Domenica, 18 Gennaio 2015 00:00

Quella sedia vuota...

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Quella sedia vuota…
Quando l’arte cessa di essere puro business e torna ad essere arte!

 Di Roberto Gramiccia e Simone Oggionni

Anything to say? “Niente da dire?” è il titolo del progetto dell’artista Davide Dormino e del giornalista Charles Glass. Un raro esempio di come l’arte, perseguendo le sue finalità in totale autonomia, possa mettersi a disposizione della politica e la politica dell’arte. Quello che si è inventato Dormino, non nuovo a questi scatti ideativi, è il progetto di un gruppo scultoreo il cui elemento centrale è rappresentato da quattro sedie. Su tre di queste sedie l’idea è quella di porre dei bronzi che rappresentino a figura intera tre personaggi: Julian Assange, Chelsea Manning e Edward Snowden che saranno raffigurati in posizione eretta, braccia lungo il corpo, con lo sguardo rivolto in avanti, a cercare quello di un immaginifico pubblico. La quarta sedia è vuota. Ci può salire chiunque. L’idea è semplice e fulminante. Restituire credito e riportare all’attenzione del pubblico internazionale i tre personaggi che hanno fatto tremare i governi più potenti del mondo – ricordate la vicenda di Wikileaks? – e per questo stanno pagando un prezzo personale salatissimo: isolamento, prigione, esilio.

L’opera, di cui abbiamo potuto apprezzare nello studio romano di Dormino i lavori preparatori, verrà finanziata con fondi che l’artista stesso, insieme a Charles Glass, sta cercando di raccogliere con una campagna di crowfounding, attraverso il sito specializzato (clicca qui).
Per ovvie ragioni, la raccolta non può essere proposta a istituzioni pubbliche o a governi, magari gli stessi che si sono macchiati dei crimini che i tre personaggi hanno denunciato, e allora viene rivolta, con una spericolatezza che apprezziamo molto, a tutto il mondo. Proprio perché questo complesso scultoreo girerà le piazze del mondo (per ora Parigi e Berlino, Dresda nella prossima primavera), per “parlare a chiunque” sia interessato a mantenere aperta la questione della libertà di informazione e  più in generale la questione della libertà latu sensu. I recenti sanguinosi fatti di Parigi hanno oggettivamente rafforzato la ragione di essere di questa intelligente e ardita operazione. Che sta ad indicare che non basta pronunciare la frase ormai universale Je suis Charlie per mettersi la coscienza in pace. Bisogna fare di più, molto di più.

Abbiamo chiesto a Davide Dormino il perché di quella quarta sedia vuota. “La quarta sedia è per noi – spiega Davide – perché, come dice Assange, il coraggio è contagioso e tutti vorremmo essere coraggiosi. Quella sedia ci permette di alzarci  in piedi, di spostarci da una posizione comoda”. La stessa scelta che hanno fatto Assange, Manning e Snowden nel momento in cui hanno deciso di fare ciò che ha cambiato la loro vita. Ma l’arte spesso dice di più di quello che l’artista pensa. È questo il suo mistero. L’opera è sempre “aperta” e il senso che se ne trae è figlio – anche – degli effetti prodotti dalla sua fruizione consapevole da parte del pubblico o di una parte di esso. Ed è così che noi in quella sedia vuota riconosciamo la rappresentazione plastica di una democrazia disabitata, messa da parte, annullata. È proprio lo sforzo concentrico delle centrali di potere economico finanziario e politico internazionali, che vogliono in tempo di crisi planetaria gestire a loro vantaggio la ristrutturazione capitalistica, a produrre di fatto, per adesso un forte ridimensionamento, in futuro la cancellazione totale di ogni democrazia che non sia pura, patetica messa in scena.

L’attacco alla rappresentanza sindacale e politica, alla funzione e alla storia dei partiti, l’usurpazione stessa del concetto di sinistra, l’utilizzo spregiudicato dei media e della tecnologia per banalizzare qualsiasi forma di pensiero critico, a partire dalla cancellazione di una memoria storica che è l’indispensabile piattaforma per qualsiasi ipotesi di riscatto, sono tutti strumenti e tappe di un progetto che tende a sostituire alla coscienza di classe, alla coscienza di sé nella classe, un senso di solitudine e di impotenza. Lo sfruttato ridotto in solitudine non è più uno sfruttato ma un disadattato imbelle. È del tutto evidente che la sorte toccata a coloro i quali si sono azzardati a mettere in pericolo parte cospicua dei segreti più incoffessabili di un sistema, nazionale e sovranazionale, che mira al dominio totale del pianeta era segnata. Su questa sorte si è depositata una coltre spessa di silenzio e indifferenza.

Davide Dormino con il suo progetto ambizioso e temerario rimuove questa coltre sparando a raffica sull’indifferenza, mettendo i piedi nel piatto di una denuncia che non è più il tempo di condurre avanti solo nei salotti buoni. Bisogna uscire dai salotti e dai lacrimatoi, farla finita di piangersi addosso e occupare le piazze con i cortei degli operai e dei precari, delle donne, degli studenti, degli ultimi e degli incazzati del mondo. E, perché no, bisogna occupare le piazze con l’arte, quella vera, quella che non puzza di imbrogli, di speculazione, di manipolazione. È per questo che diamo tutto il nostro sostegno a Dormino e a Glass. È  per questo che chiunque contribuisca anche con una piccola donazione (e con il passa parola) a finanziare le pure spese necessarie per la realizzazione delle fusioni in bronzo parteciperà a un processo collettivo inedito e nel suo piccolo rivoluzionario. Nessuno ci guadagnerà. Ma tutti ci guadagneremo.

Ultima modifica il Sabato, 17 Gennaio 2015 23:43
Roberto Gramiccia

Scrittore, critico d’arte, giornalista, medico nasce a Roma dove vive e lavora. Si è diviso fra responsabilità e incarichi apicali di tipo sanitario e un’attività giornalistica, di studio e letteraria inerente temi artistici e umanistici in senso lato. Specialista in Medicina interna e Geriatria e Gerontologia, è stato per più di dieci anni direttore sanitario di una Struttura complessa, maturando una particolare esperienza nell’ambito delle problematiche relative alla studio, alla cura e all’assistenza nell’universo della fragilità. Questa sua esperienza fonda le sue riflessioni sul rapporto che esiste fra sofferenza umana e creatività ed è ala base di una sua originale teoria della fragilità. 

Ha collaborato con numerose riviste. Per oltre dodici anni ha scritto di arte, di cultura e di medicina (centinaia di recensioni e di profili d’artista) su un quotidiano nazionale. Gli interessi artistico-letterari e quelli sanitari hanno da sempre rappresentato per lui due facce di un’unica medaglia.

È autore di numerose pubblicazioni.

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