Venerdì, 17 Aprile 2015 00:00

Dolore e perdita nello straordinario ritorno di Sufjan Stevens

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Recensione dell’ottimo “Carrie & Lowell” del cantautore di Detroit

Pochi cantautori sono riusciti a coniugare in maniera così elegante complessità e leggerezza come il menestrello statunitense Sufjan Stevens.

L’epopea di Illiniois (2005), capolavoro di pop orchestrale e disco fondamentale dei noughties, si distingueva per gli arrangiamenti scrupolosi e ricercati, il perfezionismo melodico e ritmico in un susseguirsi di complesse architetture magniloquenti. Eppure, ciò che rendeva speciale la ricerca sonora di Stevens era la straordinaria freschezza che emergeva, l’ariosità e leggiadria delle composizioni, l’interesse per i piccoli avvenimenti della vita quotidiana, l’umiltà e la naturalezza di un lirismo modesto e fragile.

A distanza di dieci anni, l’arte del cantautore americano è passata attraverso notevoli mutazioni ed evoluzioni ma, alla fine, il privilegiare quella dimensione fragile e intimista, è avvenuta in maniera naturale. Non una scelta stilistica fatta a tavolino dunque ma una esigenza di immediatezza comunicativa che è spontaneamente emersa in un Sufjan lacerato dalla dolorosa perdita della madre, lutto che ha sicuramente segnato profondamente quest’ultimo lavoro del cantautore. Si tratta infatti di un album personale ed intimo, quasi autoreferenziale, in cui se proprio si può rintracciare un pubblico, esso è costituito unicamente dalle due persone alla quale l’album è dedicato: Carrie & Lowell ovvero rispettivamente la madre e il patrigno, in un mistico colloquio a distanza, senza struttura e senza filtri affettivi, un flusso di desolante bellezza e lacerante lirismo.

Si parla di un ritorno al folk, e in effetti Sufjan, armato di sola chitarra, piano e voce, con una strumentazione di contorno minima, rinuncia del tutto all’esuberanza corale o ai baccanali avant pop per rinchiudersi in un universo di foglie autunnali e di malinconia disarmante.

Spoglie e delicate, le 11 composizioni vivono di una purezza assoluta. Ritroviamo il meglio del folk internazionale do ogni tempo, dalla delicatezza quasi impalpabile di Nick Drake (The Only Thing, All Of Me Wants All Of You), alla commovente fragilità di Bon Iver (Eugene, No Shade in the Shadow of the Cross) passando per il travagliato candore di Elliott Smith, il cui spettro aleggia per tutto l’album (Death With Dignity, Should Have Known Better, Blue Bucket of Gold).

Accolto come uno dei dischi più importanti registrati in ambito folk negli ultimi 15 anni, Carrie & Lowell, prodotto dalla Asthmatic Kitty,merita tutta l’attenzione e le recensioni positive che sta ricevendo (spiccano il 9,3/10 di Pitchfork e il 9/10 tondo sia di Clash che del New Music Express).

Sebbene l’eccessiva monocromia impedisca forse di parlare di capolavoro assoluto, Carrie & Lowell regala, con la sua straordinaria intensità lirica e la sua sofferta malinconia, una delle pagine più dolenti e commoventi del cantautorato americano contemporaneo.

Voto: 8/10

Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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