Scuola Common 2018:
Conoscere, condividere e monitorare
Si è svolta dall’11 luglio al 14 luglio, presso la splendida cornice di Avigliana (TO), la terza edizione di Scuola Common, promossa e ideata da Gruppo Abele, Libera e dal Master APC dell’Università di Pisa.
Acqua pubblica: assente in Toscana e in campagna elettorale
Riportare l'acqua pubblica in campagna elettorale
Il sasso nello stagno dell'acqua tuttora privatizzata è stato lanciato, su Nigrizia, da Alex Zanotelli: “Il Parlamento si è fatto beffa del referendum del 2011. E la privatizzazione va avanti”.
Città tossiche
Le problematiche ambientali in Italia ormai sono all’ordine del giorno. I roghi di Pianura e Scampia, i cumuli di spazzatura nelle periferie del sud Italia, il “mercato” dello smaltimento sempre più in mano alle mafie e al loro universo gravitante.
Uno dei casi più emblematici arriva dallo smaltimento dell’amianto, un problema irrisolto per il nostro paese, sempre più ostaggio di immondezzai sparsi e discariche abusive.
Un business che non vuole fermarsi, un’ occasione redditizia per chi vuole produrre ricchezza causando danni all’uomo e all’ambiente. La soluzione sembra essere lontana da una definitiva via d’uscita e il decreto Sblocca Italia emanato dal governo alla fine del 2014 non fa altro che intorpidire le acque.
Paesaggi diversi
Tra i meandri della nostra costituzione, tra i principi fondamentali che la compongono ve ne sono alcuni che, a causa del loro pregnante significato, costituiscono dei veri e propri cardini per la vita quotidiana del nostro Paese. L' articolo 9 ad esempio è uno di questi, “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Il focus è la tutela, un termine nobile e imprescindibile se ritiene opportuno salvaguardare la memoria storica collettiva. La tutela che oggi, a causa di una discutibile riforma, sembra completamente messa in secondo piano rispetto a delle mere esigenze di profitto. La riforma del codice degli appalti, il famigerato silenzio-assenso, la “supervisione” delle Prefetture: tutti dati inequivocabili dello smantellamento in atto di un altro pezzo della nostra legge fondamentale.
La Costituzione trova casa. A Napoli.
Negli ultimi tempi sempre più spesso si è assistito a una totale svendita e “smobilitazione” dei beni pubblici, siano essi edifici o interi territori, a vantaggio di meri e speculativi interessi privati. È la piena applicazione della politica del “fare”, lo stesso modus operandi che sta cancellando (o almeno sta provando) a cancellare la Costituzione dello Stato. In un contesto piuttosto turbe e denso di nubi, la notizia giuntaci pochi giorni fa da Napoli non può far altro che ridare speranza a tutti coloro che negli anni hanno provato, e provano quotidianamente a battersi per i tanto bistrattati interessi collettivi.
Quel referendum tradito.
Sono passati ormai molti anni da quel Giugno 2011, è passata tanta acqua sotto i ponti (tanto per rimanere in tema), quel principio d’estate stava avendo risvolti importanti, e qui le canzoni tormentone non c’entrano. Era l’estate dei Referendum, quei quattro si che sancirono una schiacciante vittoria del paese contro privati e politiche privatistiche.
Gli elettori chiamati al voto erano 47 milioni, le proposte erano 4 e la vittoria del SI avrebbe abrogato le “proposte” governative. Sulla scheda grigia si votava per grigio l’abrogazione delle norme che dovevano consentire la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare. Su quella rossa sulle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La verde riguardava poi l’abrogazione del “berlusconiano” legittimo impedimento, legge totalmente antidemocratica. Infine la gialla, la quale nascondeva (come ad esempio il quesito sul nucleare) una sottile ma fortissima e rivendicata battaglia sociale: in sostanza proponeva di esprimere un giudizio favorevole (votando no) o contrario (votando ancora una volta si) alla privatizzazione dell’acqua.
