Ciao capitano
Salgo le scalinate della stazione di Campo di Marte in una serata umida e piovosa appena uscito da lavoro.
Un percorso fatto tante volte, tantissime domeniche, verso la partita.
La mia più vecchia sciarpa ormai logora e consumata dai lavaggi, che tenevo in camera come cimelio di un abbonato allo stadio Artemio Franchi dal disastroso 2002.
Undici anni di calcio ribelle
Pisa saluta l'XI edizione del Mondiale Rebelde
Si svolgerà anche quest'anno, per l'undicesima volta consecutiva, la manifestazione promossa a Pisa dal Progetto Rebeldia, battezzata una decade fa “Mondiale Rebelde”. Una straordinaria iniziativa voluta fortemente da uomini e donne decisi a riprendere in mano quanto di più popolare ci sia (con accezione esclusivamente positiva), lo sport.
La guerra continua negli stadi: il ruolo del calcio nella violenza nazionalista nei paesi della ex Jugoslavia
Sfido chiunque appassionato di pallone a non aver mai provato questo gioco malinconico. Provate a inserire tutti i più forti calciatori dei paesi della ex Jugoslavia in un’unica squadra. Dzeko, Jovetić, Modrić, Ivanović, Handanović: solo per citare per ogni ruolo alcuni dei più forti giocatori a livello europeo e mondiale; vedrete che il risultato sarà un “dream team” tale da far impallidire la stessa Jugoslavia precedente alla guerra.
Quel conflitto sanguinario e drammatico, come solo possono esserlo le guerre civili, che ha portato alla disgregazione della federazione jugoslava e di conseguenza questi calciatori a giocare con casacche nazionali diverse. Le guerre balcaniche si sono concluse oramai da anni, ma l’odio che per quasi un decennio le ha alimentate continua a infiammarsi alla minima occasione. Che fosse probabile una protesta con tanto di lancio di oggetti nei confronti del premier serbo Alexsandr Vučić in occasione della cerimonia a Srebrenica per celebrare i vent’anni dalla strage era plausibile. Prevedibile che Kolinda Kitarović, nuovo presidente della Croazia, sottolineasse l’importanza dei voti croati in Erzegovina dopo la vittoria alle presidenziali, acclamata da molti reduci di guerra. Ma che un anno fa la partita valida per le qualificazioni al prossimo Europeo francese tra Serbia e Albania si trasformasse in una battaglia, con tanto di drone militare portante di una bandiera del Kosovo, non se lo aspettava nessuno.
Osservando lo stupore e l’indignazione della Uefa e la reazione della stampa europea sembra quasi che tutto ciò fosse totalmente inaspettato (solamente due anni prima, per le qualificazioni ai Mondiali in Brasile, la partita tra Serbia e Croazia si era conclusa con cinque espulsioni in campo e scontri fuori dallo stadio). Come gli intellettuali jugoslavi che, increduli, osservavano l’evolversi drammatico degli eventi di quella estate drammatica del 1991, mentre proprio dagli stadi si diffondeva l’incendio della guerra. Il calcio nella diffusione dei nazionalismi della penisola balcanica ha sempre avuto un ruolo fondamentale, ancor di più che nel resto d’Europa. Qui la violenza calcistica come risultato del rapporto tra condizioni economiche e sociali difficili e la strumentalizzazione politica ha portato a conseguenze disastrose. In Bosnia Erzegovina si ricordano di Vedran Puljić, tifoso del Sarajevo a cui spararono fuori dallo stadio di Široki Brijeg due anni fa.
