In effetti a Firenze non lo si ricorda per le sue mirabolanti prestazioni, ma piuttosto per i guanti e la calzamaglia indossati in autunno, che a Firenze notoriamente non è quello di Oslo, o per essere stramazzato letteralmente al suolo durante la preparazione precampionato.
I fiorentini lo ricordano però anche per il pugno chiuso che innalzava al cielo dopo aver segnato un gol, a dire la verità purtroppo pochini in maglia viola.
Eppure il dottore, che dottore lo era davvero, nell’immaginario fiorentino e non solo è riuscito a suscitare un senso di grande rispetto e ammirazione fra il popolo. Rispetto e ammirazione per il calciatore e per l’uomo, che fuori dallo stereotipo del calciatore diffuso dalla stampa più o meno specializzata, proprio in quegli anni infatti si stava assistendo al mutamento del ruolo del calciatore da sportivo a personaggio, spesso negativo; da essere umano dedito con passione allo sport a mercenario ingaggiabile solo dai club più danarosi.
Erano quelli gli anni di Antognoni, Oriali, Passarella, era ancora aperta nei fiorentini la ferita del mancato scudetto del 1982, ancora vivo il ricordo del mondiale di Spagna (allora era forte il legame con la nazionale, ma questa è un’altra storia), vinto dall’Italia giocando in semifinale proprio contro il Brasile di Socrates.
Erano anni belli e difficili! Governava il pentapartito, Craxi iniziava la sua resistibile ascesa, e l’Italia la sua inesorabile discesa, senza che molti se ne rendesse pienamente conto, con l’eccezione di Enrico Berlinguer che guidava un partito comunista al 30%. Chissà quanto ha contato la sua prematura scomparsa sugli sviluppi successivi della storia italiana? (ma anche questa è un’altra storia)
Era tutta un’altra epoca! E Socrates di quell’epoca era parte integrante, sedotto dai vizi della vita, che lo porteranno alla morte, ma capace di restare umano in un mondo che cominciava a preferire le marionette, dopo aver conquistato fama e soldi, restava convinto che il calcio fosse un mezzo per educare le persone al rispetto di se stesse e degli altri.
Con il calcio parlava anche di politica, ma non alla maniera di certi presidenti scesi in campo successivamente, parlava di giustizia sociale. Sostenitore ed amico di Lula(allora semplice sindacalista metalmeccanico poi presidente del Brasile), era un uomo di sinistra nella vita e nello sport, vorremmo dire nel cuore, nel cervello e nelle gambe. Quando gli chiesero perché avesse scelto Firenze lui rispose per leggere Gramsci in Italiano!
Fu il protagonista di quella incredibile esperienza chiamata “democrazia Corinthiana”, una forma di autogestione della squadra concordata tra calciatori, allenatore e vertici societari e che portò proprio nel 1982 il Corinthias a trionfare nel campionato paulista.
Era grande la capacità dell’uomo di fondere la sua passione politica e sportiva in una cosa sola, di essere grande calciatore senza rinunciare a essere uomo.
Le grandi doti calcistiche (innegabili nonostante la parentesi fiorentina) e umane del dinoccolato Socrates erano un condensato formidabile, anche la sua esteticità e una certa rassomiglianza col Che Guevara lo inorgoglivano e i suoi sostenitori giocavano su questo indossando magliette con i due volti affiancati.
Socrates è stato a modo suo e nel suo ambito un rivoluzionario, nei modi, nel parlare.
Morì stroncato dall’alcol e dal fumo, la domenica che la sua squadra di sempre: il Corinthias vinceva il campionato.
Questo aveva chiesto e questo ottenne!
P.S. Non sarà un caso, ma il Corinthias, la squadra di Socrates, fu fondata come polisportiva a San Paolo del Brasile nel 1910 da un gruppo di operai di origine portoghese, spagnola e italiana. Il loro intento era quello di combattere una concezione elitaria dello sport, riservato solo ai ricchi ed alle classi possidenti. Al di là del fatto della sua trasformazione successiva in una “normale” società, l’esperienza auto gestionale degli anni di Socrates è stata un ritorno alle origini della squadra, nel senso inteso dai suoi fondatori operai.