Ponti e tonti
Il gran ballo che abbraccia tutta l’isola questa volta non si è celebrato nel palazzo del “Gattopardo”, nella splendida cornice di palazzo Filangeri. “Tutto cambia perché niente cambi”, uno slogan per la nostra epoca, un mantra negativo per uomini e donne che hanno poco in cui credono e spesso si attaccano al primo “santone” che capita. Descrizione dei tempi moderni, tempi di magra per le collettività sempre più vessate da situazioni paradossali.
È Bene! Quando è comune.
La redazione di questo personale contributo non vuole, nelle intenzioni di chi scrive, portare alla solita riflessione esegetica sul significato dei beni comuni oggi declinandolo sul piano nazionale, o essere l’ennesima pagina di un dibattito aperto da tempo e mai (purtroppo) concluso.
La riflessione prende spunto dall’avanzata in questi ultimi anni di azioni umane determinate da quello che si può perfettamente classificare come turbocapitalismo, un processo di totale smembramento delle collettività. La storia, del resto, ha insegnato; chi detiene il potere sia politico ed economico deve necessariamente dividere. Dividi et Impera dicevano i romani, a cui seguiva la frase pre-confenzionata: Parcere subiectis et debellare superbos (in soldoni “buoni” con i sottomessi, e cattivi fino a debellarli con i superbi). Non è mia intenzione partire seguendo un’iperbole storica lunga duemila anni, del resto il nostro mondo si basa ovviamente, su presupposti completamente differenti.
Sono le piccole e grandi vergogne sotto il cielo di Pisa a muovere ancora una volta gli attivisti del Municipio dei Beni Comuni, che sabato pomeriggio hanno attraversato al grido di “Immobilfree” la città fra musica e striscioni per segnare le ferite che l'abbandono e l'incuria inferiscono in alcuni degli angoli più impensati del cuore del centro storico, messi metaforicamente in svendita da un'improbabile agenzia immobiliare. Spazi abbandonati di proprietà delle varie articolazioni del patrimonio pubblico come l'esercito, il Comune, il Demanio o l'Università, che annoverando alle spalle storie di passaggi di mano, aste andate deserte e concessioni varie sono finite nell'agone della crisi economica non senza danni dovuti al degrado e all'abbandono, funzionali adesso ad una svendita che, come annunciano gli attivisti del Municipio, è già bella che iniziata e presto verrà anche catalizzata formalmente dallo Sblocca Italia.
«L'abbandono è una prassi imposta con metodo scientifico da chi detiene la proprietà a discapito della comunità. – scrivono dal Municipio. – Si abbandonano le fabbriche per tradurle un giorno in altro cemento; si abbandonano le case dove nessuno ha mai abitato così da consolidare cartelli onerosi sulla pelle di chi non possiede un'abitazione; si abbandonano i palazzi storici nella paradossale inosservanza di quella ricchezza diffusa nelle città italiane che viene dai beni storici e artistici; si abbandonano interi quartieri al loro destino, devastando tessuti urbani vulnerabili. Un laborìo piccolo piccolo, che diventa epocale». Di qui l'idea di una «agenzia immobiliare alla rovescia, pronta cioè a mettere sì in vetrina il degrado, lo sperpero, la chiusura ingiusta di spazi che potrebbero essere di tutte e di tutti, utili a un disegno solidale, al progetto di una città dalla parte dei bisogni dei propri cittadini, e che invee sono stretti nelle maglie del profitto di pochi»,