Sempre in territorio bosniaco, il derby tra le due piccole squadre della tristemente famosa cittadina di Mostar è una delle partite più pericolose del campionato, in una nazione che in Europa è tra i primissimi posti come violenza negli stadi. La guerra sui campi di battaglia e la distruzione di intere città e paesi è stata rinchiusa negli stadi, in un clima generale di tensione e rigidi controlli dell’informazione, come accade in Serbia, dove sugli scontri tra tifoserie è stata imposta la censura. I conflitti nella penisola balcanica negli anni Novanta probabilmente sono iniziati negli stadi, in quella generazione cresciuta dopo la morte di Tito, figlia di uno stato oramai decadente vittima di anni di corruzione e grande povertà, causati da un sistema federale incapace di riformarsi pronto all’autodistruzione. Non è un caso se molti vedono nella partita tra Stella Rossa e Dinamo Zagabria del 13 maggio 1990 l’inizio della guerra. Quel match valido per le qualificazioni alla Coppa dei Campioni allo stadio Maksimir di Zagabria si trasformò in un mattatoio, dove la stessa polizia jugoslava che doveva garantire la sicurezza della partita iniziò a pestare i giocatori e tifosi croati. Famosa la foto dell’calciatore croato Zvonimir Boban che allontana a calci un poliziotto serbo che pestava un suo giovanissimo compagno di squadra. Želiko Raznatović, comunemente noto come “Arkan” la Tigre dei Balcani, arruolava i componenti del suo agguerrito branco di Tigri nella curva dello stadio Maracanà di Belgrado, tra i più coloriti e facinorosi tifosi dello Stella Rossa.
I meritevoli giovani disoccupati, magari figli come lo stesso comandante di militari serbi o burocrati, venivano invitati dopo la partita nella gelateria in Kneza Miloša, una delle vie principali di Belgrado, di proprietà di Arkan per discutere sul futuro della Serbia. In quel locale gremito di ragazzi frustrati dall’impossibilità di un futuro e ubriacati di dottrina nazionalista, gli ultras dello Stella Rossa diventavano così membri di uno dei gruppi paramilitari più famigerati attivi nelle guerre jugoslave. Inoltre il comandante serbo decise di ripulire una parte del bottino di guerra nel calcio a fine del conflitto in Bosnia Erzegovina, investendo proprio nel pallone. Il primo due di picche lo prese proprio dalla sempre amata Stella Rossa nel 1996, l'allora presidente del club più famoso di Belgrado rifiutò l'offerta di Arkan. La Tigre scelse allora di acquistare l'Obilic, l'altra squadra della capitale, e nel giro di un paio di anni non solo la portò nella massima serie ma gli fece conquistare il primo e unico titolo nazionale della sua storia. La scelta di puntare su un club originariamente così modesto era dettata da suggestioni al limite tra storia e leggenda nonchè megalomania. Obilic FK come Milos Obilic, uno dei sovrani serbi che combatté nella battaglia contro il Kosovo, nella quale il popolo serbo perse contro i turchi e restò senza patria per 500 anni. Arkan, tra l'altro, si sentiva il messia, il nuovo Obilic, capace di riscattare il popolo serbo e il conflitto appena terminato ne era la prova.
Proprio con questa immagine abilmente costruita, Arkan riportò le sue Tigri in Kosovo all’inizio dell’ultimo conflitto balcanico, trovando nuove reclute proprio nella tifoseria della sua nuova squadra. L’esaltazione nazionalistica serba è sopravvissuta alla guerra ed è ancora fortemente presente negli stadi. L’effige di Arkan è visibile sugli stendardi degli ultras della squadra belgradese, il cui negozio ufficiale è pieno di T-shirt con la scritta “Kosovo je Srbija”. “Snage Srbjia”, la sigla “1389” anno della leggendaria battaglia del Campo dei merli nella piana di Kosovo Polje tra l’esercito serbo e gli ottomani. Non solo in Serbia la cultura calcistica è pesantemente invasa da derive nazionalistiche. I tifosi dell’Hajduk Spalato, oltre a bandiere che riportano la tradizione degli aiducchi, i pirati che terrorizzavano l’Adriatico nell’età moderna, hanno coloratissime magliette con l’effige dell’ex presidente croato Tudjman e il simbolo del suo partito nazionalista. La tifoseria della Dinamo Zagabria, in particolare i famigerati Bad Blue Boys (BBB), possiedono un vasto repertorio di cori nazionalisti e colorate bandiere che inneggiano alla grandezza dello stato croato. Recentemente è nato un nuovo gruppo ultras appoggiato dal nuovo presidente Mapić, molto più incline a relegare da una parte il forte sentimento nazionalista croato della curva, che però è stato oggetto di agguati e numerosi scontri da parte del nucleo storico dei Blue Boys.
