarda i premi all’innovazione (art. 22) in realtà il meccanismo valuta solo i progetti concentrati sull’anno e quindi a breve termine (“il premio viene assegnato al miglior progetto realizzato nell’anno”6), a scapito di progetti di innovazione di più ampio respiro e più largo termine.
L’articolo 25 appare alquanto perverso e poco chiaro: “1. Le amministrazioni pubbliche favoriscono la crescita professionale e la responsabilizzazione dei dipendenti pubblici ai fini del continuo miglioramento dei processi e dei servizi offerti. 2. La professionalità sviluppata e attestata dal sistema di misurazione e valutazione costituisce criterio per l’assegnazione di incarichi e responsabilità secondo criteri oggettivi e pubblici.”7 Peccato però che non vengano indicati quali siano questi criteri oggettivi".

Anche l’articolo 27, concernente il premio di efficienza non specifica quali siano i criteri generali ed oggettivi, esso infatti recita così: “una quota fino al 30 per cento dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all’interno delle pubbliche amministrazioni è destinata, in misura fino a due terzi, a premiare, secondo criteri generali definiti dalla contrattazione collettiva integrativa, il personale direttamente e proficuamente coinvolto e per la parte residua ad incrementare le somme disponibili per la contrattazione stessa”8, senza appunto definire quali siano questi “criteri generali”.

La legge limita fortemente gli spazi di contrattazione collettiva, in quanto “prevede che il contratto collettivo determini solo i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro e le relazioni sindacali”, laddove nel Dlgs 165/01 la contrattazione collettiva si svolgeva su tutte le materie relative al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali, affermando che “ l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali9. Il decreto Brunetta va invece a produrre “un ritorno a una rilegificazione di fatto del rapporto di lavoro, e quindi sconfessa quanto elaborato e prodotto sul versante legislativo negli anni ’90 con l’apporto di insigni giuslavoristi, a cominciare da Massimo D’Antona. In pratica un neocentralismo amministrativo che rinnega […] la progressiva convergenza degli assetti regolativi del rapporto di lavoro pubblico a quello privato”10.

Inoltre il meccanismo di premialità va ad incentivare la performance individuale e non quella di squadra, creando una gerarchia tra “buoni” e “cattivi”, validi e mediocri, che come abbiamo detto, tenderanno così a rimanere a livelli di mera sufficienza, senza aspirare a prestazioni più alte.

1 www.flcgil.it
2 www.altalex.com
3 www.istitutobartolo.it
4 www.dsmnet.it
5 Ibidem
6 Ibidem
7 www.istitutobartolo.it
8 Ibidem
9 www.flcgil.it
10 Ibidem

Ultima modifica il Martedì, 26 Luglio 2016 22:31
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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