La pubblicazione della prima parte dell’opera nel 1986 fu salutata da un enorme successo di pubblico, e Maus divenne immediatamente un caso letterario. Alcuni critici accusarono Spiegelman di aver sfruttato con eccessivo opportunismo le vicende della sua famiglia e la figura del padre, rappresentato senza alcuna censura in tutti i suoi difetti, quasi fosse la tipica caricatura dell’ebreo scontroso e spilorcio. Tuttavia, fu un altro motivo a turbare la maggior parte dei recensori: l’innegabile genialità dell’opera suscitò molto stupore, quasi fosse incredibile dover ammettere che un fumetto potesse raggiungere un risultato tanto “alto”.
Maus è senza dubbio un capolavoro unico nel suo genere, che difficilmente potrà essere replicato in futuro, sia per la natura dell’argomento trattato, sia per la sua impronta fortemente personale. Ovviamente il racconto autobiografico della vita di Vladek Spiegelman, ebreo polacco sopravvissuto all’Olocausto, tra gli anni Trenta e la fine della Seconda Guerra Mondiale, riveste un’importanza fondamentale nell’opera, ma Maus non è solo questo: è anche, e soprattutto, il racconto del complesso rapporto che lega Vladek al figlio Art. È lo stesso autore ad apparire tra i personaggi dell’opera, mentre parla con il padre ormai anziano delle vicende da lui vissute durante la guerra, con l’intento di trasformarle in un fumetto.
La fama di Maus è sicuramente legata alla geniale scelta stilistica di Spiegelman di rappresentare i suoi personaggi come animali antropomorfi. Nella sua visione satirica deformante, gli ebrei hanno il muso e la coda di topi stilizzati, i tedeschi sono gatti, i polacchi maiali, gli americani cani e i francesi rane. Spiegelman decise di raffigurare gli ebrei in questo modo rifacendosi in particolare a tre fonti d’ispirazione: il topo Giuseppina di un racconto postumo di Franz Kafka, Ignatz Mouse, il topo coprotagonista del fumetto e cartone animato Krazy Kat, e un filmato di propaganda nazista che intervallava i volti tipici degli ebrei secondo l’immaginario razzista con immagini di ratti. Spiegelman ha inoltre precisato che il verbo inglese exterminate può essere usato con il duplice significato di sterminare e derattizzare.
La metafora dell’ebreo-topolino impedisce al lettore di identificarsi emotivamente con i personaggi, permettendo così alle vicende rappresentate di colpire nel segno e di esprimersi in tutta la loro crudezza. Spiegelman non era alla ricerca di una facile emotività: il disegno è volutamente semplice ed essenziale, e il linguaggio è del tutto privo di retorica e commozione.
Il suo intento, riuscitissimo, è quello di documentare un periodo storico tragico attraverso il racconto di una disumana quotidianità, in cui nessuno fa niente per niente, non esistono amici e perfino un pezzo di cioccolata è un tesoro da difendere con le unghie e con i denti. È interessante notare che in Maus non compare nessun italiano. Forse è una fortuna. Altrimenti, chissà come Spiegelman ci avrebbe rappresentato?
Immagine sopra tratta da www.minimaetmoralia.it