Come citato in precedenza, la divisione amministrativa della Bosnia in tre repubbliche autonome (Croata, Serba e Musulmana) si riflette anche nel calcio, aumentando nel paese gli scontri tra tifoserie di matrice nazionalista e religiosa. Un calcio bosniaco preda oltretutto di una federazione completamente in mano a un manipolo di corrotti, che si spartiscono tra di loro i ricavi delle amichevoli giocate dalla Nazionale bosniaca e i fondi della Uefa per lo sviluppo delle strutture calcistiche; una corruzione denunciata in piazza più volte dagli stessi tifosi in manifestazioni spesso represse dalle forze dell’ordine. Episodi di violenza che vengono sottovalutati pericolosamente dalla Uefa e dagli organi di vigilanza del calcio europeo e mondiale, inseriti in una escalation silenziosa che già una volta in passato ha prodotto danni enormi. Negli anni Settanta e Ottanta il fenomeno hooligans nel Regno Unito era nato in quelle cittadine e sobborghi della classe operaia e industriale, in cui stava covando un sentimento di rabbia pronto a esplodere per le difficili condizioni economiche del paese e per quella guerra condotta contro l’industria manifatturiera e mineraria a favore della nascente politica finanziaria mondiale.
Nei paesi balcanici questo sentimento di rabbia alimentato dalla retorica nazionalista ha prodotto una guerra e ancora oggi il focolaio del nazionalismo aggressivo non si è spento. In quella pace traballante che regna sui paesi della ex Jugoslavia, la guerra è stata rinchiusa e relegata negli stadi, tenuta nascosta agli occhi del continente e riemerge in occasione delle celebrazioni della memoria bellica. Le tifoserie di questi paesi ovunque vanno ostentano con manifestazioni violente e disordini questi sentimenti di odio, tramite gruppi minoritari di facinorosi che macchiano intere nazioni. Gli incidenti dei tifosi serbi a Genova in occasione della partita con l’Italia lo scorso anno e i disordini all’estero dei tifosi croati di quest’ultimo periodo ne sono una testimonianza. Elementi nazionalistici che sono presenti in altri sport: basti guardare le esultanze di Novak Djoković ad ogni vittoria e trofeo, il tuffo in piscina della nazionale di pallanuoto serba facendo con tre dita della mano il simbolo della trinità serba agli ultimi europei ecc.
Per combattere questa violenza nata da sentimenti che con il calcio e con lo sport non hanno niente a che fare, sarebbe necessaria una più severa vigilanza da parte degli organi competenti per bastonare tramite dure sanzioni (come la minaccia del taglio ai fondi di finanziamento alle federazioni, l’esclusione dalle competizioni internazionali sia di club che delle Nazionali, penalizzazioni nel ranking ecc) le federazioni calcistiche per costringerle a promuovere presso i propri governi delle legislazioni severe sulla violenza negli stadi. Nella sua immobilità causata da una mancata unione d’intenti e nella sua vocazione economica, l’Europa del calcio osserva indifferente l’esplodere momentaneo di questi casi di violenza, ignorando una situazione che in questi paesi è diventata la normalità. Una delle missioni principali dello sport e del calcio dovrebbe essere quella di trasmettere sentimenti di unione e amicizia, cercando di far dimenticare davanti a un pallone anni di guerre e di odio, non contribuire a soffiare sulle ceneri ancora ardenti di un conflitto dimenticato. Che ancora rumoreggia negli stadi, aspettando il momento in cui il pallone volerà fuori dagli spalti riversandosi in strada.
Verguenza
Riapre i battenti la stagione sportiva, per lo sport più seguito nel mondo, nuovamente ai nastri di partenza con l’inizio di tornei nazionali e coppe internazionali. Il calcio sport con una missione sociale notevole (troppo spesso lo dimentichiamo) torna a prendersi la scena. È inutile, forse banale ricordare però la perdita di valori presenti all’interno di questo sport. Caduta libera direttamente proporzionale al giro dei soldi aumentato, vertiginosamente, in questo sport nell’ultimo trentennio.
