Dulcis in fundo le ultime legislature a trazione “grande accrocchio”, o per meglio dire “tecniche”, ma intrise da una vigorosa spolverata di socialdemocrazia; dove di democrazia non se ne vede neanche l’ombra, mentre di social rimangono i comunicati, a colpi di tweet e dirette Facebook.
Per il resto tra un jobs act di qua e una buona scuola di là il tema preponderante legato al lavoro (con le sue diverse sfumature) l’ha fatta da padrone.
Tralasciando la riforma del lavoro, che è stata ampiamente trattata da diverse testate giornalistiche e che, fin dal suo varo preliminare a firma Poletti, aveva destato dubbi e perplessità, anche in alcuni importanti studiosi di economia e finanza, è impossibile non notare come la riforma della scuola (cd. Buona Scuola) abbia avuto ripercussioni dal punto di vista lavorativo.
Si calcola ad esempio che i licenziamenti all’interno di importanti multinazionali, del settore alimentare e della distribuzione, siano incrementati da quando è stata introdotta l’alternanza scuola-lavoro, un furbo, quanto criminale, escamotage per tappare i buchi, ottenere manodopera a titolo gratuito, senza pagare nulla; roba a cui confronto le corveè nel medioevo appaionio sistemi “lavorativi” da terzo millennio.
Poi ci sono i dati; il grande mantra delle cifre e degli algoritmi: un mese uno 0,01% in più, l’altro in meno, il tutto all’interno di un’altalena di valori da montagne russe.
La filastrocca riguarda quasi sempre il famoso tasso di disoccupazione; dato negli ultimi tempi in discesa. La notizia di per sé sembrerebbe un buon auspicio per (ri)pensare al futuro ma andando nello specifico è facilissimo notare incongruenze oggettive: anzitutto il dato secco è errato, sarebbe forse più opportuno misurare il tasso di occupazione, per capire realmente quanta gente al momento lavora. Il secondo punto, legato poi al primo, è quello dei NEET, uomini e donne non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione, magari indagando le cause che inducono il 19% di questa porzione di popolazione (record UE secondo le stime dello scorso Luglio) ad avere abbandonato le speranze.
La chiusura del cerchio la dà la lettura dei “freddi” dati: proprio di questi giorni infatti la via triumphans del PD e di Gentiloni sui trentaseimila occupati in più ad agosto, mese in cui, come scrive Roberto Ciccarelli su Il Manifesto del 3/10/2017 - “fioriscono i contratti stagionali, registrati dall’Istat”.
C’è di più. L’occupazione fittizia del Jobs act ha creato l’85% di lavoro precario in più, dove l’unica cosa che cresce sono i contratti a termine. Conteggiare all’interno delle statistiche il lavoratore stagionale equivale, senza alcun mascheramento, a dopare il dato reale e aggrava la situazione lavorativa che colpisce diverse fasce generazionali del nostro Paese.
Qualcuno brinda con la gazzosa, al resto le briciole che cadono dalla tavola imbandita.
Immagine liberamente tratta da tg24.sky.it