L’archeologia rallenta, blocca i cantieri, fa (come tecnicamente si suole asserire) aumentare i costi. Un ritornello conosciuto soprattutto dagli addetti ai lavori, i quali non solo vengono malpagati e non sempre messi nelle condizioni migliori di svolgere il loro mestiere, ma subiscono anche sbeffeggiamenti tra il serio e il faceto. Lungi dal fare l’invettiva pro categoria (l’arte di piangersi addosso infatti non ha mai aiutato nessuno) è facile notare quanto senza invece un corretto utilizzo dell’archeologia per la tutela della salvaguardia del territorio (e chiaramente del bene archeologico ad esso connesso) non si va da nessuna parte.
Partendo dalla situazione di Roma, il “caso studio” risulta essere emblematico: una linea metropolitana in perenne fase di assemblaggio ed il rischio (sarebbe più corretto chiamarlo potenziale) archeologico sempre lì come un gufo quasi appostato per allontanare gli “avventori”. Le inchieste di questi giorni stanno provando a fare luce su questa vicenda, la quale presenta diverse sfumature ad oggi poco chiare. I fatti parlano di 13 persone indagate tra ex amministratori locali, imprenditori e massimi dirigenti comunali e ministeriali. Il PM Erminio Amelio ipotizza la truffa aggravata i capi di imputazione riguarderebbero appalti letteralmente gonfiati e opere relative all’indirizzo per così dire archeologico non svolte.
Viene denunciata la mancanza della cosiddetta archeologia preventiva (disciplinata, tra le altre cose dal Codice dei beni culturali), condizione fondamentale per il buono e corretto andamento di lavori pubblici di tale portata. Spostandoci di diversi chilometri si presenta, per certi versi, medesima. La tragedia sulla linea Corato-Andria ha scosso tutta l’opinione pubblica anche e soprattutto perché era una tragedia tranquillamente evitabile. Senza ritornare sui fatti, con un’inchiesta in corso e relativi imputati, una nota testata giornalistica ha avuto l’idea di “imputare” quasi la colpa dei ritardi causati ai lavori ferroviari alla segnalazione, tramite ViArch (valutazione d’impatto archeologico), della presenza di un sito.
In ultima analisi il contestato ampliamento dello stadio di Crotone, il quale permetterebbe lo svolgimento della partite casalinghe della locale squadra proprio nella città “pitagorica”.
Una vicenda che ha quasi visto un linciaggio mediatico verso la questione del vincolo archeologico ricadente sull’area; senza scendere minimamente nei dettagli rispetto a criticità e problematiche inerenti la delicata situazione di una città con una stratigrafia storico-archeologica di circa 2700 anni. Nulla contro la volontà di un’intera comunità di festeggiare e celebrare lo sport, ma la materia è alquanto delicata e come tale andrebbe trattata. Paradossi del fantomatico paese-museo (a cielo aperto), che pace non ha.