La cornice che racchiude lo sport del pallone non è bellissima: oltre all’annoso caso della violenza negli stadi (fattore esasperato da intromissione di frange delle ultradestre nazionali all’interno delle curve), ogni anno viviamo di scandali differenti come calcioscommesse e partite truccate per favorire l’una o l’altra squadra.
Anche gli organismi governativi del calcio non sono esenti da colpe. Al netto di pubblicità che invitano al rispetto e alla correttezza infatti, un organismo sportivo ma anche (e soprattutto) politico come la Fifa mostra il suo lato peggiore condito dal malaffare e dalla corruzione, elementi disdicevoli che in prima fila vedono protagonista l’ex presidente; Sepp Blatter.
Rimanendo in ambito continentale, in Europa l’organismo di governo del calcio, la Uefa (presieduta da Platini ndr) non è sicuramente di meno in quanto a figuracce. Tralasciando il discorso sul Fair play finanziario, mezzo poco utile a mi parere per pervenire gli eccessi e le speculazioni di presidenti dal portafoglio infinito ingigantito dai petro-dollari (o petro-rubli) il problema, se mi è concesso, si sposta sul lato della discriminazione. “No To Racism”, slogan che campeggia ovunque all’interno delle kermesse della Uefa, dalla Champion’s League alla Europa League, il problema è la vera “applicazione” di una frase, all’apparenza così pregna di significato. I casi non sono isolati, a testimonianza di un mal costume e di ignoranza recondita nel giudicare problematiche politiche europee.
Qualche hanno fa fu la volta dei tifosi scozzesi del Celtic, multati per avere esposto durante una partita europea l’effige di Bobby Sand dal Nordstand di Celtic Park. Bobby Sands personaggio celebre ed eroe dell’indipendenza irlandese. I tifosi del Celtic legati storicamente alla terra color smeraldo, subirono infinite critiche e l’Uefa ( in linea con politiche europee di repressione ) multò pesantemente la squadra bianco-verde di Glasgow. Pochi mesi fa è stato il turno del Barcellona, con una sentenza e una multa arrivata nell’ultimo mese. L’antefatto è il palcoscenico europeo calcistico più importante, la finale di Champion’s League a Berlino tra i catalani e la Juventus.
I blaugrana incassano una multa salata dalla Uefa per le "esteladas" in mostra nell'ultima finale di Champions League.
La Corte Disciplinare della UEFA ha deciso di sanzionare con 30.000 euro di multa il club a causa della presenza, ritenuta "eccessiva" dalla confederazione continentale, delle bandiere catalana. Non è piaciuta l’“ostentazione” di identità e la Uefa rifacendosi all'articolo 16 del proprio statuto motiva la propria punizione così: "l'uso di parole od oggetti per trasmettere qualunque messaggio che non riguardi lo sport, e concretamente quelli politici, ideologici, religiosi, offensivi o provocatori".
Provocatori? Offensivi? Da tempo immemore ho constatato in curve e altri settori le apparizioni di simboli chiaramente legati al nazi-fascismo; dov’è in questo caso l’applicazione dell’articolo 16 ( per fortuna per il caso della svastica di Italia-Croazia si è intervenuti ndr)?
Il Barcellona ha rischiato pene anche più severe, poiché è prevista fino alla chiusura dello stadio ma qualcuno negli uffici di Nyon si è mai chiesto cosa sia veramente diffamatorio e offensivo? Il mondo del calcio è malato, da tempo e la soluzione che spesso viene data alla problematiche dirimenti è quella di reprimere comportamenti più o meno distesi e lasciare scivolare invece il più delle volte situazioni disdicevoli.
Se il calcio è un veicolo sociale, che lo sia fino in fondo, senza dietrologie e altre trame. Il pallone che rotola ha fatto innamorare generazioni su generazioni, lasciamo che la passione sia libera di seguire il verde di un prato.
