Se decidiamo di spostarci di mille km più a Sud ci accorgeremmo che la situazione non è diversa anzi forse la realtà a volte supera la stessa “fantasia”. Il viaggio fa tappa a Licata, la remotissima Provincia (ex) di Agrigento periferia, in tutti i sensi, dello stivale. Anche qui c’è una natura soggiogata, una natura violentata. Il paesaggio naturale offre una zona di foce tra le più incantevoli (sicuramente lo era in passato) della Sicilia. Qui dove il Fiume Salso (Imera meridionale ndr) si getta nel mare Africano, transitano (forse sarebbe meglio dire transitavano) stormi di uccelli migratori ed in generale l’areale era popolato da una biodiversità veramente stupefacente.
Un tempo i pescatori si spingevano con le loro paranze a pescare fin dentro la bocca del suddetto fiume (vaghi ricordi di mio nonno paterno ndr). Il fiume quindi fonte di vita per gli animali, per gli umani; fin qui niente di strano. Al Idrisi un cronista medioevale narra nella descrizione del fiume che sfocia in Licata, l’alta qualità delle carni dei pesci che lo popolavano ( anguille e alose ). Descrizioni antiche, descrizioni moderne per definire cosa era e cosa oggi è diventato quel luogo. Quella stessa foce sventrata pochi anni dopo dai soliti furbetti che antepongono al solito gli interessi privati ai beni comuni.
La battaglia per salvare la foce del Salso nasce da lontano, molto lontano. Agli inizi del 2000, la locale sezione del WWF prova ad opporsi alla realizzazione del ponte e del porto turistico, evidenziando le ricadute negative dei rispettivi progetti. “Il cantiere e le strutture del porto turistico non devono interferire con l’osservatorio avifaunistico del WWF situato nella sponda occidentale del fiume Salso”. Questa è una delle tante prescrizioni contenute nel decreto del Ministro dell'ambiente n. 393 del 21 aprile 2005 con il quale è stato espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo in merito alla realizzazione del progetto per la realizzazione del porto turistico «Cala del Sole» a Licata. Analoghe prescrizioni sono contenute nel giudizio di compatibilità ambientale sul progetto per la costruzione del ponte sulla foce.
A livello ambientale è intanto assolutamente visibile quanto l’enorme gettata di cemento abbia cambiato radicalmente la geomorfologia della costa in maniera irreversibile facendo danni, soprattutto verso levante, notevoli. Fenomeni come l’erosione marina sono sicuramente aumentati, da associare il tutto poi ad un’instabilità “idrografica” che rischia e ha rischiato di tombare lo stesso fiume (prassi ormai consolidata in Italia ). Al mero dato geologico e geomorfologico si aggiungono cavilli ( per cosi dire ) che hanno portato a veri e propri problemi giuridico-amministrativi per quel che concerne l’intero mega-progetto, che – a seguito di diverse varianti via via approvate in sede di conferenza di servizi – appare lontano da quello originario, preso in esame dal Ministero dell’Ambiente. Il ponte avrebbe dovuto collegare in maniera più “efficiente” la città, in vista dell’incremento dei flussi turistici. Peccato che quel ponte oggi è diventato ricettacolo di liquami, inquinamento pesante (amianto) senza dimenticare che la sua presenza è la casa maggiore di dismissione (forse termine più congruo è distruzione ) del già ampiamente citato osservatorio del WWF.
L’area nei pressi di questo ponte è stata messa sotto sequestro dall’autorità giudiziaria grazie anche all’impegno di militanza cittadina attiva che ha visto in uomini e donne aderenti all’Associazione antimafia “A testa alta” (aderente a Libera) occupare simbolicamente l’area lo scorso inverno per segnalare il rischio per il territorio, l’ambiente e la salute. Due cause di distruzione, la natura sacrificata sull’altare del capitale e del profitto puro contro l’interesse reale della cittadinanza. Il progetto del Porto turistico venduto come unica via di sviluppo della città, potrebbe rivelarsi, fonte di guadagno per pochi. Del resto come è traducibile diversamente un approccio alla vicenda quando la ditta realizzatrice del progetto ha ottenuto dall’amministrazione in carica durante le fasi preliminari una concessione di 99 anni su un area di 500 mila mq (spazio a mare 250 mila + Spazio a terra 250 mila mq ndr) ?
