Come ogni anno anche quest'anno saranno presenti le mille sfumature che contraddistinguono da anni ormai quest'evento: uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo a celebrare lo sport e la fratellanza intrinseca proprio al significato stesso di questa parola. Negli occhi di tutti resta un decennio di partite, gol, rigori, trofei e calci. Calci al razzismo, all'ignoranza e al fascismo in ogni sua forma. Calci all'odio ormai pregnante nella nostra società, calci alla tendenza dilagante di un corporativismo teso ad escludere invece di includere.
Lo spirito del Mondiale Rebelde va contro vento, un po' Don Gallo e un po' Marcos, una miscela esplosiva di altenativa ai cliché contemporanei. L'edizione scorsa fu vinta, per il secondo anno consecutivo dai gialli di Romania. Un bel torneo caratterizzato da un'ottima dose di calcio e sport, aperto dalla partita inaugurale tra la Dinamo 633 (storica squadra del Progetto Rebeldia) e i ragazzi della Koa Bosco. Quest'ultimi componenti di una formazione dilettantistica calabrese avente l'esclusiva peculiarità di essere un collettivo formato da migranti per lo più lavoratori all'interno del sistema agricolo-industriale della Piana di Gioia Tauro.
I ragazzi africani vivono nelle tendopoli di Rosarno, l'idea di creare una squadra nasce nell’estate del 2013, dal 38enne parroco di Bosco di Rosarno Don Roberto Meduri, e proprio l'anno passato, la formazione “calabro-africana” otteneva il pass verso la Seconda Categoria FIGC. Un’impresa straordinaria condita da articoli su Eurosport, servizi su Sky e BBC, una risonanza mediatica internazionale, ottenuta grazie alla forza e alla determinazione di questi ragazzi pronti a sfidare il razzismo recondito all'interno della società (con tanto di aggressione xenofoba subita dopo un match della regular season).
Quale migliore occasione di festeggiare la “decima” del Mondiale Rebelde se non con una grande partita inaugurale tra due compagini così pregne di significato? Lo sposalizio tra il politico e l'impegno sociale, per un collettivo (Progetto Rebeldia ndr) che si batte da anni in difesa dei diritti dei migranti a Pisa. L'edizione di quest'anno promette “scintille” (in senso buono), si rinnova un torneo che prevede la partecipazione di 24 squadre suddivise per 6 gironi. Accoppiamenti da quattro compagini, in gironi misti che prevedono la presenza di squadre riferibili ad associazioni (es. Libera, Legambiente, Emergency ecc.) e squadre riconducibili alle comunità migranti cittadine (Senegal, Romania, Kurdistan, Marocco, Albania, Kosovo e così via). Il tutto si svolgerà tra il mese di Giugno e quello di Luglio, lo start previsto per oggi 10 Giugno, in concomitanza con l'inizio dell'Europeo di calcio in Francia.
È impossibile chiaramente paragonare le due cose, sia per caratteristiche per così dire “economiche” sia per quelle meramente organizzative, un parallelismo forse “dissacrante”, ma personalmente lecito. Nell'era del grande football, dei contratti miliardari, delle sponsorizzazioni da sceicchi, c'è ancora spazio per lo sport popolare? Nell'era della grande paura, nell'era del terrore dove interi stadi vengono presidiati da eserciti schierati e dove un movimento nato dal basso come la Nuit debout a Parigi, viene tassativamente repressa per garantire la sicurezza anche verso quell'Europeo, a discapito invece dell'insicurezza vera, si può ancora parlare di sport accessibile? Domande difficili, le risposte dal basso in materia sono arrivate da associazioni che da anni ormai operano per un calcio diverso, accessibile a tutti e tutte senza preclusioni di sorta, senza il minimo accenno di razzismo e discriminazione. Il Sankt Pauli in Germania, esempio su vasta scala ma anche a casa nostra lo sport popolare prova a (ri)emergere. Un riscatto, la voglia di provare a ribadire che i confini che vogliamo sono solo quelli della rete che delimita una porta di un campo verde (speranza).