Di Francesca Gabbriellini e Andrea Incorvaia
Ignoranza presa a calci
Le immagine giunteci da Treviso e da Roma lasciano l’amaro in bocca, un misto di rabbia e incredulità. A nemmeno cent’anni dalla “notte dei cristalli” la serpe del fascismo, dell’odio e della violenza torna prepotente sulla scena. Pisa tre settimane fa ha ospitato per la decima edizione un torneo di calcio a 5 che va oltre il mero rotolare di un pallone. Il mundialito antirazzista, un classico ormai; il Mondiale Rebelde: evento importante organizzato al principio di ogni estate dal Progetto Rebeldia. Quest’edizione ha rappresentato un punto di arrivo ma allo stesso tempo un punto di partenza: dieci anni di esperienza, lotte al fianco di associazioni e comunità migranti condensati in un anno particolare, con l’emergenza umanitaria in pieno sviluppo e la necessità di dare risposte concrete che partano anche dallo sport. Il mundialito ha visto il solito splendido agonismo legato alla fantastica correttezza tenuta in campo dai partecipanti: un mix perfetto tra squadre “migranti” (Kurdistan, Senegal, Romania, Eritrea, Albania, Brasile, Marocco) e squadre composte da associazioni (Libera, Emergency, Arci ragazzi, Il nodo collettivo, Radio Roarr, Africa Insieme e così via). Per la cronaca da campo questa decima edizione ha visto il successo bissato della Romania, che in finale ha sconfitto il Kurdistan 8-6. Terza piazza per l’Arci ragazzi i quali hanno battuto nella finalina il Senegal e la simbolica “Coppa Terzo Tempo” che ha visto sfidarsi le squadre che meglio hanno interpretato lo spirito del Mondiale, dove a trionfare è stata la squadra di Africa Unita contro Contratto Sociale.
La FIFA di uno scandalo annunciato.
Un terremoto, uno sconquasso quello apertosi per la Fédération Internationale de Football Association, conosciuta semplicemente con il celebre acronimo FIFA. L’organo per eccellenza, istituzionalizzato del mondo del calcio, con sede a Ginevra guidato ormai da quattro mandati dallo svizzero Sepp Blatter.
L’organo fu fondato a Parigi il 21 maggio 1904 e si occupa tutt’oggi dell'organizzazione di tutte le manifestazioni intercontinentali di calcio futsal e beach soccer. Gli interessi che girano attorno ad un organizzazione così importante, organizzatrice e promotrice dell’evento sportivo più importante del mondo (il mondiale di calcio) sono innumerevoli.
Nell’era del capitalismo più sfrenato purtroppo non stupisce tutto ciò, come non stupisce il teatrino smascherato, forse con colpevole ritardo, in questi travagliati giorni per il mondo del pallone e non solo.
Lo scandalo è scattato con arresti all’alba della mattinata dello scorso 27 Maggio. Il casus belli determinante riguarda un capitolo d’inchiesta per le tangenti nella Fifa relative all'assegnazione dei mondiali e ad alcuni accordi per marketing e diritti tv, indagine partita addirittura dagli Stati Uniti. Sono stati arrestati nel blitz di Zurigo sette dirigenti dell'organo di governo del calcio mondiale presto estradati negli Usa. La sfondo della farsa è stato il Baur au Lac, l'hotel dove si svolgeva il meeting annuale della Fifa durante il quale il presidente uscente Sepp Blatter affrontava la sfida del principe giordano, Ali bin Al Hussein.
Joseph Blatter risulta indagato dalla stessa Fbi ma per ora non è inserito tra i volti identificati dal dipartimento della Giustizia Usa, i quali sono accusati di corruzione.
Il filone d’inchiesta ha fatto emergere pure il nome di un’importante azienda celebre per la “vestizione” degli atleti.
Tutti temi da sviluppare, tutti temi da far emergere con chiarezza, finalmente.
Blatter è stato rieletto, tutto ciò però non cancella le ombre su un personaggio piuttosto ambiguo, con un modo di intendere il mondo del calcio come un esclusivo affare personale. L’uomo d’affari svizzero non arriva agli alti onori della cronaca (nera), solamente ora dopo quattro mandati presidenziali. Le voci di dissenso durante il suo governo sono state diverse.
