Si tratta di un’esposizione europea, una coproduzione di 4 realtà continentali che hanno creato una suggestiva raccolta di testimonianze dirette, attraverso video, foto, manoscritti e audio. Si esce dall’allestimento con un peso in più, coinvolti dall’eterogeneità dell’offerta proposta, che alterna con equilibrio le sei sezioni dedicate al rapporto tra l’intellettuale italiano e il suo Paese (più che la sua città). Ognuna delle sei parti in cui è divisa la vita di Pasolini è introdotta dalle riprese di zone di Roma come sono oggi. Fa un certo effetto ritrovarsi in mezzo a Barcellona e sentire la voce familiare dello speaker delle stazioni ferroviarie italiane annunciare gli avvisi dei treni in partenza o in arrivo. Termini è infatti il punto di partenza, ossia il punto di arrivo della famiglia Pasolini, immigrata dal Friuli.
Non è solo una raccolta delle opere letterarie e cinematografiche, c’è molto di più, e lo si apprezza soprattutto fuori dal territorio nazionale, per cogliere la grandezza di un intellettuale capace di parlare fuori dal provincialismo che spesso caratterizza la nostra Penisola. Il vantaggio di visitare l’esposizione all’estero è che ignorando le traduzioni si può godere pienamente del materiale esposto, più degli autoctoni. Uno dei primi ritagli di giornale esposti è la risposta di Pasolini a un lettore che chiede conto di un manifesto fascista dove si denuncia il fratello del poeta tra le vittime dei partigiani jugoslavi. In tempi di equiparazione tra repubblichini e antifascisti, come quelli presenti, ha tanto da insegnare la lucidità e la dignità della risposta: quello che conta è l’antifascismo della famiglia Pasolini, se poi il fratello si era ritrovato a combattere l’esercito di Tito era solo per l’estrema complessità del reale, che sfugge a ogni semplificazione schematica.
Ad ogni passaggio si afferma al contempo l’estrema sensibilità dell’artista (soprattutto nelle lettere personali) e la determinazione nel voler veicolare un messaggio di emancipazione dell’uomo. Cresce progressivamente la consapevolezza del ruolo di uomo politico, che viene riconosciuto sia dall’espulsione dal Partito Comunista Italiano (di cui è esposto anche uno dei verbali di condanna) che dai molti giornali che polemizzano con il poeta (compresa la risposta di Andreotti al noto “Io so”).
In uno dei filmati, rigorosamente in lingua originale, per la sfortuna dei non italianofili, un giovane interroga direttamente Pasolini sul fine delle sue opere, accusandolo di elitarismo. La risposta vale anche per i detrattori di oggi, che confondono gli intellettuali del ‘900 italiano con i salotti contemporanei. La rivendicazione di un’élite a cui rivolgersi è il rifiuto della borghesia come classe di riferimento e il tentativo di emancipare i lavoratori attraverso l’arte, recuperando una lezione cara a Gramsci e Gobetti, che ereditarono una tradizione europea delle aristocrazie a guida delle masse, confidando nelle élite operaie come protagoniste di un nuovo cambiamento sociale e storico (per una nuova rivoluzione). “Quindi lei ha girato Medea per gli operai?”. “Sì”.
La profondità del messaggio pasoliniano attraversa l’impegno civile e la produzione artistica con la stessa intensità, mostrando la fragilità propria della sensibilità dell’autore solo attraverso le lettere più intime.
Ad alleggerire il percorso, prima dell'ultima sezione (quella dell'omicidio Pasolini), c’è una Millecento della Fiat, che proietta all’interno della macchina una pellicola d’epoca. Forse l'unica parentesi che strappa un sorriso privo di tristezza.
Alla fine dell’esposizione rimane una sensazione di rabbia, un peso in più da portarsi dentro. Non è solo la denuncia del nuovo fascismo italiano, peggiore di quello precedente perché impegnato nella conformazione dei costumi e nell’annullamento della capacità critica dell’uomo: è la storia di un Paese che ha conosciuto una grande fase di emancipazione, anche grazie al movimento operaio più organizzato in Europa, per poi intraprendere una lunga fase di declino, dove le classi dirigenti e gli intellettuali non si sono dimostrati all’altezza di quelli che hanno reso l’Italia una protagonista del secondo dopoguerra.
“Quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo paese come Pasolini stesso avrebbe voluto”.
(Dall’orazione di Alberto Moravia ai funerali di Pasolini)