L'iniziativa era promossa dall'Istituto Gramsci e presentava un'indagine molto originale condotta dalle ricercatrici di Sociolab (www.sociolab.com), e presentata da Barbara Imbergamo e Maria Fabbri, circa le caratteristiche, le aspettative e le criticità connesse ad alcune forme di lavoro non standard ma che si vanno diffondendo sempre più, senza che tuttavia intorno ad esse vi sia una capacità di lettura e di rappresentazione adeguata e commisurata appunto alla loro crescente diffusione.
Il questionario è stato diffuso tramite blog e social network ed era rivolto a tutti/e i/le lavoratori/rici, ma il processo di autoselezione ha evidentemente condizionato il “campione”, composto prevalentemente da persone di età compresa tra i 30 e i 54 anni, donne e lavoratori che svolgono “nuovi lavori”.
Tra di essi troviamo videomaker, creativi, terziario avanzato, operatori sociali, educatori e quello che emerge immediatamente è che l'elemento distintivo solo in alcuni casi è dato dal tipo di lavoro svolto; nella maggior parte delle situazioni è la forma contrattuale che fa la differenza. Per cui, un educatore sociale finisce per avere più caratteristiche in comune con un fotografo che con un insegnante.
Tra gli intervistati (160), circa il 40% si definisce autonomo o imprenditore, il 33% dipendente e il 26% precario.
Il questionario invitava poi, ed è l'aspetto più significativo dell'indagine, a misurarsi sulla percezione della propria condizione di vita in stretto collegamento alla condizione lavorativa.
La possibilità di imparare sempre cose nuove e di lavorare con una finalità sociale sono tra gli elementi positivi che maggiormente risaltano tra le risposte fornite; l'incertezza sul futuro costituisce la preoccupazione principale per il 50% mentre la sottovalutazione (economica e sociale) del lavoro svolto è motivo di rabbia per il 25% degli intervistati.
Nonostante reddito scarso e incertezza siano le problematiche più sentite, nonostante la parola futuro sia motivo di paure e mostri l'esistenza di un disagio ampio nel proiettarsi concretamente, anche solo con l'immaginazione, oltre il presente, la maggior parte degli intervistati non rinuncia alla costruzione di una vita familiare.
Sono spesso persone che investono molto nella loro formazione che, come ha osservato Alessandra Pescarolo (Irpet) sono accomunate da uno scarso riconoscimento sociale (monetario e di status) ma che possiedono una forte soggettività, da non confondere con individualismo. Molti infatti dichiarano di lavorare con grande soddisfazione nel campo del sociale, dell'educazione, nella promozione dei beni comuni. Spesso il denaro non è l'obiettivo principale, forse perché ormai rassegnati o forse per la capacità di godere di altre soddisfazioni. Non è da escludere, come ha fatto notare Annalisa Tonarelli (Università di Firenze), che il gruppo autoselezionatosi attarverso la forma prescelta – i social network – non sia tuttavia rappresentativo e che diverso potrebbe rivelarsi l'attenzione al denaro in base alla classe di appartenenza, riflettendosi nel minore interesse per il denaro nella classe medio alta, un minore stato di necessità reale e percepito.
Se potessero cambiare lavoro, solo la metà lo farebbe e solo per avere maggiori garanzie e diritti.
Solo un quarto lo cambierebbe per un lavoro a tempo indeterminato, lasciando intravvedere che l'obiettivo delle rivendicazioni non necessariamente sarebbe la stabilizzazione, ossia il superamento della precarietà, quanto piuttosto un più qualificato livello di garanzie sociali che accompagnino condizioni lavorative anche incerte.
Emerge dunque la necessità di approfondire una variegata e complessa domanda di diritti del lavoro e sociali, che solo in parte potrà esaurirsi nella trasformazione dei precari in lavoratori a tempo indeterminato e che dovrà invece articolarsi sui bisogni e le aspettative di un “lavoratore tipo” assai poco tipico, la cui prima difficoltà rimane innanzitutto quella di rispondere alla domanda “che lavoro fai”?
Immagine tratta da www.sociolab.it