Ricorderò sempre una in particolare, fomentata da un acerrimo nemico del sopracitato presidente Fifa. Parole, slogan a firma Diego Armando Maradona. Era l’estate ’94, si giocavano negli Stati Uniti i mondiali di calcio arrivati in quell’occasione alla loro quindicesima edizione. Maradona, poco prima di essere fermato poiché risultante positivo al test antidoping, urlò al mondo dopo uno splendido gol all’incrocio dei pali contro la Grecia, il proprio dissenso verso Blatter quel modo di fare politica e la sua voglia di rivincita e riscatto.
Bisogna fare le dovute premesse, Diego è e sarà sempre ricordato come una persona con forti criticità a volte i suoi eccessi hanno rappresentato la sua rovina, però quell’urlo riuscì a colpire un bimbo di 6 anni. Sono passati ben 21 anni. Il calcio si è completamente chinato alle logiche speculative e ultra commerciali, forse uccidendo la passione insita quando istintivamente vedo e vediamo quando rotola un pallone. Lo scandalo Fifa era assolutamente preventivabile, come era assolutamente preventivabile il legame forte tra i grandi capitali (quelli poco trasparenti e il più delle volte sporchi) e l’organo rappresentativo dello sport più amato al mondo. Non mi stupisce tutto ciò, mi stupisce la voglia di conservatorismo ideologico che alberga in quel mondo e negli universi paralleli che lo circondano. Negli anni anche in Italia abbiamo assistito a scandali di corruzione e truffe indecorose. Il tifo, la passione i colori inflazionati completamente rispetto alla becere logiche di mercato. Qualcuno però, in un lungo bagno d’umilità, ha mai cercato veramente un’alternativa?
La risposta è chiaramente negativa, e lo vediamo anno dopo anno. Società dichiarate fallite, accordi tesi a monopolizzare il mercato dell’offerta mediatica per seguire anche solo per svago una partita di pallone, a noi le briciole di uno sport completamente snaturato. Il calcio, lo sport di squadra per eccellenza ormai diventato la gara dell’individualismo. Le alternative però che il calcio popolare negli anni ha provato a dare ci sono e con mille difficoltà resistono e danno fantastiche risposte. La nostra penisola è costellata di progetti nati esclusivamente dal basso, tesi a far rinascere la vera passione per questo sport. Azionariato popolare, partecipazione collettiva, impegno sociale; tanti esempi: Quartograd, Spartak Lidense, Ardita e così via. Può però bastare?
Sicuramente è un inizio positivo e assolutamente meritorio, è necessario però capire come far sposare questi bellissimi fuochi di “rivolta” con l’attuale stato delle cose che ci circondano, perché il calcio e gli sport in generale tornino veramente ad essere patrimonio di tutti e tutte. Gli organismi di controllo del calcio sia a livello continentale che mondiale subiscono l’influenza eccessiva di super capitali privati, ripartire da una “nazionalizzazione” dello sport sarebbe già un passo avanti. Sicuramente garantirebbe più controllo ed eviterebbe furbate di mercato (diritti tv ecc.)
Chiosa finale; il calcio è uno sport popolare, nelle periferie (come già anticipato precedentemente) di Roma, Napoli e via dicendo è tornato ad assumere la connotazione originaria. I valori veri quello che esso reca sono incontrovertibili, quelli no gli scandali non ce li porteranno mai via.
La caduta dei giganti: maestri inglesi viola di rabbia
Lo aveva detto mister Pochettino prima della partita: “Giocheremo in un ambiente caldissimo. I tifosi della Fiorentina fanno paura”. Il timore del manager degli Spurs si è concretizzato al momento dell’entrata in campo della sua squadra per il riscaldamento, quando si sono ritrovati davanti una muraglia di sciarpe e bandiere viola che ha rumoreggiato intensamente per tutta la partita. Si parla troppo spesso di stadi vuoti, tifosi disinnamorati, ma la sera del 26 febbraio si è confermata l’esistenza di alcune eccezioni all’interno del calcio italiano oramai in crisi da troppo tempo.
