L’urne de' forti si sono incrinate
Il pomeriggio della domenica delle primarie del Pd mi sono trovato per caso a passare da un circolo Arci in cui era stato allestito un seggio, nell’occasione ho ritrovato alcuni vecchi compagni del PCI, tutti ultrasettantenni, con i quali mi sono intrattenuto. Com’era ovvio l’argomento della conversazione sono state le primarie, che intanto si stavano svolgendo in una sala attigua al bar dove eravamo.
Lo scossone da molti auspicato è infine avvenuto: dopo le tempestose primarie che hanno visto prevalere – tra mille polemiche e accuse di voti comprati – Raffaella Paita, Sergio Cofferati ha deciso di uscire dal Partito Democratico, anche se precisa non “per fondare un altro partito, andare in un altro partito, o dare altra rappresentanza”. Un'uscita sofferta quella dell'ex sindacalista (è stato infatti tra i fondatori del Partito) salutata positivamente da Sel e che, secondo il suo coordinatore Chiaramonte, può costituire la base di partenza per la creazione di una specie di centro-sinistra alternativo alla sempre più probabile alleanza tra PD e Nuovo Centro Destra. Un nuovo centro-sinistra che dovrebbe comprendere oltre al partito di Vendola, Rifondazione e pezzi dello stesso PD. Già, ma quali pezzi?
Domenica 11 Gennaio si svolgeranno le primarie per eleggere il candidato del centrosinistra alla Presidenza della Regione Liguria. La sfida tra Sergio Cofferati e la spezzina Raffaella Paita rappresenta un fatto politico di estrema importanza non soltanto per la Liguria: la vittoria dell'ex sindacalista o dell'assessore uscente della giunta Burlando potrebbe dire molto anche a chi si trova fuori dai confini liguri ed incidere sugli equilibri interni al campo progressista.
Sul perché di questa candidatura e sulle prospettive che attendono la Liguria abbiamo intervistato l'ex Segretario della CGIL e candidato in questa competizione Sergio Cofferati.
Immagine tratta da popartmachine.com
Condivido molto le considerazioni di Raul Mordenti nel suo articolo (clicca qui per leggere) e, d’altra parte, mi sembra giusto ciò che sostiene Francesco Draghi nel suo: “…le primarie…meritano…un’ulteriore riflessione…a sinistra…” (clicca qui per leggere). C’è una questione: perché, nonostante condivida l’analisi di Mordenti, non mi toglie dallo stato di disagio in cui mi trovo.
Alla fine Bersani l’ha spuntata su Renzi con un margine di oltre venti punti percentuali, una vittoria prevedibile, ma non scontata. Per il vincitore non si è trattato di una passeggiata, il suo risultato è ben lontano da quelli plebiscitari di Prodi nel 2005: 3.182.686 voti (74,2%) e di Veltroni nel 2007: 2.694.721 voti (75,8%). Anche l’affluenza diminuisce, meno 1 milione e 200 mila votanti sul 2005, meno 500 mila votanti sul 2007, stabilizzandosi sui dati del 2009, poco sopra i 3 milioni di votanti, ulteriormente diminuiti nella votazione di ballottaggio del 2 dicembre 2012. Bersani, che aveva ottenuto nel 2009 la segreteria del Pd con il 52,3% dei voti, questa volta ottiene al primo turno il 44,9% e sale al ballottaggio al 61%, con un numero di voti che, inferiore di 230 mila al primo turno rispetto al 2009, supera al ballottaggio quel dato di 100 mila.
La vittoria di Bersani al ballottaggio è dovuta soprattutto alla confluenza sul suo nome di parte degli elettori che il 25 novembre avena espresso la loro preferenza a Vendola, Puppato e Tabacci, mobilitati più da motivazioni anti Renzi che pro Bersani; alla diminuzione dei votanti che ha finito per sfavorire il sindaco di Firenze, come ammettono numerosi osservatori; al peso dell’organizzazione che in larga parte, anche se non ovunque, pendeva a favore di Bersani; ad errori di comunicazione di Renzi, imputato di un eccesso di litigiosità e di aggressività nei confronti del segretario e dei suoi.
