Non è interesse del mio contributo disquisire sui mali che affliggono le nostre collettività, tanto meno analizzare antropologicamente la depressione della gente di Sicilia. E’ certo però che le ultime discussioni su temi scottanti uscite dalle stanze di palazzo d’Orleans a Palermo sono quanto mai bizzarre (eufemismo puro). Tra ponti che cadono, città sott’acqua e territorio devastato dal cemento la voglia di “grande opera” non si è certo fermata, sulla falsariga di quello che accade, purtroppo, sul suolo continentale.
Due beffe grandi come una casa, due sberle alla dignità di un popolo che troppo spesso, anche per cause proprie, è stato il più banale degli sparring partner di avvoltoi atti ad accrescere solamente il loro già ricchissimo nido.
La scorsa settimana l’Ars nello stupore generale (era purtroppo nell’aria ndr) ha rifiutato di presentare la propria adesione al referendum abrogativo per contrastare il decreto anti-trivelle. Per l’assemblea Regionale Siciliana le trivelle non sono un problema. Questo rifiuto, questa incomprensibile e indegna scelta ha nomi e cognomi; scritti in calce da stanare in partiti di governo, repliche perfette della situazione nazionale: il Partito democratico e suoi accoliti.
Il partito di Matteo Renzi, rappresentato in Sicilia da una larga fetta di consiglieri legati alla lista Crocetta (il Megafono ndr) hanno votato contro l'adesione della Sicilia al gruppo di Regioni che propongono il referendum abrogativo delle norme nazionali che regolano le autorizzazioni e gli espropri a scopo di prospezione per la ricerca e estrazione di idrocarburi nel sottosuolo e in mare, previste nello 'Sblocca Italia' di Renzi e nel decreto Sviluppo.
L'Assemblea regionale non ha raggiunto il quorum di 46 voti favorevoli (la maggioranza più uno dei parlamentari, pari a 90) per i due quesiti relativi all'art.38 dello 'Sblocca Italia' e all'art.35 del decreto Sviluppo: il primo ha ottenuto 38 voti favorevoli, 16 contrari e 2 astenuti; il secondo 32 favorevoli, 15 contrari e 2 astenuti ( con i 5stelle maggiori sostenitori del fronte del si verso il referendum)
Una bruttissima pagina di storia per il parlamento dell’isola, una presa in giro perché, si sa, i siciliani sono tonti. La causa dei mali in effetti va ricercata in quel meccanismi clientelare e poco trasparente (per nulla a dir la verità) che ha portato certe figure a rappresentare cittadini e cittadine. Quando il clima è umido non può che piovere e per non farsi mancare niente il Ministro dell’Interno Angelino Alfano e a ruota buona parte del parlamento palermitano (soprattutto i fedelissimi del premier e della sua squadra governativa) hanno rilanciato prontamente sul ponte di Messina. Un’opera insulsa senza il minimo senso e fattibilità addirittura illogica. Negli anni non sono bastate le battaglie di comitati, di uomini e donne, i pareri di studiosi ed esperti su quello che comporterebbe tal realizzazione. Nulla, niente non ci sentono quel ponte lo vogliono in molti.
Non basta forse già ricordare che mancano vere vie infrastrutturali e che ogni anno assistiamo alla sagra del ponte caduto? Non basta ricordare che cosa nostra ha fatto e continua a fare affari su determinati tipi di appalti? Interessante a tal proposito è la testimonianza di Antonio Mazzeo nel suo libro edito poco tempo fa dal titolo I Padrini del ponte, dove si narrano in tutte le sfumature possibili, le “relazioni offuscate” tra diversi attori di questa fantomatica opera. Innumerevoli denunce e indagini sugli interessi criminali che ruotano attorno alla grande opera, interessi che evidentemente sono ignorati volutamente da chi amministra. Gli stessi che spesso si trincerano dietro la parola legalità. Gli stessi che partecipano alle “parate” in ricordo di grandissime personalità morte per salvare uno stato e una regione. Gli stessi che incautamente vendono la loro terra agli “amici” americani e alle multinazionali del petrolio. Gli stessi che erigono un muro e pensano di avere la scienza infusa. Agli stessi chiedo, non sarebbe opportuno ripensare ad una sola grande opera che guardi alla dignità di una terra ormai abbandonata dai suoi figli costretti a scappare e cercare fortune altrove?
Forse chiedo troppo, forse chiediamo troppo ma una cosa è certa la mia terra resta sorda; muta.
Quella terra can nun senti descritta in maniera immensa dalla parole di Rosa Balistreri.