“Era il mostro di origine divina…” recitano i versi di Omero posti all’entrata di un viaggio iniziatico nei racconti mitici della tradizione classica e nella loro prodigiosa potenza visionaria, in un percorso museale che evoca il leggendario labirinto di Cnosso.
La mostra accompagna il visitatore in un viaggio ai confini del mondo e della vulcanica capacità inventiva della civiltà antica, che ha dato vita a miti e racconti ancestrali affollati di eroi e mostri, Sirene e Arpie, Grifi, cavalli alati, Centauri, rapaci leonesse, mostri marini, creature fluviali, tritonesse e Nereidi, orripilanti Chimere che “dalle fauci vomitano vampe di Etna” (come ricorda Virgilio), Satiri ridenti e Gorgoni pietrificanti dal sangue corallino.
Il labirinto dalle pareti blu inoltra nel ricco immaginario e nei funambolici meandri della mitologia classica, affollati di creature fantastiche e mostruose dagli artigli affilati, il becco adunco e gli occhi rossi, fanciulle con serpentine gambe canine, uomini taurini dalla possente prestanza fisica e giganti malefici con ali da pipistrello e testa d’asino.
Commenti poetici dal “Prometeo incatenato” di Eschilo, dalle “Metamorfosi” di Ovidio, dall’”Eneide” di Virgilio, dall’ “Iliade” di Omero e incisivi pannelli espositivi completano la descrizione degli oggetti esposti e delle narrazioni mitiche, permettendo un’affascinante immersione in credenze antiche, immagini e tòpoi che sopravvivono ancora oggi, traslati nella moderna mitologia cinematografica, letteraria, artistica del XX e XXI secolo.
Si scoprono mille cose, nei panni di Teseo: i Grifi, di cui parla Eschilo come di “cani non latranti di Zeus con rostri adunchi” e alati, erano i favolosi custodi dei giacimenti auriferi contro gli Arimaspi nell’antica Scizia o in India, collegati ad Apollo. Secondo un’altra versione, i Grifi riempivano di vino il cratere di Dioniso e nel Medioevo divennero simbolo di Cristo.
Aello, “bufera”, Ocipete, “colei che vola rapida”, Celeno, “l’oscura” erano le Arpie, figlie maligne e distruttive di Tifone, dalle “penne e zampe d’uccello” che abitavano il giardino delle Esperidi, rapivano le anime dei morti nell’aldilà e il cibo dai banchetti su cui defecavano.
L’enigmatica rapace leonessa del mito di Edipo, Sfinge (da “Sphinx”=strangolare, strangolatrice), era alata in Grecia e senz’ali in Egitto, mentre il fatato cavallo Pegaso nacque dal sangue zampillante della testa troncata di Medusa e lo si credeva capace di generare sorgenti miracolose con un colpo di zoccolo, come il Parnaso. Poi a cavallo di Pegaso, l’eroe Bellerofonte uccide la Chimera con sembianze di leone, serpente e capra. Zeus gli lancia contro un tafano per disarcionarlo a causa della hybris di cui si è macchiato e Pegaso trasforma d’improvviso in costellazione.
I preziosi oggetti, illuminati ad arte con giochi di luci che proiettano sulle pareti ombre suggestive, creano un’atmosfera perturbante e arcana che meraviglia ad ogni sguardo e rapisce, come in una strana malia, riavvolgendo il filo d’Arianna della storia della nostra civiltà.
All’uscita della mostra, la frase “Cosa credi di fare, tu che ti celi sotto una forma illusoria?”, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, pone fine a questo prodigioso sogno blu ad occhi aperti, nel cuore di Roma antica.
Immagine tratta da: www.familandia.altervista.org