Lunedì, 10 Novembre 2014 00:00

Jean Sibelius, difficile perché semplice come l'acqua

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Il 6 di dicembre si festeggia in Finlandia il giorno dell'indipendenza, il che può essere una buona occasione per ricordare il più famoso compositore finlandese,  esponente di primo piano di quel romanticismo nazionalista che aveva le sue radici nel lavoro di Lonnrot, insieme a lui assunto a simbolo dell'identità nazionale. Nato nel 1865 e morto nel 1957, Jean Sibelius, oltre a vedere la sua Finlandia indipendente, ha attraversato buona parte della storia e della cultura musicale del tardo romanticismo e poi del modernismo, elaborando uno stile che, pur debitore inizialmente della grande tradizione romantica tedesca e russa, sopratutto di Tchaikovsky, riesce a svilupparsi in modo molto originale e a rappresentare una delle più convincenti alternative alla seconda scuola di Vienna.

Certo che c'è del nordico in Sibelius e non potrebbe essere altrimenti, così come c'è tanto della tradizione musicale russa: una musica di ampio respiro per gli ampi spazi della steppa, linee melodiche chiare e ben costruite, dirette e immediatamente comunicative, portate al tono elegiaco; attenzione all'orchestrazione e alle combinazioni timbriche; interesse costante nelle variazioni più che nello sviluppo sinfonico. E sopratutto l'amore per la musica popolare delle sue terre e per la sua cultura e tradizione, che si concretizza anche nella scelta di miti e leggende finniche come materiale  ispiratore di molte sue opere. Con il passare degli anni Sibelius, strenuo difensore della musica tonale, elaborò un suo originale tentativo di rinvigorire la tonalità, attraverso il recupero in senso moderno degli antichi modi medievali o l'uso di accordi inusuali come il tritono (tentativi che lo accomunano ad altri importanti compositori della transizione al novecento, come Mahler o Debussy). 

Certo l'apporto più importante dal punto di vista formale lasciato da Sibelius alla musica successiva è la particolare tecnica compositiva che, seppur sempre presente, è ben evidente nelle opere della sua piena maturità artistica. Sibelius abbandona progressivamente la forma sonata per approdare ad un sistema di sviluppo più organico: parte da piccoli nuclei melodici, che continuamente si intrecciano, si trasformano, in un crescendo di complessità che solo alla fine si mostra in tutta la sua potenza espressiva e nella sua compiutezza. Uno sviluppo ininterrotto, che negli anni gli procurerà molti ammiratori, non ultimo Leonard Bernstein che affermava di dovere a Sibelius molto del suo modo di comporre.  

Un ottimo consiglio per accostarsi a Sibelius o per riascoltarlo è partire dal suo  famoso concerto per violino, l'unico concerto da lui scritto, che peraltro festeggia anche lui gli anni, 110. Già all'inizio si viene catapultati negli ampi spazi del nord Europa con la loro lentezza e malinconia come nel miglior Grieg o nel Tchaikovsky della prima sinfonia. Ma, al netto del sapore assolutamente finnico dell'ispirazione melodica, si sente subito la differenza con gli altri grandi modelli romantici del genere. La forma sonata si dissolve progressivamente e lo sviluppo è assente, sostituito da una cadenza estesa e quasi espressionista. La voce del violino e quella dell'orchestra si equivalgono e giocano alla pari, le dissonanze abbondano e il lirismo del secondo movimento non bilancia l'estro quasi esasperato dell'allegro finale, una polonaise un po' anomala che ancora oggi è considerata una delle prove più degne per ogni grande violinista. 

Il concerto per violino di Sibelius è un lavoro che guarda al passato e si proietta verso il futuro, una delle composizioni più evocative di un'artista che, in modo diverso ma non minore rispetto a Mahler, si è ritrovato sospeso sul cambio di un'epoca e sul trapasso di un mondo, quello romantico, verso il novecento che di lì a poco sarebbe esploso in Europa. L'esecuzione consigliata è quella, sempre attuale, vigorosa e attenta intellettualmente (per una musica, per dirla con Ungaretti, che è difficile anche quando è semplice come l'acqua) di Anne-Sophie Mutter diretta da André Previn con la Staatkapelle di Dresda.

Luca Panicucci

Nato nel 1987 a Pontedera (PI), dove frequento il liceo per poi passare all'università di Pisa. Inizio ad interessarmi alla politica a partire dalla seconda superiore, prima nel movimento pacifista e in quello studentesco. Tra gli interessi specifici l'antropologia politica, la storia e l'etnologia delle relazioni di genere e della famiglia e l'antropologia religiosa, ma anche la letteratura, l'arte e la musica.

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