Un errore, un unicum in tutta Italia.
Il problema della bonifica del ponte, una palla che scotta e molto. Diverse inchieste sono state avviate a seguito di esposti di A testa alta. Prevedibile uno scarico di responsabilità tra amministrazione comunale, assessorato regionale e concessionario dell’area demaniale dove insiste il porto turistico, l’intrigo si ingrandisce se pensiamo che non c’è stato il canonico pagamento degli oneri di concessione per la realizzazione del progetto, perché – per l’amministrazione comunale – il progetto era di interesse pubblico. Una svista? Sta di fatto che, nel frattempo, su quella che era una spiaggia di sabbia nel centro storico, oltre a moli e cemento, è stato costruito un centro commerciale, parcheggi e ville (chiamate “cabine marittime”) cedute poi anche a esponenti politici nazionali.
La sintesi sta nel caos cosmico, ed in tutto questo trambusto gli unici a rimetterci sono, come al solito, i cittadini. L’altro filone d’inchiesta che coinvolge l’uso “improprio” della foce, riguarda poi il depuratore. Il depuratore cittadino infatti scarica i reflui direttamente nella foce, in violazione di una legge regionale che lo vieta e in presenza di espresso diniego della Regione. L’opera allo stato attuale risulta incompleta in quanto priva di condotta sottomarina di allontanamento dei reflui depurati L’impianto funziona a singhiozzo, causando un inquinamento che si traduce in devastazione sia per l’ambiente fluviale sia ovviamente per il mare circostante. Senza dimenticare poi il problema dello smaltimento dei fanghi di depurazione, in poche parole un disastro ( spesso grosse chiazze di scarico si intravedono nel mare antistante Licata, determinate da questo mal funzionamento ndr ).
Un paesaggio modificato in maniera irreversibile. Ma in questo scenario stanno emergendo associazioni e singoli cittadini che provano a battersi affinchè l’area torni a essere bene comune. Due associazioni molto attive sono, come già citato anticipatamente “A testa Alta” e la locale Lega Navale. Proprio queste ultime (come riferito dai presidenti Antonino Catania e Pino Coppolino ndr) si sono fatte promotrici di un progetto di riqualificazione che coinvolgerebbe lo stesso WWF e altri soggetti interessati. Lo studio avrebbe la volontà di creare un vero e proprio parco fluviale (il modello sarebbe quello del Fiume Arno) con tanto di ciclovie, attivazione di corsi di canottaggio e recupero della navigazione nella parte terminale del fiume ( rendere quindi “navigabile” buona parte del basso corso, anche solo in maniera stagionale) e dulcis in fundo riattivazione della bellissima oasi avifaunistica della Foce del Salso, con la bonifica totale e completa dei terreni irrimediabilmente inquinati da amianto e altri rifiuti pericolosi.
Lo studio si dovrebbe avvalere di un’ampia analisi idro-geografica dell’area e geomorfologica, atto a cercare una concessione fluviale dal governo regionale. Un gran bel progetto, partito dal basso ed espressione che anche nella remota e sperduta Sicilia meridionale c’è voglia di autodeterminare le proprie scelte. Da Nord a Sud i territori continuano ad essere devastati in barba a principi costituzionali e norme di diritto.
Tornando quindi all’incipit dell’articolo (ri)citando il parco dell’ex Snia a Roma: lì la cittadinanza ha vinto, ha dimostrato che uniti, compatti e decisi si può e si deve vincere, per noi stessi per i nostri figli, per tutti e tutte. Beni comuni per tutti, cemento per nessuno.