Tragicomico viaggio fra spazi lasciati a se stessi e utilissimi tempi “geologici” di riposizionamento proprietario, fatto spesso ai prezzi irrisori imposti dalla congiuntura economica, la giornata di Rebeldìa e Municipio è stata ancora una volta un'articolata riflessione sull'oggettiva natura contraddittoria di un fenomeno odioso come quello dell'abbandono degli immobili pubblici (dove “contraddizione” è da leggersi in tutto il suo portato “di sistema”, frutto cioè della natura stessa del Capitale e della Proprietà nel mondo d'oggi). Ma è anche, inevitabilmente, la dimensione più soggettiva che il Municipio finisce ancora per esplorare. Stretto da più di un anno nel nomadismo degli sgomberi, epigono di ciò che ormai è un fenomeno nazionale (si pensi alla tolleranza zero che in questi giorni miete vittime fra i centri sociali di tutta Italia) il progetto sociale delle tante associazioni non può esistere se non si pone la questione di uno spazio proprio, fondamentale punto di riferimento per molte delle sue attività ma soprattutto rosa dei venti nella carta geografica delle sue narrazioni e del suo immaginario. Come recita il titolo della campagna di mobilitazioni “lo spazio – quello strappato a speculazione e piccioni (!) – è, appunto, la città; e solo dentro la città il Progetto Rebeldìa e il Municipio dei Beni Comuni possono respirare a pieni polmoni, uscire dal guado della militanza integrale e fare di quelle fatidiche quattro mura la strategica barriera su cui fondare l'osmosi fra un “dentro” che non sia il centro sociale ghettizzato e vecchio stile, il socialismo in una sola stanza che in nulla intacca il potere costituito e che a Pisa di certo non manca, ed un “fuori” che deve assolutamente essere riacciuffato se si vuole sperare di far vivere quella fucina di nuovi concetti e nuove pratiche politiche che il modello-Rebeldìa ha rappresentato. Creatività pratica talmente evidente ed ingombrante da proiettare in questi anni un'ombra pesante sugli stessi compagni di strada “in odor di '900”, Rifondazione Comunista in primis.
Ma, in definitiva, quali e quanti luoghi in stato di totale abbandono stanno a meno di un solo chilometro in linea d'aria dalla statua del Garibaldi di fronte a Ponte di Mezzo? Tantissimi, quanti non se ne possono immaginare. Una lista che sorprenderebbe gli stessi abitanti del centro storico se solo volessimo includervi anche gli appartamenti sfitti e gli immobili di proprietà privata, ma che anche solo scomodando il patrimonio pubblico fa riflettere e infuriare specie coloro che, come il Municipio, fanno da tempo elaborazione politica intorno alle potenzialità di spazi abbandonati da riutilizzare in chiave sociale, magari per far fronte all'emergenza affitti o per creare nuovi luoghi di aggregazione, lavoro sociale o in cooperazione e chi ne ha più ne metta. Ma vediamoli uno per uno, così come ce li racconta lo stesso Municipio dei Beni Comuni:
DISTRETTO 42: ex distretto di leva militare, sito in via Giordano Bruno n. 42, composto da 8.000 mq di verde e 4.500 coperti, versa da vent’anni in uno stato di totale degrado. Di proprietà demaniale, è un immobile fondamentale per il progetto caserme: progetto che prevede la svendita ai privati di tre caserme, con concessione di variante per edilizia ad uso residenziale, in cambio di una nuova caserma a Ospedaletto. Sede del Municipio dei Beni Comuni tra il febbraio e l’aprile del 2014. Valore 12 milioni di euro.
EX BANCA D’ITALIA: la posizione è esclusiva e il valore, proporzionale alle volumetrie, non è alla portata di tutti. L’edificio, però, è un gioiello e non sono per gli interni con soffitti affrescati e le finiture di pregio. Sul mercato immobiliare pisano torna l’ex sede della Banca d’Italia. Sono 7.700 metri quadrati di superficie lorda in via San Martino 100, nel cuore della città. Valore 17 milioni di euro.
PALAZZO MASTIANI BRUNACCI: Palazzo Mastiani Brunacci si trova nella centralissima Corso Italia. La famiglia Brunacci Mastiani nel corso dell’ottocento fu una delle famiglie più ricche ed influenti, che ospitò nel suo circolo letterario anche Giacomo Leopardi. Di proprietà dell’ Università di Pisa oggi, non solo versa in uno stato di totale abbandono, ma da circa due anni l’Università, con scarsi risultati, cerca di venderlo per coprire parte dei costi necessari per la costruzione del nuovo polo di medicina che sorgerà accanto l’ospedale di Cisanello. Valore 8 milioni di euro.
