L’opera di questo artista è frutto di questo entusiasmo vitalistico, di questa visione cosmica, in qualche misura romana nel senso della capacità di ricongiungersi a un’ambizione sconfinata, quella delle grandi architetture dei fori, degli acquedotti e delle terme, dell’encausto e della pittura pompeiana. Insomma della civiltà antica e delle radici culturali dalle quali proveniamo, che sono prima di tutto greco-romane. Palmieri parte da tutto questo per arrivare, però, non alla recitazione di una tiritera nazionalistica o peggio municipalistica, ma al recupero del meglio di questa tradizione, per lanciare una sfida che supera di gran lunga i nostri confini. Come quando, nell’86, nella Galleria di Annina Nosei espose dei dipinti che andarono a ruba fra i collezionisti anche illustri e famosi di New York. Perché poi è tipico dei romani, quelli veri, il piglio di chi non avverte soggezioni e accetta le scommesse più ardite.
«L’insieme dell’opera, coerente, di Claudio Palmieri è un elogio della complessità e della contaminazione. Uso questa parola anche se non mi convince del tutto, perché sembra adombrare l’idea che mischiare ambiti diversi possa diffondere una specie di infezione, prodotta dalla perdita di autonomia di ciascun segmento del fare e del saper fare. Le ‘contaminazioni’ di Palmieri non diffondono infezioni, ma provano a curare i mali contemporanei più grandi: la passività, l’anaffettività, la rassegnazione, l’apatia, la soggezione ai potenti. L’eclettismo è la sua vera cifra. Anche qui il termine va preservato dalle letture riduttive e maliziose. Tanto per spiegarmi con un esempio: eclettico era un artista come Savinio che frequentava pittura, musica e letteratura con uguale e altissima capacità».
Mi scuso dell’autocitazione da Fragili eroi (DeriveApprodi, 2010) ma mi riconosco ancora talmente tanto in queste righe dal non resistere alla tentazione di riproporle in un’occasione cosi sontuosa.
Devo dire, anche un po’ con il cuore per l’amicizia che mi lega a questo artista, che il piacere di mischiare i saperi e le discipline, i linguaggi e le filosofie è anche il mio piacere, non solo per una astratta disposizione “eretica” ma per la convinzione profonda che nessuna verità è assoluta. Il rischio del relativismo non può rappresentare l’alibi che frena il libero pensiero. Perché poi la realtà è unica e unitaria ed unica la sostanza a cui apparteniamo. Purtroppo si tratta di un pensiero che il dispotismo culturale del villaggio globale ipermercificato tende a falsificare ogni giorno, imponendo l’ideologia solo apparentemente antiideologica del pensiero unico. Ma è proprio per questo che l’opera di Palmieri conta di più. E qui che è custodito il suo valore anche politico.
La natura di cui questa mostra ci racconta non è la rappresentazione, ancorché accurata, di ciò che a tutti è visibile, ma esprime, viceversa, il tentativo di rendere l’essenza di una realtà cosmica che riassume in sé l’eterno ciclo della vita e della morte. Ecco il perché del Metrocubo di mare (1992) con ferro e ceramica smaltata. O di Cratere dell’anno successivo. Ecco il perché dei rimandi ad elementi ormai fossili, come in Rosa fossile del 2010 o Fossile del 2012 o Tracce fossili del 2013 e ancora Lago fossile, opera di struggente e raggelante bellezza. Come si diceva, Claudio Palmieri si esprime pittoricamente, plasticamente e attraverso la fotografia ma non disdegna di frequentare anche le province della musica. La percussione infatti delle sue opere tridimensionali sviluppa inaspettate armonie che molto spesso si fondono con quelle dei suoi amici musicisti.
Per questa molteplicità di derivazioni e di radici e per questa capacità di sintesi che aspira ad una prospettiva unitaria, Claudio Palmieri, sa esprimere un’energia creativa che gli deriva dall’insegnamento del Rinascimento e del Barocco, come è naturale per un artista di stirpe romana. Qualità molteplici e prospettiva unitaria che è stata ben intuita da un estimatore di prima grandezza, come Fabio Sargentini, un altro pezzo di storia della storia dell’arte che non perde smalto e che con Palmieri ha stretto un sodalizio pluridecennale che ancora dura e convince.
Il percorso della mostra non segue un andamento cronologico perché l’autore cosi ha voluto. A testimoniare ancora una volta il suo approccio all’arte che non è certo convenzionale. Come nel caso delle Velature di fluorescenza, in cui egli inventa artifici visivi mediante l’uso di pigmenti fluorescenti che al buio restituiscono luce e suggestioni. Un impiego, come si vede, antinaturalistico del colore che crea una realtà altra da quella retinicamente esperibile. Una realtà che si ricostruisce nella mente e che celebra lo sposalizio fra cuore e cervello. Ancora una volta la diversità e la ricerca dell’intero, dell’uno scoprono momenti di sintesi di altissima qualità. Ma poi esplode nelle grandissime tele rosso scarlatte la vitalità degli alberi dipinti nel 1985 che fanno tutt’uno con l’Albero bianco del 2014 collocato nella sala che si affaccia sullo storico Ninfeo. In quest’ultima, per non farci mancare lo spettacolo di uno straordinario effetto scenico, Palmieri ci propone una splendida cascata, realizzata appositamente per questa occasione.
Se volete scoprire gli altri preziosi “pubblici segreti” che questa mostra riserva non vi resta che recarvi al Museo Bilotti. Non ve ne pentirete.