Di Giulio Mignini, tratto da L'Abbecedario
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l'immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli...
Sosteniamo Pereira presenta Scritti di Calcio: una serata all’insegna di un calcio diverso
Locale “Quintal”, che in portoghese sta a significare una tipologia di casa di campagna. Musica, risate e storie di calcio, ma non solo. E lì, a Lisbona, che qualche settimana fa il blog “Sosteniamo Pereira” presenta il blog “Scritti di Calcio”. Un blog che parla della cultura, della storia e della realtà portoghese che presenta, nella capitale, una realtà on-line che pian piano si inizia ad affermare e che nasce come… soluzione alla non pubblicazione di tante storie sul calcio, su un calcio differente.
Il problema più grosso per il Celtic non sono i brutti risultati in Champions League, ma la coreografia che ha accompagnato la partita contro il Milan, in quel di Glasgow (il 26 novembre).
“Terrorista o idealista, disumano o impavido? Dipende da quale voto stai provando a afferrare o quale faccia stai provando a salvare”. Le frasi sono apparse al fianco delle effigi di William Wallace (su sfondo di bandiera scozzese) e di Bobby Sands (su sfondo di bandiera irlandese).
Messaggio politico e/o ideologico, vietato dalle regole Uefa.
Peccato che l’obiettivo del gesto fosse la legislazione del governo scozzese inerente il calcio, lo “Scottish Government’s Offensive Behaviour at Football Act and Police Scotland’s”, che per le Brigate Verdi criminalizza espressioni della politica irlandese nel regolare quello che è legittimo o non è legittimo esprimere.
La solidarietà tra la cattolica e indipendentista tifoseria del Celtic e la storia dell’IRA ha creato diversi problemi alla società, che purtroppo ha scelto di provvedere personalmente contro alcuni tifosi e si affanna a prendere le distanze, spaventata dalle ritorsioni della UEFA.
Tutti sanno chi è Bobby Sands, o tutti dovrebbero saperlo. Ma è utile riassumere la logica perversa che muove la polemica contro la coreografia.
L’Europa è una realtà federale pacificata, secondo le narrazioni dei governanti (l’Unione Europea è premio nobel della pace, alla faccia di baschi, irlandesi e di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di assaggiare la repressione del vecchio continente).
L’Irlanda è un paese indipendente (se ci si dimentica delle sei contee dell’Ulster).
Bobby Sands è morto a seguito di uno sciopero della fame (pratica non violenta), incarcerato per questioni politiche e provato dalla repressione dell’oggi acclamata (e defunta) Thatcher.
Su William Wallace è stato girato un film da Mel Gibson (decisamente non un rivoluzionario, per idee politiche, il noto Braveheart.
La reazione a questo striscione, che ricorda quella contro i cori razzisti (ben noti in Italia), rivela tutta la fragilità di una retorica assolutamente politica, che cerca di nascondere dietro ad una presunta neutralità la rimozione del conflitto. Basta pensare a quanto inefficace (e talvolta ridicola) è la vicenda mediatica di Balotelli.
Almeno però nel caso della discriminazione razziale si può parlare di ipocrisia e superficialità. In questa vicenda ritornano alla mente le polemiche su Di Canio e Lucarelli, quando importanti opinionisti si permettevano di paragonare (e mettere sullo stesso piano) il pugno chiuso della Resistenza e il braccio teso del fascismo (che è anticostituzionale).
Pensare di tenerla fuori dagli stadi vuol dire avere in mente un’idea di politica separata dalla quotidianità, quasi una professione per pochi adepti, più che una pratica di partecipazione quotidiana.
Il volto pulito degli stadi aiuta a nascondere il malaffare, la passione dello sport rende complicato specularci sopra.
Quindi, semplicemente, lunga vita ai tifosi del Celtic.
Il Becco è una testata registrata come quotidiano online, iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Firenze in data 21/05/2013 (numero di registro 5921).