Comunque sia, le primarie, che sono state l’avvenimento politico centrale nelle ultime tre settimane, prima del "rientro di Berlusconi", e che hanno visto in ogni caso la partecipazione di oltre tre milioni di persone, meritano alcune considerazioni, per un’ulteriore riflessione che, a sinistra del Pd, dobbiamo saper compiere, non tanto sullo strumento in sé quanto sul come debba oggi organizzarsi ed operare nelle condizioni attuali una forza politica.
Ho atteso il risultato delle primarie del centro-sinistra (!) e l’esito dell’Assemblea nazionale di “Cambiare si può!” per questa riflessione sulla relazione inscindibile tra la struttura sociale come si presenta oggi, i molteplici soggetti dell’azione politica e le istituzioni: in breve tra il cittadino e i vari livelli di potere e quanti hanno occupato lo spazio politico con l’obiettivo esclusivo di detenere il potere ad ogni livello. Indubbiamente la società è molto articolata e non esistono contenitori in grado di rappresentarla in maniera soddisfacente ed adeguata.
Un’estrema frammentazione ha portato alla nascita di soggetti dell’azione politica diametralmente opposti: alcuni che si fondano su interessi particolari e, in certi casi, fortemente identitari; altri con la caratteristica del contenitore omnibus dal quale si scende e si sale a piacimento o per convenienza; altri ancora con forti caratteri e modalità di azione populistiche e fortemente influenzati da interessi personali.
Dai risultati delle primarie di coalizione, con l’affermazione di Bersani, ci troviamo di fronte ad una duplice lettura della linea politica che ha vinto: quella che sostiene il governo Monti con l’adesione alle politiche dell’Unione Europea e delle altre istituzioni comunitarie o una proposta alternativa e molto annacquata di socialdemocrazia europea attenta alle politiche sociali e non assoggettata alla finanza internazionale e al sistema bancario? È lecito chiedersi se la coalizione guidata dal PD dovesse affermarsi alle elezioni politiche si porrebbe come interprete delle istanze che sono la manifestazione della disperazione, dell’emergenza sociale e della paura del domani e che si sono impadronite di settori sempre più ampi della società e tradurrebbe questo in provvedimenti legislativi volti direttamente ad incidere sui problemi del lavoro – disoccupazione e precarietà –, sul sistema pensionistico, sugli investimenti pubblici, sulla riduzione delle spese militari, sull’introduzione della patrimoniale, sull’evasione e l’elusione fiscale, sul sistema bancario e sul potere incontrollato della finanza internazionale.
Ho argomentato altrove (su “Controlacrisi” e su www.Liberaroma.it) che le primarie sono “un’americanata a Roma” degna di Alberto Sordi, e però un’americanata tutt’altro che innocua, perché le primarie alludono allo stravolgimento della Costituzione (anzi lo praticano già!) prefigurando un Presidente del Consiglio (ma loro dicono: “premier”) eletto direttamente dal popolo, e non invece nominato dal Presidente della Repubblica e votato dal Parlamento, come la nostra Costituzione prescrive (cfr. gli artt. 92, 93 e 94 della Costituzione). Insomma le primarie sono culturalmente del tutto interne alla logica della Repubblica presidenziale, di un “unto del Signore”, a cui viene affidato per via plebiscitaria tutto il potere, senza alcuna mediazione democratica di tipo parlamentare. E non sono forse già, le primarie, un plebiscito personale, per scegliere il “capo”? Confesso che mi fa scorrere un brivido nella schiena il “combinato disposto” fra le ondate di populismo autoritario che la crisi capitalistica porta con sè in tutta Europa e il possibile presidenzialismo (che peraltro era già previsto dall’accordo alla bicamerale D’Alema-Berlusconi, poi fatto saltare da quest’ultimo). Pensiamo cosa sarebbe successo se un simile regime di investitura diretta del “premier” fosse già stato vigente e se Berlusconi avesse potuto presentarsi come espressione diretta della volontà popolare.
Il Becco è una testata registrata come quotidiano online, iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Firenze in data 21/05/2013 (numero di registro 5921).