A confessarlo al pubblico è Daniele Coltrinari, il quale assieme al sottoscritto, ha messo insieme cabaret, racconto, musica e cultura. Ad accompagnarci in quella splendida serata è l’altro italiano Matteo Sarnà, da alcuni anni a Lisbona. Ci ha accompagnato con il suono della sua chitarra e della sua voce: passando per la mitica “Ballata di Fantozzi”(o “Blues dei colletti bianchi”), intonata magistralmente anche dal nostro Daniele, arriviamo a pezzi come “La leva calcistica del 68” fino a “Barbera e Champagne”.
E mentre la musica continuava a scorrere, il matto che scrive e l’altro matto di cui vi ho parlato scherzano, ironizzano fra loro, rinfrescandosi con qualche birra, seduti su un tavolino di fronte al pubblico che riempiva il “Quintal”. Si inizia con le storie, ovviamente.
E la prima storia che Daniele racconta al suon di battute è quella del grande giocatore italiano (che ha girato nella sua vita innumerevoli squadre italiane) Ezio Vendrame. E fra le tante vicissitudini di questo grande giocatore, come non ricordare la sua grandissima eccentricità in una serata in cui a presentare questi due blog c’eravamo noi, con dei cappelli di paglia rossi e marroni. Ebbene Vendrame: il giocatore che nella storica partita Padova-Cremonese, che finì 0 a 0, scartò tutta la sua squadra (compreso il suo portiere che tentò di fermarlo) e si fermò sulla linea della sua porta con il pallone ai piedi; poi ritornò indietro: perché lo fece? “Così l’emozione era salva” come disse lo stesso Vendrame anni dopo. A parlare, poi, è chi scrive. “Parlo in italiano o in portoghese?” chiedo a Matteo (Daniele con ogni probabilità era andato urgentemente in bagno); “Vai tranquillo, come ti pare. Tanto qui ci capiamo tutti” mi risponde Matteo. E infatti. Alla fine dei conti l’importante era la mimica.
Ed ecco che a presentarsi a Lisbona è anche il giornale on-line e cartaceo “Il Becco”, quel giornale che è nato poco più di un anno fa a Firenze, che opera principalmente anche a Pisa e Pistoia, e che ci racconta della politica toscana, di cultura, di società e di quello che accade anche oltre mare, quello che accade in Europa e in tutte le realtà dove i beccai riescono ad arrivare. In una serata così non potevo esimermi dal narrare una storia di calcio differente, quella dell’ex allenatore del Pisa calcio Dino Pagliari. In un momento storico come questo, Pagliari testimonia come il calcio, quello vero, sia ancora vicino alle realtà sociali più deboli, alle realtà sociali che si organizzano per cercare di affermare un modello culturale, sociale e economico alternativo. Sono note, infatti, le posizioni che l’ex allenatore del Pisa ha preso qualche mese fa in difesa dell’ex-colorificio toscano, occupato fino a poco tempo fa dall’associazione “Rebeldia”. È proprio questa realtà politica di movimento che, insieme al cartello associativo “Municipio dei Beni Comuni”, ha restituito alla città toscana un ex luogo produttivo, abbandonato ormai a se stesso, per costruire spazi di produzione di beni immateriali e materiali, per offrire alla città servizi sociali (scuola per migranti, luoghi ricreativi per bambini, ciclofficine e quant’altro) che nessuno mai aveva saputo ricreare. Ed è proprio per questo che Pagliari, il quale da sempre partecipa anche all’ormai famoso campionato Rebelde organizzato ogni anno da questa realtà, ha scelto di entrare in quel luogo occupato rendendosi conto del valore che quelle attività hanno per l’intero tessuto sociale pisano. Sfortuna ha voluto che, successivamente le sue dichiarazioni, il Pisa calcio dopo un inizio di campionato brillante, con una squadra messa miracolosamente in piedi all’ultimo minuto, perde il match contro il Viareggio. Problemi “tecnici” che quasi a metà campionato costano la panchina all’allenatore del Pisa. Peccato. Peccato per un allenatore che ha ancora il coraggio di portare il calcio vicino alle persone. Ma non finisce qui, certo. Una storia così non può che far venire un po’ di rabbia e un po’ di tristezza.
È il momento di un barbera o forse, chissà, di uno champagne. Ma per sdrammatizzare, prende il via un’altra storia. Una storia che evoca un calcio, al contrario, legato alla bella vita e ai tanti soldi. Il blogger di “Scritti di Calcio” ci racconta di come certe assurdità e di come certe azioni assai gravi ci girano intorno e intorno al mondo del pallone. La storia è quella del giocatore del Lecce Dramé, il quale tempo fa è stato denunciato per aver rapinato e picchiato un prostituta. Poi sarebbe scappato via in bicicletta… Ma un momento… Dal pubblico si alza un ragazzo, è di Lecce. E allora, perché non farla raccontare a lui questa storia allucinante? Ed è così che il nostro blogger chiama il pubblico a intervenire, ad alzarsi, a fare casino e a bersi una birra. È la sorte che è toccata anche a un altro ragazzo, quella sera. È un galego, un amico. Daniele va e gli chiede: ma la storia del numero 10 (le tante storie delle maglie dai numeri 10) di origine galega? Non starò qui a raccontarvi di un’altra realtà, quella della Galizia e del suo bisogno di indipendenza. Ma lui, il ragazzo del pubblico, ci racconta la storia di Luis Suarez, approdato anche in Italia, nell’Inter. Una storia che parla di come tanti giovani possano trovare nel calcio il modo di esprimersi, di cercare di esprimere una cultura e un modo di essere. Insomma, alla fine questi numeri 10… “Questi grandi numeri dieci” mi dice Daniele… e poi… continua…”Ao ma non è che c’hai quei 10 euro da ridamme?!” “Erano dieci o sette?” Dico io… “Quanto è diciassette?” mi risponde… “Ah mò so diciassete!” gli dico un po’ incazzato. E allora… quanti erano, erano. Erano messi sul bancone del bar del “Quintal”, andiamo e beviamo un altro po’. Non ricordo di chi fossero quei diciassette euro e neppure se quei soldi sul bancone ci fossero stati davvero. Fatto sta che, sarà stata la birra, la gioia, le vere storie di pallone, ma dal “Quintal” quella sera siamo usciti tutti con un sorriso, con tanta voglia di allegria, con tanta voglia di continuare a raccontare storie di qualsiasi parte del mondo.
Immagine tratta da www.pisanews.net