EX- TELECOM: palazzo ex Telecom di piazza Facchini, sede della Sepi, della segreteria generale e di altri uffici comunali. Anche lui in vendita per coprire il buco nero chesi è creato per la Sesta Porta, e anche per riempirne locali che nessuno sta acquistando. Un edificio che negli anni passati era costato non poco e su cui lo stesso comune ha investito importanti risorse per la messa a norma. Valore 5 milioni di euro.
MATTONAIA: edificio costruito partire dal 1985 (e non ancora completato) e finanziato con fondi per l’edilizia popolare. Nel 2003 il Comune di Pisa, rendendosi conto di non essere in grado di portare a termine il progetto, decide di vendere il bene, che ancora non ha trovato alcun acquirente. Il complesso è costituito da 400 metri quadrati per fondi commerciali, 11 appartamenti per un totale di 1100 metri quadrati ed una piazza pubblica. Oggi si cerca di venderlo ribassato e in cambio della realizzazione di opere pubbliche quali il rifacimento del manto stradale dei lungarni. Valre di 3,5 milioni di euro poi ribassato a 2,9.
SANTA CHIARA: l’area occupata dal complesso di Santa Chiara - oltre 10 ettari - è situata nel cuore del centro storico di Pisa e confina direttamente con la Piazza del Duomo, inserita tra i siti UNESCO come patrimonio dell’umanità. Il complesso, iniziato nel 1257 e da allora destinato ad uso ospedaliero e universitario, sarà dismesso e riqualificato. Oggi per l’area, interamente di proprietà della Regione Toscana, si prospetta una trasformazione per interessi di tipo turistico ricettivo e commerciale, prevedendo una grossa privatizzazione dell’area. Valore 122 milioni di euro.
PALAZZO TROVATELLI: si tratta di una serie di edifici costruiti dal 300 all’800 per una superficie di circa 5.800 mq, più 1.300 mq di aree esterne che un tempo ospitavano l’ospedale dei trovatelli, la fabbrica delle balie e la casa rifugio dei poveri. Nonostante l’importante posizione, con un lato che affaccia su Piazza dei Miracoli, l’Azienda Ospedaliera ha visto le prime due gare per la vendita andare deserte. Per il 27 settembre 2012 era stata indetta la trattativa privata, ammettendo offerte al ribasso ma il verbale riporta che non è pervenuta alcuna offerta. Valore 24 milioni di euro.
Luoghi che sono stati “toccati” dal piccolo gruppo di militanti, che hanno apposto in ogni luogo l'inquietante messaggio di “Svendita!”. «Tutto si tiene in una simile rete, come nella mappa di una città. Una città che oggi è Pisa, ma non quella fittizia, città dell'Internet Festival, di una presunta eccellenza che però non produce lavoro, né ricchezza, e che perpetua se stessa come in una fantasmagoria. – continuano dal Municipio. – Esiste una Pisa di ciò che è abbandonato e svenduto, di spazi sottratti alla cittadinanza, di vuoti da riempire, di piccole e grandi ingiustizie che è giunto il tempo di riportare a galla, di ridurre a qualcosa di vivo e pronto a soccorrere il bisogno di socialità, di cultura che una parte della città domanda a gran voce di soddisfare».
Avevamo lasciato l'ex-Colorificio Liberato in trepidante attesa della fatidica data del 20 settembre, giorno di festa in cui avrà inizio il primo dei tre giorni dedicati al tema dei Beni Comuni, ma anche data in cui si potrebbe decidere del futuro dell'intero progetto nelle stanze del Tribunale di Pisa.
In questi giorni, però, in attesa che sullo sgombero dello stabile sia presa una decisione, si è consumata un'altra piccola querelle intorno agli inquilini di via Montelungo. Pare infatti che lo scorso 15 luglio la J Colors abbia inoltrato al comune di Pisa, e nello specifico all'ufficio competente, alla giunta e al sindaco Marco Filippeschi, una richiesta di variante di destinazione d'uso dell'area a fini residenziali.
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